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101951-1955
Osserva che è stranissimo che un membro della Direzione faccia appello al C.[onsiglio] n.[azionale] anziché alla Direzione e salti la Direzione. Perché un membro della Direzione non ha sentito il dovere di ricorrere invece al segretario politico? […] La base è sempre quella approvata dal C.[onsiglio] n.[azionale]. Se si cambiasse questa base riconosce che il partito dovrebbe essere consultato, ciò che farà il presidente del Consiglio se i termini dovessero cambiare. Ammette la buona fede di Dall’Oglio conoscitore di problemi elettorali e pertanto sensibile alla sue vicissitudini a seguito del voto espresso dalla Camera. Questa la questione giuridica. La questione politica è un’altra cosa. Fra i firmatari c’è l’on. Gronchi, presidente della Camera [ed è] ciò che lascia problemi. Si preoccupa che i «distratti», in sede di votazione segreta, mancando la convocazione del C.[onsiglio] n.[azionale], ne tengano conto. Propone di rispondere che dagli atti parlamentari risulta che la questione è tuttora quella approvata dal C.[onsiglio] n.[azionale] e che nel caso i termini dovessero cambiare il presidente del Consiglio si farà dovere di interpellare il partito. […] Conclude ritenendosi giustificato se risponderà alla richiesta con un telegramma molto esatto, ma non di tono drastico. [Cesare Dall’Oglio propone dunque di «far ritirare la richiesta», ma Santoro Passarelli «dissente perché non c’è sicurezza che tutti aderiscano e d’altra parte occorre rapidità e chiarezza perché la cosa è di dominio pubblico»]. Dopo avere pure lui constatato la inopportunità della proposta Dall’Oglio, atteso anche che la richiesta è stata pubblicata dai giornali, conferma che risponderà senza urtare nessuno, ma pubblicamente . Sottolinea piuttosto la posizione imbarazzante nella quale si è posto e ci pone l’on. Gronchi con la sua presa di posizione sul piano dell’indirizzo politico (apertura e dialogo con Nenni), posizione che dovrà essere esaminata a tempo e luogo. [Cesare Dall’Oglio introduce poi la «grossa questione della legge elettorale amministrativa»; sul tema, interviene il presidente del Consiglio che «assicura che sono in corso studi» che «prevedono uno scambio di Comuni fra la Dc e i socialcomunisti»]. Sottolinea la grossa questione di Roma. Bisogna studiare una soluzione tipo municipio di Parigi (suddividere Roma in Comuni) altrimenti, con l’ingrossamento più o meno naturale delle borgate, molto incerto può essere l’esito nelle attuali condizioni.
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Non si può aspettare questo autunno! Bisogna dire: è un’utilità il Patto balcanico , è un’utilità la CED? Se lo sono occorre affrontare la situazione, prendere l’iniziativa prima che sia troppo tardi. [Viene dunque approvato un ordine del giorno, «proposto da De Gasperi e aggiustato da Moro»] . De Gasperi illustra le prospettive politiche che egli vede in rapporto alle quali ha fatto la sua proposta. [Dopo un’interruzione della seduta, riprende la parola sul recente accordo confederale sul «conglobamento»] . Propone un o.d.g. che sottolinea l’accordo raggiunto sul conglobamento in sede sindacale . […] (Unità d’azione) , solo attraverso questa strada potremo arrivare – forse – al laburismo in Italia. [La Direzione approva la proposta e passa poi a discutere il tema della legge elettorale]. Informa dei tentativi del Pli indirizzati alla formazione di una Commissione di partiti per la legge elettorale. È del parere di rifiutare per più motivi. Preferibile [è] che la legge venga elaborata dal Comitato interministeriale e che sul progetto possa pronunziarsi il partito a sua tempo con tutta libertà. Illustra i punti principali del progetto in esame. […]. Ricorda e illustra i termini dell’accordo intervenuto in fase di formazione del governo per sottolineare che abbiamo ceduto sul principio proporzionalistico invocato dagli altri, ma che ciò non ci impegna ad andare oltre certi dettagli pratici.
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101951-1955
Dopo aver rivolto un vivo ringraziamento ai membri della Direzione, del Consiglio nazionale, al vicesegretario Spataro, (vivi applausi), e a tutti i congressisti, dichiara che si limiterà ad alcune brevi osservazioni di risposta agli ultimi oratori. Ha apprezzato i rilievi dell’on. Pastore sull’espansione ideologica, corrispondenti alla sua posizione di deputato democristiano, mentre in altra occasione, aveva detto, come sindacalista, di non volere accettare nessuna qualificazione. Non è vero che esistano nel partito «cappe che si sentono ma non si vedono», essendo il desiderio più vivo degli organi che hanno la responsabilità della Direzione del partito di ascoltare la base, intenderne i desideri e le aspirazioni. (Vivissimi applausi). All’on. Pella, che ha lamentato il silenzio osservato circa il suo esperimento governativo, dichiara che, se il rilievo si riferisce alla sua relazione, non ha luogo di essere, poiché in tale relazione ha evitato ogni cronistoria sugli esperimenti governativi e sull’analisi delle responsabilità, cercando di indirizzare il suo esame verso obiettivi comuni e mete più alte. Desidera aggiungere di non avergli mai mosso nessun rimprovero per avere accentuato il sentimento nazionale, né per aver presentato il suo governo come governo della nazione, essendo anche i suoi governi di cui Pella fece parte anch’essi governi della nazione. Dichiara quindi di ammirare le qualità e le attitudini personali dell’on. Gronchi, riconosciute dal partito, che infatti gli ha affidato la più alta carica parlamentare. Vorrebbe solamente che la sua attitudine a tessere avvicinamenti con gli altri partiti fosse messa in opera nell’ambito del partito per realizzare l’accostamento delle diverse correnti. (Vivissimi applausi). Circa le osservazioni che sono state fatte sul metodo di elezione del Consiglio nazionale, ricorda che non si rende un servizio al partito proponendo il sistema proporzionale, che paralizzerebbe l’attività degli organi direttivi. Del resto, ritiene che il Congresso stesso chiedendo l’adozione di una scelta decisa tra sinistra e destra, si è fatto interprete in realtà del bisogno di una regola di maggioranza. Non si dimentichi comunque che non esiste organismo democratico che possa vivere senza il principio del governo e della responsabilità alla maggioranza. (Vivi applausi). Conclude sottolineando di avere elaborato un programma che spera si elevi al di sopra di tutte le piccole questioni che dividono i membri del partito e dichiarando di accettare di comparire in tutte le liste che tale programma fanno proprio: desidera infatti svolgere un ruolo, quello di mediatore, di rappresentante unitario della coscienza del partito. (L’Assemblea, in piedi, applaude lungamente. Si grida: «viva de Gasperi!») .
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Caro segretario generale, ho tentato tutti questi giorni di rispondere alla tua cordiale del primo del mese, ma in otto giorni non ci sono riuscito, un po’ per stanchezza un po’ per scoraggiamento. In realtà la ripresa ch’io speravo non c’è stata, il meglio che si possa dire è che sarà molto lenta. Il tempo non favorisce e le cure, se agiscono, non si preoccupano del calendario. Allora, che vuoi tormentare gli altri con inutili propositi? Ho passato molte ore a letto per sostituire quelle insonni delle lunghe notti. Oggi mi rinasce dentro, colla speranza, l’interesse per il lavoro di domani. Vedo con piacere nella tua lettera documentata la collaborazione col governo. Bisogna sostenerlo più che è possibile. È bene che tu affronti la questione del regolamento parlamentare; la decisione della Direzione ha rimediato all’impressione troppo eufemistica di recenti opinioni. La mia spina è la CED . Che cosa farà l’Italia il 19? Se trovi modo, fatti sentire a tempo. Rileggo questi giorni quell’istruttivo mattone che è la biografia Vistalli del Toniolo . Quanti elementi di meditazione sulle occasioni mancate! Perché il T.[oniolo] razionalmente parlando ebbe efficacia così inadeguata? Perché i tempi e gli uomini non gli permisero di sfuggire all’alternativa guelfo-ghibellina, e così non uscì dallo storico steccato politico, benché ne fosse uscito da quello sociale. Il nostro sforzo, più tardi, fu quello di sfuggire alla stretta. Non siamo riusciti spesso, ma ad un certo punto la Dc divenne un movimento, un partito italiano, al di sopra dello storico conflitto. Teniamolo a mente, bisogna non lasciarsi avvinghiare dalle spire dell’alternativa tradizionale; forse un giorno, quando sarò meno stanco, ti racconterò gli episodi segreti della mia esperienza. Per oggi grazie per il lavoro che fai, cui auguro il miglior esito. Guai, se il tuo sforzo fallisse! Torno infine sull’argomento, provocato da un tuo gesto generoso per ripeterti che non mi è possibile di accettarlo, fino a meno che non potrò fornire adeguate prestazioni. Dà ordini in questo senso e io considero la tua offerta come un anticipo su indennità spese, che non mancherò di sottoporti, quando ci saranno. Auguro qualche riposo anche alla tua tempra robusta; io sono un esempio che anche fibre forti si logorano. Ossequi alla tua signora e auguri alla tua famiglia da tutti i miei. Affezionatissimo. De Gasperi
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I. Il mio colloquio con Adenauer non ebbe naturalmente un carattere ufficiale. Fu uno scambio d’idee fra due uomini della stessa fede politica, e perché convinti entrambi che senza l’unione dell’Europa il mondo non troverebbe né stabilità né pace. II. Nonostante le difficoltà e la lentezza delle procedure, io credo fermamente che arriveremo alla meta, arriveremo cioè noi stessi almeno a gettare le basi, su cui poi i nostri collaboratori più giovani erigeranno l’edificio della Comunità politica europea. III.Sono certo che la ratifica del Parlamento italiano non mancherà. Il governo si è impegnato colla massima energia e la maggioranza dei parlamentari lo asseconderà. Essa sarà tanto più ampia e tanto più entusiasta, quanto più risulterà evidente ciò in cui io fermamente credo, cioè che l’Unione europea e in particolare la Comunità di Difesa costituisce la più sicura garanzia dell’indipendenza e dell’integrità del territorio nazionale. Nella presente situazione internazionale non vedo altre soluzioni. IV. La democrazia in Italia può certamente salvarsi se continuerà a battersi con energia, come fa il presente governo. Parlamentarmente la maggioranza attuale è debole, ma nel Paese la resistenza anticomunista si fa sempre più forte. È da ritenere che in caso di emergenza le forze del popolo scatterebbero quando occorresse in difesa della libertà e della democrazia, superando d’un balzo ogni divisione secondaria. V. Noi vogliamo che tedeschi, italiani e ladini in Alto Adige vivano e si sviluppino su un piede d’eguaglianza. Riconosciamo che sul terreno linguistico è necessario fare qualche progresso; ma in generale, nell’esercizio dell’autonomia amministrativa e nello sviluppo economico e sociale della regione. Occorre ora che i cittadini di lingua tedesca entrino anche nelle carriere dello Stato. E soprattutto che non si smarriscano nell’infecondo tentativo di mettere in causa la lealtà verso lo Stato italiano, cui definitivamente appartengono. L’interessamento che voi tedeschi, specie voi bavaresi, dimostrate per l’Alto Adige è, date le affinità delle origini e della cultura, comprensibile e può anzi diventare un apprezzabile elemento dell’amicizia italo-germanica; ma a condizione che tale interessamento non ricerchi o coltivi illusioni politiche che appartengono al passato. La mia speranza e il mio augurio è che il Brennero non sia il simbolo di tanti superati conflitti, ma nella nuova Europa un ponte di comunicazione e di scambio fra le due civiltà.
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101951-1955
Signori presidenti, miei cari amici, L’onore che mi fate a chiamarmi a presiedere la Conferenza parlamentare europea a Parigi mi tocca vivamente. Voglio vedervi soprattutto una manifestazione della vostra amicizia e ve ne ringrazio. Non considerate, vi prego, i ringraziamenti che sentirete uscire dalla mia bocca come un omaggio alle usanze a cui il cuore non partecipa, ma piuttosto come un omaggio fraterno e sincero ai nostri ospiti. Invierò anzitutto un saluto rispettoso al presidente della Repubblica francese. Perché il presidente René Coty è per noi anche un amico, l’amico dei primi giorni, che è stato presente ai precedenti congressi parlamentari fino a quello del settembre 1949, a Venezia. Vi proporrei dunque di inviargli il nostro messaggio in questi termini: «La Conferenza parlamentare europea di Parigi invia al presidente della Repubblica francese il suo saluto rispettoso. Tutti i parlamentari presenti rimpiangono di aver perso un compagno fraterno dei loro Congressi e gioiscono di vederlo assumere le sue alte funzioni. Si augurano che il suo settennato sia felice per la Francia e veda uno sviluppo magnifico dello spirito europeo e delle istituzioni europee» Vorrei anche proporvi di indirizzare al presidente Herriot , presidente uscente del nostro Consiglio parlamentare, tenuto lontano da noi da motivi di salute, il seguente telegramma: «La Conferenza parlamentare europea di Parigi invia al presidente del Consiglio parlamentare del Movimento Europeo i suoi sinceri auguri». Ringrazio il presidente dell’Assemblea Nazionale, Sig. Le Troquer , che ha tenuto a salutare di persona i parlamentari stranieri a nome dei parlamentari francesi, per il suo discorso chiaro e vigoroso che porta il suo marchio. Vi chiedo ora di associare ai nostri ringraziamenti i due uomini senza cui questa conferenza non avrebbe potuto avere luogo: il presidente Monnerville , che ci ha concesso il privilegio di riunirci nella sala riunioni del Consiglio della Repubblica e ci ha accordato le più liberali facilitazioni e il Sig. Georges Bidault, ministro degli Affari esteri, che ha ottenuto per noi l’ospitalità francese e i mezzi organizzativi necessari. Assieme a loro, vi chiedo di ringraziare uno dei nostri colleghi, una donna francese che saluto rispettosamente, Madame Germaine Peyroles , che ha aiutato con i suoi consigli e la sua influenza la nostra organizzazione. Il Consiglio parlamentare del Movimento europeo che ci riunisce qui è nato dalla fusione, nel maggio 1952, fra l’Unione parlamentare europea e il raggruppamento parlamentare del Movimento europeo. Vorrei esprimere al conte Coudenhove Kalergi , fondatore dell’Unione parlamentare europea, la nostra ammirazione per il primo pioniere europeo della nostra generazione, la nostra deferenza per una vita totalmente consacrata all’unità europea, la nostra gioia di vederlo fra noi. Mi sembra giusto ribadire la nostra amicizia e la nostra riconoscenza agli uomini che hanno animato negli ultimi anni l’organizzazione europea: per l’Unione parlamentare europea il suo passato presidente Sig. George Bohi , il Signor Enzo Giacchero e il Sig. Léon Maccas ; per il raggruppamento parlamentare del Movimento europeo il Sig. Duncan Sandys e il Sig. Mackay , oltre ai presidenti successivi Paul Ramadier e Guy Mollet , e il senatore Etienne de la Vallée Poussin , segretario parlamentare . Signori presidenti, miei cari amici, permettetemi di richiamare la vostra attenzione sulla forma che abbiamo tentato di dare a questa nostra Conferenza. Voi sapete che il nostro obiettivo principale è di facilitare i lavori e di provocare l’incontro dei parlamentari delle nostre Assemblee. Le nostre riunioni non sono destinate e prendere decisioni politiche che spettano ai Parlamentari, detentori delle sovranazionalità nazionali, ma sono liberi incontri, colloqui tra le varie tendenze e le varie nazionalità, un foro nel quale possono confrontarsi pareri diversi, ma tutti egualmente animati dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa. Tra i problemi che si pongono attualmente alle nostre coscienze, noi ne abbiamo scelti alcuni essenziali, e per trattare di ciascuno di essi abbiamo fatto appello a personalità, uomini politici o alti funzionari, la cui esperienza fosse considerevole. Le discussioni seguiranno i diversi rapporti. Ma la nostra Conferenza non voterà delle risoluzioni, non si dividerà in una maggioranza ed in una minoranza. Quali che siano le divergenze, che non cercheremo di dissimulare, le affinità profonde e le volontà comuni parleranno da sé… Ciò premesso, circa il nostro programma, mi sia consentito di dirvi con quale animo io vengo tra voi. Dopo aver parlato al Congresso dell’Aia nell’ottobre scorso davanti ai rappresentanti dei paesi che si sono voluti chiamare la «Piccola Europa», sono felice di poter ora levare lo sguardo verso più vasti orizzonti e di salutare qui i parlamentari di un’Europa formata dalla maggior parte dei paesi che si improntano alla sua civiltà e alla sua storia. Proprio in questa sala, io sono stato citato a comparire or non sono molti anni, per ascoltare le sanzioni della guerra . Oggi, noi ci riuniamo in piena fiducia per adoperarci all’unione dei nostri popoli. Tutte le nazioni associate al Consiglio d’Europa sono rappresentate in questa Conferenza, nella quale vedo con soddisfazione la numerosa delegazione britannica, nella quale abbiamo anche il piacere e l’onore di accogliere degli emeriti parlamentari appartenenti a due paesi particolarmente cari agli europei: la Svizzera, culla della libertà e terreno di prova della democrazia, e la nuova repubblica austriaca, sentinella verso l’Oriente della civiltà occidentale. Questa Assemblea interparlamentare, che non aveva finora mai raggiunto proporzioni così vaste e di tale genere, assume pertanto un significato ed un valore particolare; ma ci costringe a limitarne i compiti. Noi non discuteremo ad esempio di un argomento che, attualmente, costituisce uno dei più importanti che siano sottoposti alle decisioni sovrane di ogni Stato in particolare, vale a dire non parleremo della Comunità di Difesa. Non, naturalmente, per misconoscenza di questa struttura capitale, nocciolo iniziale dell’integrazione desiderata, ma perché il soggetto ha oltrepassato il limite delle discussioni di carattere generale e si trova ormai già giudicato, o in procinto di esserlo, da parte dei Parlamenti nazionali. È una questione in ogni modo che, per quanto possa essere considerata di massimo interesse europeo, non concerne direttamente o nella stessa misura tutti i paesi qui rappresentati. Certo, le alleanze difensive e soprattutto gli armamenti che ne sono la conseguenza, costituiscono una dura necessità preliminare. Infatti, noi non possiamo erigere l’edificio della Comunità Europea se non abbiamo prima tracciato intorno al nostro suolo un bastione protettivo che ci permetta di intraprendere all’interno il lavoro costruttivo che esige tutti i nostri sforzi di paziente e lunga cooperazione. Ma, appena saranno state prese le precauzioni necessarie al mantenimento della pace, bisogna riconoscere che la vera e solida garanzia della nostra unione consiste in una idea architettonica che sappia dominare dalla base alla cima, armonizzando le tendenze in una prospettiva di comunanza di vita pacifica ed evolutiva. Io non credo che questo pensiero dominante possa essere imposto da una sola delle correnti di idee che ai giorni nostri si sono affermate nella civiltà europea come prodotti della sua evoluzione culturale, sociale e politica. Mi pare che questa idea dominante non possa essere rappresentata dal solo concetto liberale sull’organizzazione e l’uso del potere politico. Questo concetto tuttavia, il quale presuppone le libertà essenziali alla base della vita pubblica, costituisce un elemento indispensabile all’elaborazione di quelle linee architettoniche fondamentali per l’edificio che stiamo per costruire. Né potrebbe bastare a questa costruzione la sola idea della solidarietà della classe operaia. Eppure questa solidarietà, superando col suo impulso internazionalista le frontiere degli Stati, potrebbe sembrare la meglio qualificata per frenare e reprimere gli eccessi dei nazionalismi, favorendo lo slargamento del mercato del lavoro e delle merci. In dati momenti storici, essa ha infatti agito in questo senso, ma talvolta anche in senso inverso. Le cause di debolezza in questi casi sono diverse, e talune derivano precisamente dall’eccessiva limitazione dello spazio vitale della classe operaia. A causa di questa limitazione gli operai sono spinti a cercare la soluzione dei loro problemi nella lotta di classe all’interno dei rispettivi paesi; ed in questa lotta hanno, talvolta, perduto la coscienza di quella che è la caratteristica più importante del Movimento Europeo, cioè la coscienza della funzione eminente, non dello Stato o della collettività, ma dell’uomo e della persona umana. Oggi una parte della classe operaia subisce la suggestione dello Stato e si trova per il momento in contrasto con l’ideale europeo, indebolendo il ruolo che potrebbe esercitare il movimento operaio in opposizione con le tendenze totalitarie del bolscevismo. Né bisogna però sottovalutare il contributo che proprio dall’umanesimo che si trova all’origine del movimento socialista può essere portato alla formazione dell’unità morale dell’Europa. Se la solidarietà della classe operaia non è sufficiente a costituire da sola la base di quell’unità, la solidarietà di altri interessi, industriali e agricoli, lo sarebbe ancor meno. Certo, per l’unità europea lo slargamento del mercato comune è un argomento che offre la sua importanza, ma la libera concorrenza che ne sarebbe la conseguenza presenta anch’essa degli aspetti negativi che possono esser ridotti soltanto dalla forza di un sentimento o di un’idea capace di stimolare la coscienza e la volontà. Questo sentimento, quest’idea, appartengono al patrimonio culturale e spirituale della civiltà comune. Se con Toynbee io affermo che all’origine di questa civiltà europea si trova il cristianesimo, non intendo con ciò introdurre alcun criterio confessionale esclusivo nell’apprezzamento della nostra storia. Soltanto voglio parlare del retaggio europeo comune, di quella morale unitaria che esalta la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, col suo culto del diritto ereditato dagli antichi, col suo culto della bellezza affinatosi attraverso i secoli, con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria. È vero che queste forze spirituali rimarrebbero inerti negli archivi e nei musei se l’idea cessasse di incarnarsi nella realtà viva di una libera democrazia che, ricorrendo alla ragione e all’esperienza, si dedichi alla ricerca della giustizia sociale; è vero anche che la macchina democratica e l’organizzazione spirituale e culturale girerebbero a vuoto se la struttura politica non aprisse le sue porte ai rappresentanti degli interessi generali e in primo luogo a quelli del lavoro. Dunque, nessuna delle tendenze che prevalgono nell’una o l’altra zona della nostra civiltà può pretendere di trasformarsi da sola in idea dominante ed unica dell’architettura e della vitalità della nuova Europa, ma queste tre tendenze opposte debbono insieme contribuire a creare questa idea e ad alimentarne il libero e progressivo sviluppo. Ora sarà proprio questa nostra Assemblea che, nel corso dei prossimi dibattiti, si sforzerà di trovare i principi di una sintesi politica, sociale, economica e morale in base alla quale gli Stati sovrani possano decidere di edificare la casa comune . Infine, che città potrebbe essere più adatta di Parigi per affermare la nostra volontà e rafforzare la nostra speranza? «Da cinque secoli, tutto ciò che è francese è universale e tutto ciò che è universale è francese», diceva Etienne Gilson . «Come una volta la Grecia – scriveva Maurois – la Francia ha il singolare privilegio di appassionare i popoli della terra al punto che tutti prendono parte alle questioni francesi». Sì, miei amici francesi, noi seguiamo con inquietudine le vostre questioni, con speranza i vostri sforzi e cerchiamo di imitarvi nei vostri successi, anche se a volte, ci capita perfino di essere indotti, sedotti dal vostro esempio, a ripetere i vostri errori. Le vostre molteplici esperienze vi hanno in ogni caso preservato dal pericolo di atteggiamenti estremi. Da un lato avete superato il pessimismo di Chateaubriand che, testimone della rivoluzione e di guerre sanguinarie, prevedeva il crollo della civiltà sommersa dai russi e, non credendo più nella missione civilizzatrice dell’Europa, consigliava a tutti di emigrare e si riservava solo il diritto di scegliere una tomba fra le rovine di Roma, vicino a quel Dio in cui credeva. Ma voi avete superato l’ottimismo romantico di Victor Hugo che diceva: «Un giorno, presto, domani, tutto cambierà forma E nell’immensità, come un fiore enorme, Sboccerà l’universo». Anche nella dolorosa esperienza dei secoli e nel parossismo di tutte le crisi, sentite che siete proprio voi ad essere destinati a creare le nuove forme di una vita in comune più libera e più giusta.
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101951-1955
Signorina, cari colleghi, non è certo per i miei meriti personali che voi mi avete nominato, e nemmeno perché io possa dimostrare una particolare esperienza negli affari che formano l’oggetto delle discussioni di questa Assemblea. Credo che voi mi abbiate indicato come riconoscimento di una fede profonda, di una convinzione cioè della necessità dell’unione europea e della vitalità delle istituzioni europee. Perciò io umilmente accetto la vostra nomina, fatta con tanta solennità. L’accetto come un impegno comune di perseverare, di continuare la marcia sulla via una volta indicata da illustri pionieri che ci hanno preceduto in questa fatica. Vedo ancora qui, in quest’aula, la figura di Roberto Schuman, nella seduta del 10 agosto 1950, quando spiegava il programma tecnico siderurgico dell’azione che la Comunità doveva svolgere. Egli era così riguardoso, così prudente così cauto a non sollevare eccessive speranze e, d’altro canto, così conoscitore delle difficoltà da superare, che le sue parole sembravano – ricordate? – quasi esitazioni, quasi mancanza di impegno, ed invece erano conoscenza profonda del cammino che bisognava percorrere. Ma egli, subito dopo avere spiegato da tecnico, da uomo d’affari quasi, i particolari del programma d’azione, allargava l’orizzonte a più vasta visione. Egli diceva: «L’organizzazione del carbone e dell’acciaio eliminerà per sempre la tensione, la possibilità di conflitti fra la Francia e la Germania»; e poi aggiungeva profeticamente queste parole: «Il Piano comporta delle possibilità che non siamo ancora in grado di valutare», nel senso della unificazione europea, nel senso della costruzione di un’Europa unita. Ed ancora qui, in quest’aula, risuona la calda eco dell’eloquenza animatrice di tutte le nostre le vostre risoluzioni: la voce del presidente Spaak, che nei momenti più critici, con grande audacia ed ardimento, ruppe l’indifferenza e sollecitò, eccitò le nostre volontà. E poi l’illustre attuale presidente dell’Alta Autorità, Jean Monnet, che è il realizzatore, il costruttore di questo edificio, di cui Schuman aveva disegnato l’armatura. Voi nelle prossime sedute discuterete il rapporto dell’Alta Autorità, troverete delle difficoltà, delle critiche da fare, vedrete che l’Alta Autorità stessa si trova ad urtare contro difficoltà ed ostacoli di interessi e tradizioni ormai inveterati. L’Alta Autorità ha bisogno di voi, ha bisogno della pressione dell’opinione pubblica, e di questa opinione pubblica interprete solenne e competente è questa Assemblea. Voi darete certamente all’Alta Autorità il contributo della vostra critica, delle vostre proposte, delle vostre sollecitazioni, ma, al di là dei particolari tecnici e amministrativi, non perderemo mai di mira la visione sintetica del nostro programma. La Comunità europea del carbone e dell’acciaio costituisce il metodo nuovo per garantire un accordo di pace e di collaborazione, con il comune controllo dei mezzi e delle risorse. Ormai questo metodo si imporrà necessariamente in tutti i settori: il controllo reciproco dei mezzi e delle risorse per le forze militari, il controllo reciproco dei mezzi e delle risorse anche quando si voglia risolvere il problema terribile delle forze nucleari. È questo, d’altra parte, il mezzo più sicuro per garantire l’esecuzione dei trattati. Ricorderete che tra il 1919 ed il 1939 i trattati internazionali che vennero conclusi furono una settantina e tutti divennero carta straccia nel momento dell’attuazione, perché mancava la garanzia organica e questa garanzia non si può trovare che nel controllo comune delle comuni risorse. La Comunità europea del carbone e dell’acciaio vivrà di forza propria per l’abilità, la capacità, dell’attuale presidente dell’Alta Autorità e dei suoi collaboratori, ma anche se in certi momenti essa dovesse incontrare difficoltà tecniche impreviste, non bisogna dimenticare che la Comunità europea del carbone e dell’acciaio ha una sua ragione d’essere che si aggiunge a quella originaria, cioè essa vive e dovrà vivere per costituire l’esempio del fatto comunitario, delle possibilità comunitarie e delle possibilità di organizzazione della pace; la pace nello sforzo unificatore degli organi, l’unione delle volontà sancita e garantita dall’unione delle risorse e dei mezzi disponibili. Signorina, cari colleghi, noi continueremo col massimo impegno i nostri lavori, ma quello che non ci deve mancare è un senso di responsabilità, direi di corresponsabilità, più ampio di quella che è la competenza specifica della Comunità: il senso, cioè, che fa vivere la nostra speranza, la convinzione e la consapevolezza che questa è la solida base da cui potremo aspettarci ogni ulteriore sviluppo. [Versione alternativa] Chiamandomi alla presidenza di questa Assemblea che controlla la prima e più felicemente avviata istituzione sopranazionale europea, voi non avete potuto onorare i meriti che non ho, né valorizzare una esperienza che mi manca; credo che abbiate voluto invece contare sulla fede comunitaria che mi anima. Ed in verità, se tale è il significato del voto vostro, io l’accetto umilmente come una nuova affermazione del nostro impegno comune a perseverare e procedere oltre sulla via incominciata e intrapresa da ben più illuminati pionieri. Come non ricordare qui, per primo, Robert Schuman, che in questa Assemblea il 10 agosto 1950 esponeva in modo così semplice e così efficace il suo piano siderurgico, l’armatura – come egli diceva – dell’edificio che voi, presidente Monnet, dovevate costruire. Con l’esperienza di un uomo d’affari, tracciava il programma dell’azione della prima Comunità, ma con la fede pratica dell’uomo di Stato allargava lo sguardo a più ampi orizzonti quando, constatato che tra la Germania e la Francia i rischi della tensione erano ormai eliminati, aggiungeva che il piano accolto e attuato comporta possibilità che noi non possiamo ancora pienamente misurare, ma che si svilupperanno rapidamente nel senso della unificazione completa, economica e politica, dell’Europa.
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L’atteggiamento europeo verso il comunismo Relazione di Alcide de Gasperi Introduzione I – Considerazioni storiche 1. Considerazioni di politica interna 2. Considerazioni di politica internazionale 3. Conclusioni II – Anti-comunismo in America e in Europa. III – Ragioni del comunismo in Europa (Francia e Italia). 1. Sviluppi recenti 2. Condizioni sociali 3. Propaganda 4. Sfruttamenti dei motivi politici 5. Finanziamento IV – Rimedi. 1. Azione di fondo: educazione politica e risollevamento della società 2. Propaganda 3. Disposizioni legislative 4. Disposizioni amministrative 5. Politica internazionale Conclusioni Introduzione Fare un rapporto completo sulla situazione del comunismo in Europa non è compito che si possa abbordare senza pretese. Non lo posso fare in senso assoluto perché il problema, seppure generale, presenta degli aspetti differenti e peculiari per ogni nazione; né in un senso relativo perché potrei sembrare pretenzioso se volessi fare delle analisi e suggerire dei rimedi in presenza di tanto degni rappresentanti di questi paesi europei. Parlerò dunque del comunismo in Italia; e questo non sarà privo di utilità, perché l’Italia rappresenta uno dei principali focolai di questo movimento e, in un certo modo, può essere considerata un caso «tipico». Tratterò alcuni aspetti che mi sembrano comuni a tutte le manifestazioni del comunismo, specialmente per quanto concerne gli eventuali rimedi; e a parte qualche riferimento al comunismo francese, lascerò ai miei illustri colleghi l’incarico di completare, nel corso del dibattito, le mie considerazioni con gli esempi relativi al problema del comunismo nei loro rispettivi paesi. Di conseguenza, questo non sarà un rapporto completo sul comunismo. Non esaminerò gli elementi fondamentali che sono tutti ben noti, poiché mi sembra molto più utile limitarmi agli aspetti storici e concreti del comunismo, che oggi serve precisare e mettere in evidenza al fine di porre il problema e risolverlo più rapidamente. Il comunismo in Italia ha trovato il suo più ricco fertilizzante nel fascismo e nella guerra nazi-fascista. La reazione al fascismo, estremismo di destra – reazione uguale e contraria – non poteva trovare migliore trasformazione che nell’estremismo di sinistra. Verso questo estremismo si dirigono degli elementi che, essendo tutti in generale antifascisti, si polarizzano all’estremità opposta, manifestamente antifascista. I Considerazioni storiChe 1. Considerazioni di politica interna Il comunismo si sviluppò nella clandestinità e ottenne, come tutti i movimenti antifascisti, uno status morale e civico, così come un colore patriottico nella resistenza contro il nemico nazista e nella partecipazione alla lotta per la liberazione. Il comunismo viene così a fare parte delle forze della ricostruzione nazionale. Si pose accanto alla democrazia e cominciò, collaborando con essa, l’opera di ricostruzione dello Stato democratico. Partecipò alla redazione della costituzione che si ispirava all’alleanza dei partiti antifascisti e alla loro lotta per l’indipendenza. Gli eventi internazionali e i loro protagonisti contribuivano a legittimare il processo di consolidamento dei comunisti italiani all’interno. 2. Considerazioni di politica internazionale La coalizione antifascista presupponeva all’interno la collaborazione con i comunisti, così come sul piano internazionale l’alleanza antifascista aveva presupposto la collaborazione sovietica. Sir Winston Churchill aveva cercato invano, nella sua preveggenza, di convincere il presidente Roosevelt ad aprire un secondo fronte in direzione di Vienna e a impegnare Stati Uniti e Gran Bretagna a contribuire così alla liberazione dell’Europa sud-orientale. In campo militare la Russia fu lasciata completamente libera e il Sig. Togliatti giunse in Italia come un alleato. Fu inserito, con l’appoggio delle autorità alleate, con tutta la sua organizzazione e i suoi uomini, nei quadri del nuovo Stato e nell’amministrazione pubblica. Già prima che i territori fossero resi alla sovranità italiana, furono nominati dei prefetti filocomunisti e migliaia di elementi comunisti furono impiegati nei quadri di polizia. 3. Conclusioni Dopo tre anni, nel 1947, i comunisti avrebbero faticato a lasciare il governo e la normalizzazione avvenne lentamente e con difficoltà a causa delle tracce profonde che avevano lasciato. Le circostanze favorevoli della clandestinità antinazista e la sua partecipazione alla formazione del nuovo Stato democratico avevano costituito per il comunismo una felice occasione di inserirsi nella vita politica e socialeitaliana. Il terreno era stato propizio a causa della tradizione marxista e soprattutto a causa della miseria e dell’ingiustizia sociale, aggravate dai disastri della guerra. La tradizione marxista in Italia e in Europa, la reazione al fascismo e alla guerra, l’estremo malessere morale e materiale del Paese: ecco gli elementi su cui piantò le sue radici lo sviluppo comunista nell’Italia del dopoguerra, che tanto ha impressionato molti dei nostri amici. Dobbiamo tener conto di tutti questi elementi, senza eccezione, per determinare la natura e la misura della forza del comunismo, così come per definire la nostra linea di opposizione. ii anti-Comunismo in ameriCa e in europa I nostri amici americani non prendono in considerazione questi elementi. Gli americani, quando suggeriscono un’azione politica e inviano delle raccomandazioni, si fondano sulla loro esperienza piuttosto che sulla nostra. Il comunismo europeo e il comunismo americano sono due cose differenti, così come lo sono i loro precedenti storici. Affermare che il nostro comunismo nasce dalla miseria e che il comunismo americano nasce dalla ricchezza può avere l’aria di un paradosso. Tuttavia resta vero che il comunismo significa reazione e stanchezza rispetto a uno stato precedente. E mentre in Europa si tratta di stanchezza rispetto a uno stato di ingiustizia sociale e di miseria, in America al contrario si vive in un clima di medio benessere, standardizzato ma soddisfacente. Si tratta piuttosto di impazienza e di velleità intellettuali di dottrinari. Quale che sia il comunismo in America, da noi il fenomeno è differente. Le manifestazioni sono in effetti tutt’altre: in Europa, perfino l’ordine apparente dei fini e dei mezzi è inverso. Dato che il fenomeno e le sue origini sono differenti, anche i rimedi lo dovranno essere. L’America è all’inizio della lotta contro il comunismo e non può pretendere che l’Europa segua il suo metodo. Il sistema dei signori senatori MacCarthy e MacCarran costituisce la prima reazione eccessiva di una democrazia contro la novità di un movimento rivoluzionario. Corrisponde press’a poco – fatte salve le debite proporzioni e senza volere offendere quegli illustri senatori – alla reazione violenta che il comunismo sollevò in Italia trent’anni fa. Questa reazione condusse, beninteso, in altre condizioni politiche e sociali, alla dittatura. L’esperienza ci costò cara, ma fu salutare. Ciò nonostante, in questo secondo dopoguerra, malgrado la nuova minaccia comunista, molti dei nostri amici stranieri, così come una larga parte dell’opinione pubblica nazionale, ricordando gli eccessi dell’epoca fascista e degli effetti disastrosi di una reazione antiliberale si mostrano estremamente sensibili di fronte al governo italiano e sorgono immediatamente ad accusarci di «fascismo» ogni volta che vogliamo agire con severità contro i comunisti. I metodi – dicono – devono restare democratici. Qualche amico inglese ha criticato la nuova legge elettorale proposta nel 1953, dettata dal desiderio di garantire la stabilità di governo. Il maccartismo, con le sue leggi anticomuniste in vigore negli Stati Uniti, rivela – se mi è consentito dirlo – una mancanza di maturità tipica di chi si trova di fronte alle prime difficoltà e ancora in condizioni differenti, a causa del ridotto numero di avversari. Ma per noi certi metodi non devono solo essere definiti inopportuni; ci paiono inefficaci perché ingenui. Dopo anni, abbiamo esaurito il maccartismo; ora ci serve qualcosa di nuovo e di meno rudimentale. iii motivi del Comunismo in europa (FranCia e italia) Prima di parlare di rimedi, consideriamo ora il fenomeno come esso si presenta da noi. 1. Sviluppi recenti L’anno 1947 registrò un avvenimento di importanza fondamentale per i paesi con una forte presenza comunista: la costituzione del Cominform, che comportò un’unità di azione più stretta fra i partiti comunisti e una dipendenza più disciplinata dei diversi movimenti dalla centrale cominformista. I partiti comunisti francese e italiano assumevano un ruolo di primo piano. Il partito comunista italiano, il primo in Europa per numero di aderenti e per l’efficienza della sua organizzazione; il partito comunista francese, il primo per il suo spirito combattivo e per la sua influenza intellettuale. I due partiti, a partire dal 1947, agirono in stretto collegamento e le differenti tattiche furono seguite con il pieno consenso dell’altro. In Francia, la percentuale di voti comunisti, che era stata al suo punto più elevato (29,3%) alle elezioni del 24 novembre 1946 per il Consiglio della Repubblica, segnò un calo nel numero di iscritti e di votanti. Dal 24% alle elezioni per la Costituente del 1946, al 25,3% alle elezioni comunali del 1950, al 20% a quelle del 1951. In seguito, dal 25,7% alle elezioni legislative del 17 giugno 1951, al 23,5 % circa alle elezioni legislative e cantonali parziali del 1952. Il comunismo francese resta tuttavia una forza unita e organizzata, ben equipaggiata spiritualmente e materialmente. In Italia, le percentuali sono più elevate e la situazione è resa più grave dalla presenza di un partito socialista sottomesso, esempio unico in Europa, ai comunisti. Dal livello molto alto (39,7%) toccato alle elezioni del 1946, si scenderà nel 1948 al 30,9% per risalire nel 1953 al 34% del totale dei voti . In Francia, come in Italia, bisogna distinguere fra coloro che votano per i comunisti e quelli che sono dei veri comunisti. Si può affermare che in Italia meno di un terzo della massa votante è formata da comunisti convinti. In Francia si dice che questa proporzione è di uno su dieci. 2. Condizioni Sociali Quali sono le ragioni che spingono la gente a votare comunista? Nei due paesi è lo scontento delle masse per le condizioni sociali e il livello di vita. In Italia, la disoccupazione e la sottoccupazione (in tutto, più di 3 milioni di persone) agiscono, molto più che in Francia, come impulso verso l’estrema sinistra; ma in Italia, come in Francia, l’operaio, e da noi il «bracciante», cerca tradizionalmente la difesa dei suoi interessi economici nell’organizzazione sindacale, sia essa diretta dai comunisti nella loro azione politica oppure no. In Italia e in Francia i partiti comunisti fondano le loro forze su un sistema di propaganda molto efficace, su una larga disponibilità finanziaria, su un’organizzazione civile e paramilitare che non è soltanto efficiente, ma che ispira alle masse rispetto e timore. 3. Propaganda Assistiamo a una propaganda ragionata e differenziata per località e categoria, con una tattica minuziosa che si svolge attraverso numerose iniziative diverse: da una parte sfruttando le esigenze particolari di ciascuna categoria (dalle riunioni culturali alle «settimane degli elettrici») in modo da dare voce a ogni malcontento; dall’altra valorizzando senza scrupoli ogni avvenimento politico nazionale e internazionale. 4. Sfruttamento dei motivi politici In Francia come in Italia i comunisti scelgono gli alleati più inconcepibili al fine di portare un attacco al governo e alle democrazie. In Francia, li abbiamo visti accanto ai gollisti al solo fine di scatenare la tempesta riguardo alla C.E.D. In Italia li abbiamo visti schierarsi con l’estrema destra o con l’Unione Sovietica, per loro del tutto la stessa cosa. Allo stesso modo, non si sono fatti scrupoli a fare opposizione per principio, senza alcun riguardo per gli interessi nazionali né per i compagni d’armi. 5. Finanziamento Il finanziamento del partito comunista comprende più capitoli che sono ben conosciuti, quali la distribuzione di tessere, il contributo obbligatorio dei parlamentari, le attività commerciali (percentuale sulle esportazioni e importazioni), sovvenzioni da parte degli industriali e tutta una serie di altre iniziative. Queste entrate darebbero al partito fino a dieci miliardi di lire l’anno. Oltre a queste entrate, è più che probabile che altre entrate provenienti sotto forme differenti dal Cominform si aggiungano al bilancio del P.C.I. Si tratta di una sorta di piano Marshall segreto, steso per il sostegno ai partiti comunisti dei paesi occidentali, che sono gli strumenti più importanti messi a disposizione della politica internazionale dal Cominform. Dato che il partito comunista italiano ha speso circa 28 miliardi di lire nel corso di un solo anno, bisogna dedurre che possa sempre saldare il suo deficit mediante delle risorse segrete ricevute dall’estero. Le eventuali difficoltà finanziarie e i deficit che a volte sono portati a conoscenza del pubblico costituiscono degli stimoli per gli organi locali e degli espedienti per ingannare l’opinione pubblica. iv rimedi Come opporsi dunque all’attacco tanto potente e mascherato degli avversari? 1. Azione di fondo: educazione politica e risollevamento della società Serve anzitutto sviluppare un’azione di fondo che consiste nell’educazione democratica e nel miglioramento delle condizioni sociali. Ecco il compito comune di tutti i governi democratici; ma si tratta di un’azione lenta all’interno dei nostri paesi e non ci stancheremo di ripeterlo ai nostri amici oltre atlantico. È stato detto che servono cinque minuti per convertire un uomo al comunismo, ma vent’anni per farne un democratico. Mi sembra un assioma felice anche perché traduce in termini etico-politici una legge indiscutibile, secondo la quale è più difficile costruire che distruggere. L’azione di fondo è lenta anche perché essa non è sufficiente a se stessa. Noi abbiamo visto che le possibilità del comunismo in Italia, e può essere anche altrove, non derivano solamente dalle esigenze sociali, ma anche dalla tradizione marxista e dalla reazione al fascismo e alla guerra. L’esame di alcune cittadelle rosse e delle differenti circostanze in cui il comunismo vi è fiorito lo provano ampiamente. In molte industrie del nord (Piemonte), dominate prima del fascismo dalle forze operaie che non erano rosse, dopo la guerra si affermarono delle maggioranze comuniste che attualmente sono in diminuzione. Questo ritorno comunista fu effetto dell’antifascismo. In Toscana e nelle Marche ci sono delle zone agricole molto prospere, ma a forte maggioranza comunista. Qui la base è, al contrario, ispirata dalla tradizione di atteggiamenti estremisti. Il Mezzogiorno, infine, zona di penetrazione rossa recente, è il terreno attualmente più aperto e facile per lo sviluppo dei principi rivoluzionari, perché vi dominano miseria e ignoranza. 2. Propaganda Gli esempi precedenti appaiono in tutta la loro importanza quando si arriva a una delle armi principali con cui ci si può opporre al comunismo: intendo dire la propaganda. La nostra deve avere un carattere simile a quella dei comunisti: deve essere intensa, intelligente e differenziata a seconda della località e delle categorie. In Italia si contano a migliaia gli attivisti comunisti che parlano ai loro concittadini nel linguaggio più accessibile. Il problema della propaganda costituisce un problema finanziario molto difficile per il governo e i partiti democratici, che si difendono con difficoltà dai potenti agenti degli avversari. Parecchie volte, nella NATO, abbiamo insistito, vanamente, sulla necessità di coordinare la propaganda delle nazioni della Comunità atlantica con l’aiuto di fondi comuni al fine di combattere efficacemente la propaganda sovietica e comunista. La propaganda è essenziale. È stato dimostrato per esempio, come già detto, che le sole misure che combattono la miseria e innalzano il livello di vita sono insufficienti (cosa che dà ulteriore prova della complessità del comunismo e della necessità di attaccarlo nel suo insieme). La riforma agraria, la costruzione di alloggi, la ripartizione della proprietà costituiscono nella prospettiva dei secoli delle innovazioni tali che nessun governo in Italia, democratico o fascista, aveva mai realizzato. Ci si attende una diminuzione degli effettivi nei ranghi dei comunisti; e lo si è visto all’inizio con numerosi nuovi proprietari che hanno lasciato il partito. La contropropaganda modificò la situazione fra il 1948 e il 1953, in tutto il Mezzogiorno; e anche nelle zone dove le proprietà furono distribuite i comunisti poterono ottenere un aumento di voti. In effetti, dopo i primi progressi, coloro che vivevano nella miseria totale hanno preso coscienza delle differenze sociali e si sono resi conto dei loro diritti morali e politici. Il comunismo può ben lavorare su questo stato di spirito attribuendosi il merito dei progressi realizzati e stimolando lo scontento di fronte al lungo cammino ancora da percorrere. La nostra propaganda deve essere spinta in profondità e si deve insistere su certi temi: bisogna ripetere che i comunisti obbediscono allo straniero e che perciò non sono forze nazionali; che desiderano sabotare l’organizzazione della pace e della sicurezza; e che i loro slogan non sono che lo sfruttamento demagogico dei nostri insegnamenti. 3. Disposizioni legislative Oltre all’azione sul piano sociale e di propaganda, che richiede finanziamenti adeguati, in Italia si è tentato di ricorrere a misure legislative. In Italia abbiamo proposto l’approvazione della legge maggioritaria per le elezioni del 1953. Come ho ricordato, questa legge fu denunciata dalle opposizioni all’interno e all’estero come se fosse democraticamente irregolare e, partendo da giudizi sfavorevoli di una parzialità faziosa o superficiale la si è voluta presentare come un colpo di stato. Non si è voluto ammettere che, affermando la stabilità di governo, questa legge riduceva le forze anticostituzionali. Similmente, abbiamo preparato una legge sindacale che fu un tentativo di disciplinare i conflitti del lavoro e di definire il diritto di sciopero per i servizi essenziali e per i funzionari dello Stato. Questo progetto di legge incontra la massima opposizione soprattutto da parte dei sindacati, che considerano poco democratico regolamentare il diritto di sciopero. Infine, abbiamo presentato al Parlamento la legge cosiddetta «polivalente» al fine di coordinare le leggi già esistenti e di colpire le manifestazioni antidemocratiche degli estremisti di sinistra e di destra. Anche questa misura è stata combattuta da molti democratici che la considerano illiberale. Questa legislazione speciale avrebbe potuto sopperire alle lacune della costituzione di cui già abbiamo parlato. È così che non disponiamo di una legge fondamentale per la difesa dello Stato, come quella della Repubblica federale tedesca. Un’applicazione più stretta delle leggi esistenti è in ogni modo necessaria. In generale si può dire che non si ha l’intenzione di perseguire il cittadino che vuole vivere al di fuori della legge, ma di colpirlo là dove agisce contro la legge. 4. Disposizioni amministrative Ci sono infine le misure amministrative; misure che il governo ha il potere di adottare nel quadro delle leggi esistenti: esse servono a difendere lo Stato, a eliminare l’asprezza delle azioni contro l’amministrazione e a ridurre quelle posizioni di preminenza nel paese, facilmente accaparrate da un’organizzazione energica e senza scrupoli che si propone di scalzare l’ordine costituzionale. Le misure adottate fino ad ora in Italia sono di natura differente. Anzitutto stiamo per recuperare i locali ceduti dopo la liberazione da amministratori comunisti o cripto-comunisti compiacenti al P.C.I., che se ne serve per le sue organizzazioni. Si è inoltre iniziata un’azione per riconoscere e eliminare completamente le infiltrazioni di comunisti nell’amministrazione dello Stato. Questa azione non può giungere all’esclusione dei «membri», o iscritti comunisti, dagli impieghi pubblici. La quinta colonna comunista nei paesi latini non può essere intralciata dai «giuramenti di fedeltà» o da considerazioni di appartenenza al partito: da noi gli elementi più pericolosi possono anche non essere iscritti. Bisogna quindi fermare gli aiuti governativi alle organizzazioni di diffusione (cinema), che fanno propaganda comunista mascherata. Infine abbiamo adottato un severo sistema di reciprocità negli scambi «culturali» e «artistici» con i paesi comunisti. 5. Politica internazionale La politica internazionale, l’abbiamo già detto, ha preparato le condizioni necessarie per il fiorire del partito comunista in Italia. Le correnti politiche in Italia si contrappongono, si ravvicinano e si schierano seguendo i movimento della grande politica mondiale. L’alleanza dei tre grandi combattenti ha avuto da noi la conseguenza di provocare l’unione delle forze antifasciste; la contrapposizione est-ovest ha provocato la separazione fra le forze democratiche e comuniste; infine – e questa è la fase più grave del fenomeno – la mancanza di una politica internazionale unitaria della grandi democrazie, di fronte alla consistenza monolitica del raggruppamento sovietico, ha provocato un rafforzamento delle posizioni nazionali comuniste e un indebolimento e uno smarrimento della democrazia e delle forze che la compongono. L’assenza di una politica democratica unitaria ha favorito enormemente il comunismo. Nei primi anni del piano Marshall e del Patto atlantico si è visto lo spirito aggressivo sovietico respinto dalla politica unitaria delle comunità democratiche. In Italia, la democrazia vinse la battaglia elettorale. Poi venne la cosiddetta politica di distensione, che provocò un intorpidimento della comunità atlantica e restituì l’iniziativa alle forze bolsceviche. Noi in Italia ne abbiamo subito le conseguenze, con il crollo del fronte democratico alla elezioni del 1953. Infine gli avvenimenti d’Indocina ci presentano lo spettacolo di più politiche occidentali di fronte all’attitudine aggressiva e impenetrabile dei comunisti d’oriente. Serve, insomma, una politica internazionale unitaria, ma bisogna che essa sia anche solidale. Durante i primi anni del dopoguerra questa solidarietà trovò la sua applicazione nell’OECE e nel piano Marshall che fu, come già detto, uno dei fattori più importanti della vittoria democratica in Italia nel 1948. L’aiuto materiale continuò, ma la solidarietà che aveva ispirato la politica degli americani cedette il passo a un senso di tradimento. Essi si attendevano ben di più dagli europei, un’unificazione più rapida e una lotta energica contro il comunismo. Questa delusione trovò presto delle espressioni sfortunate. Certi negli Stati Uniti furono sfavorevolmente impressionati e ci si meravigliò che i considerevoli aiuti concessi all’Italia non fossero bastati a diminuire il numero dei comunisti italiani. Simili proposte potevano nascere solamente da una conoscenza superficiale dell’essenza del comunismo e delle cause che l’hanno determinato. Si è arrivati per esempio a minacciare il ritiro delle commesse militari alle fabbriche che avevano operai che votano comunista: cosa che avrebbe fatto aumentare il numero dei disoccupati e di conseguenza anche quello dei comunisti. Forse qualcuno ha previsto la prossima vittoria del comunismo e la fine della democrazia in Italia? Questi risentimenti e questa impazienza americani sono comprensibili ma nascono da una mancanza di fiducia nel metodo della nazione alleata, che è differente dal loro. Una politica solidale richiede al contrario fiducia. Bisogna certo conoscere la linea politica di un governo e la volontà della maggioranza del paese, ma fatto questo bisogna dare fiducia alle persone responsabili sulla scelta dei mezzi. Conclusioni Non bisogna avere l’aria di imporre un metodo piuttosto che un altro né abbandonarsi all’impazienza e al rancore se le soluzioni desiderate tardano a venire. Se manca la fiducia non si può avere solidarietà e se manca la solidarietà la comunità ne resta scossa. In una comunità a regime totalitario (Stato guida e satelliti), che si fonda sulla forza e sulla violenza, i metodi possono essere imposti e i membri della comunità restano uniti anche se fra loro esistono sentimenti di odio; mentre in una comunità di nazioni libere e democratiche, in cui non si applicano sanzioni di forza, si otterranno effetti negativi, cioè si provocherebbe diffidenza e stanchezza nell’opinione pubblica se si volessero imporre dei metodi particolari. Mi si permetteranno, spero, riflessioni di questo genere, poiché in un incontro come questo, riservato a degli amici sinceri, siamo obbligati alla franchezza. Abbiamo bisogno di una politica internazionale solidale. In questa idea di solidarietà, come noi l’abbiamo vista, si mescola e predomina un elemento di fiducia; una fiducia che si fonda sulla comprensione delle difficoltà e delle esigenze reciproche. Formulo il voto che il nostro appello alla fiducia e alla comprensione possa allontanare lo spirito di pessimismo che è tanto vicino alla diffidenza e alla paura. È psicologicamente importante che noi combattiamo il comunismo da uomini forti, con coraggio e ottimismo. Bisogna essere realisti, ma non apocalittici; renderci conto che se noi parliamo e agiamo come se ci minacciasse un cataclisma incoraggiamo l’avversario e deprimiamo l’opinione pubblica. Il nostro dovere è al contrario dare speranza e coraggio a coloro che sono esitanti, al fine di ottenere che si schierino dalla nostra parte.
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D.: Quale è la posizione della Comunità del Carbone e dell’Acciaio nel quadro delle istituzioni Europee? R.: Come è noto il Consiglio d’Europa di Strasburgo, nato nel 1950, non ha risposto ai voti degli Europei più entusiasti in quanto non è riuscito ad assumere carattere sopra-nazionale con la sua Assemblea che i governi vollero che fosse puramente consultiva. Dopo le prime ottimistiche speranze ci si rese conto che una effettiva organizzazione, cui fosse delegata parte della sovranità nazionale degli Stati aderenti, non poteva avere che attribuzioni limitate a singoli settori, ed è merito grande del grande europeista Robert Schuman l’aver concepito il progetto della Comunità carbo-siderurgica, che risponde ad un reale interesse comune e nello stesso tempo si presenta come strumento di pacificazione politica in Europa e mezzo di elevazione sociale. La CECA è stata realizzata ed alla sua assemblea vengono riconosciuti qui poteri che, nel suo limitato settore, sono effettivamente quelli di un’assemblea sovrana. Primo Presidente ne è stato il socialista Spaak il quale ha brillantemente tenuto la carica fino alla sua recente nomina a ministro degli Esteri. Io sono lusingato dall’onore di essere chiamato alla sua successione giustificata soltanto dalla mia immutabile fede nell’idea dell’Europa. Come è noto il bilancio della attività della CECA dal giorno della sua istituzione è largamente favorevole e noi Italiani siamo tra coloro che hanno beneficiato nella sua organizzazione. D.: Quali crede che siano i possibili sviluppi della Ceca? R.: I futuri sviluppi possono essere considerati sotto due aspetti: uno tecnico-economico ed uno politico. Sotto l’aspetto tecnico la Comunità potrà perfezionare la sua organizzazione intesa a raggiungere un allargamento del mercato comune ed una diminuzione dei prezzi, dedicando una parte sempre maggiore della sua attività ai problemi sociali. Sono già allo studio progetti di prossima attuazione per un miglioramento degli alloggi dei minatori anche in Italia. Dal lato politico la CECA attira sempre più l’attenzione dei Paesi che non ne fanno parte e recentemente è stata decisa la partenza di un membro dell’Alta Autorità per l’Inghilterra in seguito all’interesse suscitato in quella Nazione dalla esperienza già fatta. La stessa Alta Autorità, e cioè il signor Jean Monnet, ha ottenuto recentemente un prestito americano di 100 milioni di dollari, dimostrando che la CECA ha una sua precisa figura giuridica in campo internazionale che le consente di trattare direttamente con i vari Governi. D.: Ritiene Lei che la CECA possa essere integrata in un più vasto piano di collaborazione internazionale? R.: Certamente; anzitutto perché nel mondo economico una singola attività non può a lungo vivere isolata, ma soprattutto perché una trasformazione della struttura della CECA è già prevista, specie per quanto riguarda la sua Assemblea, poiché questa dovrà trasformarsi in Assemblea della Comunità politica europea dopo la approvazione del progetto per la Comunità europea di Difesa. D.: E pensa Lei che il progetto per l’Esercito Europeo sarà presto ratificato in Italia e in Francia? R.: Non intendo qui lasciarmi andare a delle profezie ma sono statosempre del parere che se si vuole tranquillamente lavorare alla ricostruzione morale e materiale dell’Europa è necessario rendere ai nostri paesi la tranquillità mettendoli al riparo da ogni minaccia mediante un valido strumento di difesa.
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Signore e signori! Non avrei potuto apprezzare pienamente l’onore fattomi dalla vostra Università invitandomi davanti a voi per una relazione sull’essere e il divenire della Comunità europea del carbone e dell’acciaio se non mi fossi ricordato che la vostra città e il vostro cantone hanno le radici della loro cultura e tradizione nella storia lontana del medioevo europeo, ai tempi in cui il pensiero europeo da un lato e il pensiero federativo dall’altro hanno giocato un ruolo tanto importante. I secoli della fedeltà al pensiero dell’unione europea della vostra città, allora nell’impero romano, e le lotte condotte dai vostri antenati per contribuire efficacemente alla prima fondazione della confederazione svizzera, restano, ieri come oggi, un esempio e un insegnamento per i politici di ora che si dedicano all’Europa unita. Do per scontato che conosciate già la costruzione e la struttura giuridica della CECA e mi limiterò quindi ad attirare la vostra attenzione su alcune considerazioni politico-economiche che mi sembrano essenziali e che si possono formulare dopo due anni di esistenza della Comunità. Vi sarà noto che il pensiero alla base della costituzione della Comunità era quello di limitare il potenziale di conflitto fra gli stati membri mettendo sotto un’unica amministrazione una parte significativa dell’industria di base degli stati partecipanti e così di creare la possibilità di superare i conflitti in quel settore attraverso la regolamentazione pacifica. Il valore della produzione dell’industria del ferro e del carbone dei sei paesi ammonta a circa 5-6 miliardi di dollari annui, cioè a circa il 6% della produzione totale di questi paesi, il 15% del prodotto della loro industria. Dà occupazione a 1.750.000 lavoratori, cioè al 10% della loro forza lavoro totale. In termini di quantità, questa produzione totalizza circa 300 milioni di tonnellate, cioè il 40% del tonnellaggio complessivo trasportato nei sei paesi. In Belgio e Lussemburgo vengono esportati 2/3 della produzione di carbone e acciaio, in Francia 1/3, in Germania 1/6. La produzione di carbone e acciaio della Comunità costituisce i 2/3 della produzione mondiale. Per realizzare questa partecipazione dell’industria di base, il trattato dell’Unione si fonda su un principio essenziale: il mercato comune. Questo significa che all’interno dei confini della Comunità devono cadere tutti gli ostacoli alla libera circolazione di questi prodotti e dei loro fattori di produzione. Tutti i dazi, le restrizioni quantitative, e tutto ciò che può ostacolare la libera circolazione deve essere cancellato. Inoltre nel trattato è previsto un sistema di libera concorrenza che si fonda sul principio della non discriminazione e della trasparenza dei prezzi. Gli organi della Comunità cui è affidato il raggiungimento di questi fini formano grosso modo una costruzione simil-statale, alla cui Alta autorità è affidato il potere esecutivo. L’assemblea generale esercita il controllo sull’attività dell’Alta autorità con una posizione e composizione che assomiglia a quella dei parlamenti nazionali. La giustizia viene assicurata da una Corte di giustizia. Il trattato prevede inoltre un organo particolare: il Consiglio dei ministri, il cui compito è di accordare l’attività dell’Alta autorità con quella dei governi, che hanno la responsabilità della politica economica nei loro paesi. Nei primi due anni di vita della Comunità sono entrate in vigore le prime più importanti misure per realizzare questi principi. È di sicuro di grande interesse trarre un breve bilancio. Dopo che nei primi mesi i diversi organi della Comunità hanno cominciato la loro attività e il mercato comune di carbone, polvere di ferro, rottami metallici e acciaio è stato avviato, ora si possono constatare i primi risultati economici di tali misure. Lo scambio di beni fra i mercati si è sviluppato in modo tale che da un lato per i consumatori è stato possibile godere di significative diminuzioni di prezzo, dall’altro si sono mantenute le migliori condizioni di produzione e occupazione anche se la congiuntura è stata meno favorevole rispetto all’anno passato. Così sono stati raggiunti i primi obiettivi posti dal trattato e la Comunità si è avvicinata ai suoi obiettivi fondamentali, l’aumento della produzione attraverso l’accesso libero e uguale per tutti alla produzione e il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori. La costituzione e il funzionamento del mercato comune sono già diventati una realtà concreta della Comunità che si può rappresentare concretamente al meglio attraverso alcune cifre. Il volume di scambio del carbone fossile all’interno del mercato della Comunità nel gennaio-febbraio 1954 era superiore del 23,3% rispetto alla media mensile degli ultimi tre anni prima dell’apertura del mercato comune. In tutto l’anno 1953 lo scambio di carbone fossile è aumentato di circa 3,5 milioni di tonnellate, cioè del 22% rispetto al 1952, nonostante, a causa della congiuntura generale, il consumo fosse calato del 5%. Il contributo di questo scambio alla produzione è cresciuto da un anno all’altro dal 6,6 all’8,1%. Contemporaneamente, per evitare pesanti disturbi negli ambiti economici nazionali che si sarebbero potuti verificare con questa veloce introduzione della concorrenza, sono entrate in vigore le misure protettive previste nel trattato, come una quota di compensazione fra i produttori più e meno efficienti, un sistema di prezzi a zone e infine alcuni interventi locali per la protezione dei lavoratori che rischiano il posto di lavoro. Se si considera il volume degli scambi di ferro e acciaio prima e dopo l’introduzione del mercato comune, si può notare che l’aumento della media mensile degli scambi è del 23,7%. È interessante notare che quasi in tutti i paesi della Comunità questo incremento degli scambi non si è sviluppato in una sola direzione, ma sia nella vendita sia nell’acquisto. Questo significa anche che i consumatori di tutti e sei i paesi hanno a disposizione possibilità molto maggiori di scegliere i loro fornitori, così come i produttori dispongono di un numero molto maggiore di clienti. Se si paragonano le commesse in entrata da un altro paese della Comunità rispetto a quello della fabbrica del produttore con il totale delle commesse in entrata della Comunità, si ottiene il cosiddetto «tasso di compenetrazione reciproca dei mercati». Questo è considerevolmente cresciuto, dal 14% nel settembre e ottobre 1953 al 17,5% di novembre 1953 – marzo 1954. Questo tasso negli anni dal 1950 al 1953 era intorno al 9 -11%. I prezzi di ferro e acciaio della Comunità mostrano diminuzioni di fino al 12% rispetto ai prezzi dell’anno precedente e in generale sono inferiori ai prezzi precedenti allo stabilimento del mercato comune. Lo stesso sviluppo favorevole si ritrova riguardo al minerale di ferro. Prima dello stabilimento del mercato comune la circolazione del minerale di ferro, in particolare di quella della Lorena che costituisce i 2/3 della produzione totale della Comunità, subiva diverse pesanti limitazioni. Il volume degli scambi nel 1953 è aumentato del 10% rispetto all’anno precedente. Semplicemente lo sfruttamento delle miniere potrebbe aumentare del 4,1% con relativo miglioramento dell’occupazione. I compratori potrebbero quindi godere di prezzi inferiori del 14% rispetto ai precedenti e inoltre, con l’armonizzazione delle tariffe ferroviarie, di un ulteriore risparmio nei costi di trasporto in media del 15%. Un’organizzazione particolare è stata creata per il mercato dei rottami metallici, in cui è stata creata una cassa di compensazione (fra i consumatori) per l’importazione da paesi terzi: contemporaneamente la circolazione nel mercato interno è stata portata progressivamente alla totale liberalizzazione. La reciproca compenetrazione dei mercati anche qui è aumentata velocemente, mentre i prezzi sono generalmente diminuiti: per alcuni consumatori della Comunità queste misure hanno comportato miglioramento dei prezzi del 14% in un anno. Una serie di altre misure sono state adottate con l’obiettivo di rendere il funzionamento del mercato comune sempre più «fluido» e elastico. Fra le più importanti si ricordano: le prime misure per l’abbattimento di tutti gli ostacoli di carattere amministrativo, la complessa e molto delicata eliminazione di tutte le discriminazioni nei trasporti e la preparazione di un ribasso unitario nelle tariffe ferroviarie, sia che il tratto corra all’interno di un certo confine o lo superi, e infine è stato affrontato il complicato problema dei cartelli e delle fusioni che rilasciano le necessarie ordinanze per rendere possibili una verifica precisa dell’attività di queste organizzazioni. D’altro lato è stata pianificata una generosa politica di investimenti, che nei prossimi anni non influirà solo sull’industria carbo-siderurgica ma dovrà contribuire considerevolmente anche alla crescita generale dell’economia nei sei paesi. Per questa politica di investimenti la Comunità ha firmato un contratto per un primo prestito di 100 milioni di dollari a cui molto probabilmente ne potranno seguire altri. Last but not least, è stata già predisposta una politica per la soluzione delle questioni sociali, che come primo obiettivo si pone la ricollocazione della forza lavoro disoccupata e il libero movimento della forza lavoro. Già più volte si è intervenuti in casi singoli pagando indennizzi e concedendo sussidi per l’ottenimento di nuovi posti di lavoro. Inoltre si è chiusa da poco la prima conferenza fra gli stati membri che ha preparato una bozza di accordo in cui vengono fissate le prime misure concrete per realizzare la libertà di movimento della forza lavoro. Con tutto ciò non vogliamo però scordarci che siamo solo all’inizio. I mercati comuni sono stati aperti circa un anno fa. Cambiamenti durevoli nella produzione e nei prezzi di carbone e acciaio sono da attendersi non sul breve bensì sul lungo periodo. Ancor più rilevante quindi è che i primi successi siano da registrare già dopo un anno. Poiché il mercato comune non è ancora completato, anche il giudizio sul suo funzionamento può essere solo provvisorio. Solo il futuro permetterà un giudizio definitivo e non solo perché il mercato comune non è ancora realizzato pienamente ma anche perché gli effetti maggiori si sentono nel lungo periodo. Il vantaggio maggiore della realizzazione di un mercato comune sta nel fatto che esso assicura alle imprese della Comunità un mercato grande e relativamente stabile. La mette in condizione di specializzare la propria produzione abbassando i costi di produzione. In rami dell’industria ad alta intensità di capitale, come l’industria estrattiva e quella siderurgica, la specializzazione della produzione non può avvenire in un anno e la diminuzione dei costi di produzione che va mano nella mano con la specializzazione non può quindi esprimersi già all’attuale livello dei prezzi. Questo significa anche che c’è la giustificata speranza che lo stabilimento del mercato comune potrà avere effetti favorevoli di più lungo periodo che potrebbero superare di molto i primi appena citati vantaggi. Da questo sunto purtroppo troppo breve degli avvenimenti più importanti dei primi due anni di vita della Comunità spero di avervi dato, signori e signore, un quadro generale dell’evoluzione della Comunità. A mio parere si possono già trarre lacune considerazioni di carattere politico. Tutto ciò che è stato fatto – e non bisogna sottovalutare le grandi difficoltà sorte dalla novità delle vie da percorrere e la necessità di spezzare vecchi interessi e abitudini – è stato raggiunto con la stretta e fruttuosa collaborazione fra gli organi della Comunità. La collaborazione fra Alta autorità e Consiglio dei ministri – nel quale si fanno valere esigenze e interessi nazionali – è stata così approfondita e ampliata che nell’ottobre 1953 i due organi hanno concordato di valutare insieme la loro politica generale di espansione e di investimento in modo da coordinarsi. Anche la questione dei sistemi fiscali in vigore nei sei paesi ha spinto i due organi a decidere di trattare congiuntamente il problema alla ricerca di un sistema per quanto possibile unitario. In molte altre questioni è stata studiata una simile necessità per problemi che non rientrano direttamente nell’ambito del trattato CECA. Così, nella pratica della soluzione amministrativa dei problemi quotidiani, si apre la strada, lentamente ma certamente, per il riconoscimento che una sempre più stretta unione economica è inevitabile. Anche i lavori dell’assemblea comune, che da breve tempo ho l’onore di presiedere, sono animati dallo stesso spirito – più per necessità pratica che per considerazioni teoriche o giuridiche. Si è sviluppato un sistema di consultazione permanente fra Alta autorità, commissioni e plenum dell’assemblea che già si è dimostrato fruttuoso. L’Alta autorità cerca e trova in queste consultazioni permanenti l’appoggio politico per la sua politica e per le decisioni che rientrano nelle sue competenze. Parlando semplicemente, l’assemblea ha potuto approfondire le singole questioni in modo che le sue discussioni non avessero più il carattere di una contrapposizione di singoli interessi locali, ma in modo da chiarire gli interessi della comunità nella cornice più alta di una obiettiva e quindi molto più fruttuosa discussione e da fissare le linee di una politica utile a tutta la comunità. Quale motivo di questa oggettività fra l’altro bisogna portare il fatto che nella maggior parte dei casi l’assemblea secondo il trattato dispone soltanto della possibilità di un generico controllo politico post hoc: per le attività ancora mancanti ha a disposizione solo la possibilità di fissare le linee generali della politica da seguire. Di qui discende che la discussione può essere molto più obiettiva e concreta: le singole questioni vengono discusse sia dal punto di vista puramente politico sia da quello sociale ed economico fin nei particolari, cosa che è meno frequente nei parlamenti nazionali. A mio parere, anche il fatto che alla Corte di giustizia vengano portati proporzionalmente pochi casi controversi, nonostante la novità della materia e dei diritti creati con i trattati – che avrebbero fatto attendere molte più controversie – è un segno della cooperazione sempre più stretta di tutti gli organi della comunità. Questa nuova creazione ha dimostrato così la sua vitalità e ha disperso i dubbi sollevati da più parti alla sua costituzione. I sei mercati – per quanto riguarda carbone e acciaio – sono davvero diventati uno solo; gli organi centrali hanno poteri sufficienti per sorvegliare il mercato comune e per correggere eventuali distorsioni: hanno anche già dimostrato concretamente che possono esercitare i loro poteri. Dall’altro lato, attraverso le necessità pratiche della vita economica, i sei governi sono stati costretti progressivamente a intensificare la loro collaborazione e a strutturarla in modo più fruttuoso. Come prima conseguenza questo fa sì che anche i paesi terzi siano stati convinti della necessità e dell’utilità di trattare con la comunità nel suo insieme ai fini di stabilire con essa relazioni politico-economiche. Austria, Svezia e Gran Bretagna hanno già avviato tali trattative e, come vi sarà noto, già sono stati conclusi i primi trattati con … Qualche tempo fa un oratore britannico disse che i britannici si lasciano convincere al meglio dai fatti: secondo me, i trattati ora menzionati provano che anche agli occhi dei governi e della cerchia di interessati nei paesi terzi la comunità forma un fattore non trascurabile nella vita internazionale. Come già detto, gli Stati Uniti d’America hanno già concesso perfino dei prestiti alla comunità. E a questo proposito bisogna anche menzionare il fatto che nel trattato CECA sono contenute numerose assicurazioni per i paesi terzi contro eventuali svantaggi che potrebbero sorgere dal fatto che nelle questioni di politica commerciale, doganale e di trasporto nei negoziati non compaiono più come partner i singoli stati, bensì la comunità. Come loro sanno, signore e signori, a suo tempo l’idea della CECA era nata come speranza di far scomparire o diminuire la possibilità del ripetersi dei conflitti storici, legando strettamente fra loro i principali fattori economici di paesi che si erano combattuti per secoli. Quindi dal punto di vista puramente politico appare di estrema importanza rispondere alla domanda su se questa fusione si avvenuta realmente o se le speranze nutrite a suo tempo siano giustificate ora come allora. Dalle argomentazioni prima esposte avrete appurato che la cosiddetta compenetrazione dei mercati è già diventata un fatto; mi sembra notevole inoltre che questa nuova configurazione dei mercati abbia potuto portare alle prime conseguenze anche in ambito finanziario: il mercato finanziario vi ha visto sufficiente sicurezza e saldezza da varare in misura considerevole le prime partecipazioni di gruppi finanziari di uno stato membro nelle industrie del carbone e dell’acciaio di altri paesi membri. Inoltre la formazione di legami reciproci di natura sempre più profonda fra i circoli interessati nei sei paesi è già cosa fatta e procede costantemente così che si può dire che praticamente l’industria del carbone e dell’acciaio dei sei paesi si sviluppa come un tutt’uno sotto la costante osservazione di tutti gli interessati. Questa fa apparire fondata l’affermazione che la base per una comunità di interessi è già stata creata. Non vorrei qui sembrare materialista se dico che questo fatto, assieme agli ideali comuni che stanno alla base della cultura e della tradizione dei sei popoli, offre la miglior garanzia che i conflitti storici fra i sei paesi troveranno sempre minori motivi. Si tratta ora di proseguire nel realizzare questa integrazione. Qui sta, secondo me, la richiesta imperativa alla gioventù europea di oggi, poiché anche la vitalità già dimostrata dalla CECA verrà messa a dura prova se non verranno fusi assieme altri settori dell’economia, soprattutto il fisco e il lavoro e se, d’altra parte, un sistema di sicurezza internazionale non garantisse una giustificata aspirazione alla pace duratura. Questi paiono i confini della felice continuazione della CECA e contemporaneamente le linee guida del lavoro da compiere per i governi e i gruppi più illuminati d’Europa.