id
stringlengths
36
36
year
int64
1.9k
1.95k
class
class label
5 classes
year_range
class label
11 classes
text
stringlengths
154
582k
53fad65b-9fdb-40bb-8eba-f2668d6c9315
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Inappuntabilmente e come sempre il buon Lindoro dell’Alto Adige . ha appresa la lezione che gli ha dettata la megera della Fichtegasse quarant’ott’ore prima e l’ha ripappolata in due coloncine del giornale di Trento. La ripetizione è trascritta con garbo e fedeltà; solo l’accento è alquanto puerile e bambinesco: cosa perdonabilissima del resto, quando si pensi che Lindoro rimane pur sempre il nipotino, la Presse invece è annosa donna di mondo, invecchiata nella scaltrezza e nel preparare i filtri e ribollire i decotti dell’officina anticlericale. Vada dunque per la forma, ma la sostanza c’è tutta intiera. Noi che non nutriamo soverchie simpatie per il corrispondente del Piccolo, nemmeno quando scrive per l’Alto Adige, dobbiamo tuttavia confessare ch’egli è degno scolaro di sua nonna. Qualis Presse talis Lindorus. Al giornale di Trento che alberga sì intima corrispondenza d’amorosi sensi le nostre più vive congratulazioni. Non è infatti spettacolo di tutti i giorni codesta prova di attaccamento all’organo della massoneria germano-ungherese, codesta solidarietà universale dell’anticlericalismo, questa continuità storica di liberalismo settario la quale resiste all’edacità del tempo, ai progressi della libertà o della democrazia e supera gli antagonismi e gli odii di nazioni l’una contro l’altra armate. Altri non furono così fedeli, né altrettanto tenaci. Il liberalismo della sinistra tedesca e della Neue Freie Presse rovinò vent’anni fa schiacciato dai suoi disastri economici e seguito dalle imprecazioni del popolo che dietro le belle frasi aveva scoperto il marcio del sistema e dei suoi uomini. La rovina fu tale che nessun partito il quale ne radunò poi tutta o in parte l’eredità dispersa ritenne opportuno di presentarsi colla stessa divisa. I partiti tedeschi che noi chiamiamo libertà ebbero orrore di questo nome e s’intitolarono piuttosto nazionali, pangermani, progressisti, popolari o radicali. E non solo nella scritta vollero indicata la rottura con un passato abborrito, ma anche nel programma accentuarono la loro indipendenza dalla cricca viennese. Furono sempre fedeli a tale programma? Non è nostro compito d’indagarlo, ma è certo che tuttodì lo mantengono e lo proclamano. Di fronte a ciò non è edificante sentire un cosiddetto liberale italiano piangere sconsolato sul venir meno dell’anticlericalismo tedesco e confondere il proprio italo pianto coi lagrimoni della Rabbina viennese? Ah! dove sono mai andate, esclama Lindoro nell’Alto Adige di sabato, «dove sono mai andate le fibre di quei vecchi liberali che trenta, quarant’anni fa tennero fronte con successo alle influenze ed alle minacce della Curia romana! I cristiano-sociali hanno già minato con successo il terreno sul quale basavano i creatori della legge scolastica dell’impero e s’è perduto lo stampo di quegli uomini che lacerarono il concordato fra l’Austria ed il Vaticano, coll’assenso dell’imperatore»! Quanto rimpianto, quanta bile impotente in questi periodi! Non vi è maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria. E Lindoro ripensa al Kulturkampf come Francesca alla marina di Rimini. Com’era bello allora quando si poteva sghignazzare sul muso agli spodestati principi della Chiesa, e lacerare in faccia al legato pontificio un accordo solennemente sancito e giurato d’ambe le parti, com’era bello allora mettere sul trono l’ebreo, staccare il crocifisso dalle pareti della scuola e ridersi dei moniti di Roma . Oggi invece... sì, oggi le leggi del settanta non sono ancora abolite, lo stato fa ancora il sacrestano nominando preti e catechisti, nell’Austria cosiddetta cattolica è ancora norma inoppugnabile che il ministro dell’istruzione sia liberale, le università e le scuole medie sono ancora ben lungi dal risentire l’influsso «clericale», ma che importa tutto questo, se in fondo all’orizzonte vanno ricomparendo i segni che predicano «i tempi tenebrosi del Concordato»? L’ultima cometa per Lindoro e il superstizioso popolino anticlericale si chiama Leschanowsky . Chi era costui? Domandatelo agli scolari ed ai docenti da lui «ispezionati». Chiedetelo alla stampa anticlericale del Vorarlberg e di Innsbruck, la quale lo accusò di fare il macellaio. Noi, francamente, non ricordiamo di lui che la fama di pedante rigorista, ma non siamo scesi perciò fra i suoi «detrattori». Sapendo però ch’egli è di malferma salute, tanto che ha sessantatre anni e che il modo con cui applicò l’ultima ordinanza sugli esami gli aveva tolte anche le poche simpatie rimastegli, non abbiamo trovato nulla di straordinario nel suo pensionamento. Circa il modo converrà pur sentire anche le ragioni di chi fu costretto ad usarlo . La Presse creò invece subito l’affaire e aizzò i tedeschi liberali contro il ministro dell’istruzione. Si capisce, è il suo mestiere, e la vecchiaccia vive di quello. Ma esilarante fu il contegno dei suoi cagnotti. Anche a Trento si vide la cometa e i superstiziosi della setta anticlericale presentirono la peste. Si misero anzi subito in traccia degli untori e (chi cerca trova) trovarono naturalmente... i popolari! I quali, vedete caso, non c’entravano proprio niente e non avevano unto nessuno, nemmeno il Leschanowsky. Roba da colonna infame! Allora venne in soccorso un tirapiede ancora più prossimo della Neue Freie Presse, Lindoro col suo ippogrifo. E ci scrisse da Vienna (grazie delle informazioni!) che «il Tirolo è la Vandea dell’Austria», che è «una delle provincie nelle quali l’influenza clericale sulle istituzioni scolastiche non fu mai sensibilmente menomata». ... Qui ci verrebbe voglia di chiedergli: oh, perché allora fingete d’accorgervene solo adesso e fate tutta questa gazzarra? Ma tiriamo via. Il corrispondente viennese c’informa ancora che Leschanowsky era uomo robusto e perfettamente sano e che i cristiano-sociali l’hanno voluto via proprio adesso, perché nell’imminente seduta del consiglio scolastico meditano di aprire le cataratte ad un’«invasione di satelliti cristiano-sociali delle scuole medie». – Scusate, colleghi dell’Alto Adige una domanda un po’ indiscreta: Gliele pagate anche codeste bubbole oltre che stamparle? – Dopo la cometa, i satelliti: il contagio è inevitabile! «Le conseguenze morali saranno disastrose» profetizza sempre il veggente sul Danubio e, colto da un eccesso di malinconia, esce in quella Geremiade che abbiamo riferito più sopra e nella quale il nipotino imita così bene anche nell’accento e nella voce la nonna che, leggendolo, ci pare d’essere trasportati nell’età talmudica o sotto le mura dell’impenitente Gerusalemme. Una sola speranza rimaneva ancora a Lindoro e la esprimeva giovedí in tono però non molto sicuro. Non c’erano ancora i tedeschi nazionali, i pangermanisti Wolf e Malik che volevano correre ai ripari? Ma sabato telegrafava al suo giornale: Gabbati, gabbati anche questa volta! Leschanowsky ha presentato il suo congedo... Ma dunque, avrà potuto pensare qualcuno, forse era tutto una gonfiatura, forse c’erano delle ragioni più valide e meno note? Constatiamolo a sua lode: all’Alto Adige non è venuto un pensiero siffatto. Il nipotino giura sulla parola della nonna fino alla morte. Ancora sabato l’Alto Adige sapeva da un competente che il Leschanowsky è una persona assai competente, severo sì, ma giusto ed imparziale e che i clericali l’hanno voluto via, perché non si prestava alle sue mire politiche. Noi c’inchiniamo innanzi ad una fede così cieca, ad una viennotropia tanto tenace. Questa tendenza dell’Alto Adige verso l’organo magno del liberalismo austriaco è più forte di quella che attira le piante verso il sole. Nessun ostacolo la può arrestare, nemmeno i riguardi nazionali, ai quali noi abbiamo accennato e di cui parte tocca anche il Messaggero, quando scrive di non rimpiangere la perdita del Leschanowsky, «non fosse altro perché non potevano vedere di buon occhio un uomo il quale non conoscendo abbastanza l’italiano o sdegnando di parlarlo era arrivato al punto di tenere in tedesco perfino le conferenze ai professori del nostro Ginnasio e della Scuola Reale». Oh la romanità di un giornale che si augura il ritorno dei vecchi centralisti tedeschi, purché riprendano la lotta contro il pontefice di Roma! L’ombra di Stremayr, il ministro del ’78, si riconsola dell’abbandono in cui lo hanno lasciato i tedeschi e pare ripeta ai latini dell’Alto Adige la grande parola di soddisfazione che pronunciò allora, rivolto ai suoi Teutoni: Ich danke, meine Herren!
0749dc15-595f-43a4-8843-64d596dc18e6
1,910
3Habsburg years
11906-1910
I giornali innsbruckesi portano un’ampia relazione della festa promossa dalla Südmark dallo Schulverein e dal Tiroler Volksbund, a favore dell’asilo tedesco di Roverè della Luna . Essi confermano la narrazione telegrafica del nostro corrispondente. Con un’impudenza inaudita si smascherarono apertamente le batterie si disse chiaro che Roverè della Luna è oggidì un paese italiano che bisogna però rifare tedesco, si affermò senza titubanza che l’asilo tedesco servirebbe anzitutto per le adunanze del Volksbund e per poter compiere la conquista del paese iniziata dall’eterno provocatore, Edgar Meyer. Ora quei tirolesi che sono aderenti del Volksbund, e tuttavia non approvano le predonerie dei suoi emissari non hanno più scuse. I nostri nemici più accaniti devono ammettere che Roverè è paese italiano e che vi abita su 1200 anime una sola famiglia tedesca. Non solo, ma con una chiarezza che non lascia dubbio parlano di conquiste e di germanizzazioni. I galantuomini fra i tirolesi membri del Volksbund, i quali non vogliono essere dei ladri del possesso altrui sanno il loro dovere. Ma anche la maggioranza del paese minacciato conosce ora le ultime mire dei germanizzatori: fondare nel paese un asilo, non per amore ai bambini e al loro avvenire, ma per mantenervi eterna la discordia e portarvi la guerra che non deve terminare, se non quando e scuole e maestri e preti e famiglie, tutto sarà tedesco. E per fare tale guerra fratricida si adoperano i denari non solo del Volksbund, ma anche della Südmarck, società combattuta dai cattolici tedeschi, perché ha colonizzato la Carinzia con protestanti e lavora in piena armonia coi pastori luterani. Chi accetta tali denari è un traditore del proprio paese e delle tradizioni più sacre della sua famiglia! Illustriamo più sotto la figura morale dell’Efialte di Roverè della Luna, signor Tait. Ci piace frattanto riferire a questo proposito la protesta che venne votata ieri nell’adunanza dell’Unione politica . L’on. d.r Lanzerotti ricorda la sua interpellanza alla dieta a proposito dell’uso delle lingue sulla Meridionale, accenna a certe scritte che vanno comparendo sui nostri uffici postali, tocca delle nostre condizioni linguistiche generali negli uffici della Provincia. Ma tutto ciò, continua l’on. deputato, è ancor nulla in confronto degli attestati che si muovono contro il nostro possesso nazionale. Accenna all’adunanza di sabato sera ad Innsbruck, in cui si proclama con la più sfacciata franchezza la germanizzazione del nostro paese fino alla chiusa di Verona. I tentativi dei germanizzatori non riusciranno, ma noi protestiamo tuttavia con tutta l’anima contro questa meditata sopraffazione. Si deve poi protestare anche contro il fatto che una musica militare presti l’opera sua per favorire gli scopi dei germanizzatori . Anche gli italiani danno il loro tributo di danaro e di sangue e l’esercito dell’Austria plurilingue non può mettersi al servizio di soverchiatori. (Grandi applausi). L’assemblea vota quindi ad unanimità la seguente protesta: L’adunanza generale dell’Unione politica popolare protesta vivamente contro ogni tentativo di germanizzazione ed in ispecie contro i recenti attentati al nostro possesso nazionale, e deplora vivamente che un’orchestra dell’i. r. esercito partecipi a festività che hanno lo scopo di riempire le casse di guerra dei germanizzatori. Grandi applausi coronarono l’accettazione della protesta ed un contadino grida: Noi non andiamo a seccarli nelle loro terre, ma non tolleriamo che ci portino la guerra in casa nostra .
f31c0414-812b-40c0-9e73-113b5b8c959a
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Vienna fu ancora per tutta l’era di Metternich la Metropoli spensierata e gaudente che conobbero e descrissero i congressisti del 1815. Nessuna scossa che commoveva le altre capitali europee, nessuna disfatta della Monarchia parvero turbare la vita viennese che si volgeva gaia e leggera sul ritmo del valzer dei Lanner e degli Strauss, di sotto la magnificenza dei colori makartiani, ridendo pazzamente di sé e degli altri nelle «turlupineidi» dei suoi drammaturghi. La città dei Feaci Per lungo tempo ancora essa rimase la «Capua dello spirito» e diede ragione allo Schiller, quando scriveva di lei: Mich umwohnt mit glänzendem Aug’ das Volk der Phäaken, Immer ist’s Sonntag, es dreht immer am Herd sich der Spiesz. Sopra questo carnevale perpetuo reggeva però e dominava lo stato poliziesco, e dietro la maschera dell’allegria spiava o speculava il capitalismo dissanguatore e brutale. Burocrazia e borsa strinsero un’alleanza non innaturale per dividersi indisturbati le spoglie del popolo infrollito e corrotto dai pubblici lupercali. Il quarantotto interruppe per poco quella vita d’operetta; un pugno d’idealisti fece allora la rivoluzione del marzo ed il popolino li applaudì, seguendo l’andazzo dei tempi, ma, incapace oramai di sollevarsi ad un programma di riforme e d’azione s’accontentò presto delle parole e delle frasi. La vita sociale viennese rinnovò le scritte ed il vocabolario politico, ma nella sostanza rimase qual era. Chi invece dal rivolgimento seppe trarre vantaggio reale fu lo straniero, l’ebreo immigrato dalla Galizia e dalla Russia. Questo popolo senza patria e senza diritti fiutò l’odor della preda e colla sua immensa attività senza scrupoli iniziò la cosidetta età aurea del commercio e dell’industria, accumulando capitali, mano mano che scemava l’agiatezza della borghesia, arricchendo e straricchendo mano mano che lo stato impoveriva stremato dalle guerre rovinose e colpito nel cuore dalle rivoluzioni nazionali. Nello sfondo di questo quadro dominano un Anselmo Rotschild che muore nel ’73 lasciando all’erede 1600 milioni, un «barone» Hirsch che ambisce ed ottiene la baronia dopo aver accumulato 200 milioni, un Giona Königswarter che venne a Vienna nel 1852 con 42 mila fiorini e lascia il figlio arricchito di 100 milioni, il Reitzes, possessore delle tramvie viennesi, calato nella metropoli dalla semitica Colonia e assurto nel ’94 ad una sostanza di 200 milioni, il Guttmann, quarant’anni fa merciaiolo ambulante, ora proprietario di 150 milioni. Il semitismo Ed attorno attorno compaiono le figure minori dei sensali di borsa, degli agioteur e dei proprietari di grandi bazars. Ma questi stranieri non si accontentano del danaro; sentono anche l’ambizione di sedere sulle cattedre universitarie, di brillare alla Hofburg e di dominare l’opinione pubblica. Così quando gli ideali della libertà e dell’eguaglianza avranno distrutte le barriere del ghetto, gli stranieri ne usciranno per impadronirsi della stampa, delle università e dei corpi legislativi coi mezzi accumulati durante il periodo assolutista. Ed oramai quando si apre l’era parlamentare lo spirito e l’oro semita hanno già penetrata ed imbevuta ogni istituzione pubblica e la Camera, che per la sua costituzione stessa è oligarchia più che rappresentanza popolare, in tutti i suoi lavori di legislazioni è mossa e guidata dai bisogni e dagli intenti di un numero relativamente piccolo, ma potentissimo, mentre il gran popolo dei Sudeti e delle Alpi tace, è assente. In quest’assenza si votano le leggi del matrimonio civile e della scuola laica, si rompe il concordato, si asservisce la Chiesa, si abolisce il riposo festivo, si concede libertà sconfinata all’usura, si sovvenzionano società di speculatori privati, si pospone l’interesse pubblico all’ingordigia dei banchieri – ricordate solo la Südbahn e la società di navigazione sul Danubio – finché un giorno scoppierà il grande crac della borsa e l’incendio del Ringstheater illuminerà, come un’immensa pace spirituale, tutte le rovine del liberalismo economico e politico. Un precursore Ed eccoci agli inizi del movimento antiliberale. Vienna si riscuote ed incomincia ad aprire gli occhi alla cruda realtà. Ma il risveglio è lento e faticoso, come di chi giacque in lungo e dolce letargo. Chi ruppe l’incanto fatale si chiamava Carlo Lueger, un viennese anche lui, ma che aveva avuta la fortuna di avvicinare negli anni in cui si apre facilmente la mente a nuove idee, un uomo, il quale viene considerato a ragione il caposcuola del movimento cristiano-sociale austriaco: il baron Vogelsang. Carlo Vogelsang era un meclemburghese, protestante di nascita, convertito al cattolicismo nel ’50 ad Innsbruck. Per alcuni anni era stato in casa dei principi Liechtenstein, ove aveva avuto per discepolo il principe Luigi, poi s’era incontrato a Berlino col grande vescovo sociale mons. Ketteler ed infine aveva preso stanza definitiva a Vienna, dove dal ’75 dirigeva il Vaterland e dal ’79 la rivista scientifica: «Oesterreichische Monatschrift für Christliche Sozialreform». Questa rivista divenne la palestra dei pochissimi studiosi che allora si occupavano di cose sociali ed il centro di parecchie iniziative pratiche. Da qui partì, per esempio, la grande inchiesta sulle condizioni del lavoro in Austria, compiuta dal conte Belcredi e qui vennero propugnate quelle riforme sociali che furono poi proposte alla Camera dai conservatori Belcredi, Liechtenstein e Zallinger. Per tali riforme (consorzi professionali, regolamento industriale, assicurazione operaia contro gli infortuni) il D.r Adler poteva annunziare al congresso socialista internazionale di Bruxelles che l’Austria era ancora lo stato più progredito per quanto riguarda la protezione del lavoro. A questo punto però il movimento cristiano-sociale sarebbe stagnato in disquisizioni teoretiche o in iniziative singole e saltuarie di pochi parlamentari, come accadde in Francia all’«Association catholique» ed all’opera di Alberto de Mun, se il Vogelsang non avesse aggiunto alla propaganda scritta l’opera della propaganda spicciola e personale. Così quello che non fecero i suoi libri – a torto dimenticati – riuscì di raggiungere alla forza persuasiva della sua parola. Convegni notturni Fu infatti nella sua casa e nella villa che gli metteva a disposizione la contessa Zichy che verso l’85 e l’86 si radunavano le persone che più tardi dovevano avere tanto influsso sulle sorti pubbliche di Vienna e dello stato. In tali convegni notturni troviamo oltre l’intelligentissima Antonella Vogelsang, la quale diresse fino a poco fa la Christlichsozial Reform, oggidì redatta dal Decourtins, Lueger, Scheicher, Liechtenstein, Gessmann, Schlinder (autore della Neue soziale Frage) e il P. Weiss, che per i nostri lettori non ha bisogno di presentazioni. Quando uscivano di lì – racconta il Scheicher – Lueger diceva: Voi, preti, andate a sinistra, noi laici a destra; se il signor pubblico scopre che siamo stati assieme, scoppia una bufera in tutta la stampa viennese che Dio ci liberi! Lo scherzoso avvertimento non era fuor di posto ed è caratteristico per tutta la fanciullezza e la puerizia del movimento cristiano-sociale. Il dominio della stampa semitica era così assoluto, i pregiudizi del popolo da essa ammaestrato tanto forti che nessun uomo in quel tempo che avesse voluto essere qualche cosa nella vita pubblica, poteva farsi vedere in strada con un prete. Così gli uomini che avevano pure un intento solo furono costretti dapprima a battere diverse vie, confondendosi talvolta nelle varie correnti, sì che a molti parve fossero trascinati più che direttori. Tuttavia non va dimenticato – e l’abbiamo sentito dire dal Lueger stesso – che già nei ritrovi notturni presso il Vogelsang si erano fissata chiaramente la meta a cui volevano arrivare ed il programma che andrebbero mano mano attuando. «Il tallone d’Achille del liberalismo è il suo lato economico» aveva intuito ed insegnato il Vogelsang, e i suoi scolari mossero all’attacco per questa via. Il campo antiliberale Il campo antiliberale era però tutt’altro che ordinato e ben agguerrito. Nel 1882 il d.r Psenner aveva fondato la Reformpartei (partito della riforma) nelle cui adunanze parlarono talvolta anche Lueger, Schneider e Schönerer. Ma Psenner era più dottrinario che propagandista, ed il suo partito ebbe poca vitalità. La sua azione venne del resto interrotta dallo stato d’assedio dell’84, provocato dagli attentati dei socialisti anarchici. Ritornata la libertà, ne approfittarono contemporaneamente lo Psenner che istituì la lega cristiano sociale e il d.r Adler, l’odierno corifeo del socialismo che fondò il giornale socialista «Die Gleichheit». Nello stesso torno di tempo la «lega antiliberale» del rione di Margareten che aveva mandato in comune il Lueger mutò il nome in «lega dei cristiani uniti», cosicché verso il 1887 abbiamo tre organizzazioni parallele: i «cristiani riuniti» di Lueger, gli antisemiti radicali, capitanati da E. Schneider, e da Schlesinger, e i tedeschi nazionali, guidati dal cav. de Schönerer . Il secondo gruppo era di fresca data, e si ispirava ad un antisemitismo che, almeno a parole, doveva spesso sembrare brutale e sanguinario. Lueger si propose di assillare e fondere i tre indirizzi in uno solo. Parve spesso il lavoro di Sisifo. Non mancarono le oscillazioni e le indecisioni. Chi stava fuori non ne capiva nulla e crollava il capo. Mentre il Lueger partecipava ad un banchetto pomposo per festeggiare il giubileo di Leone XIII, altri capi antiliberali della stessa organizzazione attaccavano la Chiesa e le sue dottrine. Una cosa però s’era oramai raggiunto, che il nome di cristiano – come s’espresse il Lueger in un brindisi – venisse di nuovo quotato (Kursfähiggeworden). Ma anche sotto questo nome quanti significati! Lueger È in questo periodo che il Lueger apparve l’uomo della provvidenza. Il movimento antiliberale avrebbe potuto finire in un fiasco antisemita alla Drumont o in un radicalismo nazionale come quello che inaugurò più tardi e da solo lo Schönerer, ma la straordinaria figura di Lueger incominciò a primeggiare su tutti, a trascinare i dubbiosi ed i riottosi, a divenire un programma per quelli che non ne avevano e per tutti gli altri la forza di coesione. Così in quest’epoca va ingrossandosi accanto e sopra le altre la quarta corrente, la luegheriana, la quale corre nel letto di quella cristiano-sociale, senza però conoscerne le dighe. Lueger non respinge alcuno e cerca sempre di persuadere, di convincere fino all’ultimo. Ma quanto eravamo lontani ancora non dall’omogeneità perfetta, che non è raggiunta nemmeno oggidì, ma da una relativa chiarezza del programma. Il prof. Schöpfer racconta di aver assistito ad un’adunanza elettorale nell’89, nella quale parlò come sempre applauditissimo il Lueger. S’alzò poi un prete, lo Stauraez, ed ebbe anche questo grandi applausi. Ma alla fine venne fuori uno della folla ed eccitò a seguire e prestar fede ai preti come lo Stauraez, il quale disse sta col popolo e non è come tutti quelli altri pretacci gesuiti... (grandi applausi). Dinamica Tanti e siffatti erano i pregiudizi che dominavano in quell’epoca. Lo Stauraez stesso scrisse poi d’aver ammonito più volte il Lueger a non accentuare troppo il programma cattolico. Guai parlare di gesuiti! Eppure erano questi che l’anno dopo incominciavano l’opera di conversione. Il P. Abel completa il Lueger per la parte religiosa. In chiesa è P. Abel che prega per Lueger e, senza parlare di politica, sa spianargli la via, nei comizi è Lueger che cita il «suo amico P. Abel». Caratteristici per lo studio di questa meravigliosa psicologia popolare sono i pellegrinaggi di uomini a Mariazell, guidati dall’Abel e poi dal redentorista Freand. Da questi apparve chiaro che la riscossa luegeriana, senza dirlo, era in realtà anche una riscossa interiore del cristianesimo. «Il concordato – scrive il liberale D.r Bach nel suo libro sui cristiano-sociali –, il concordato voleva una volta costringere la gente ad andare in chiesa colla forza, i cristiano-sociali invece non adoperano i paragrafi, né gendarmi, eppure ora (1906) bisogna costruire sempre nuove chiese, una dopo l’altra». Nel 1891 Lueger poteva dire in un’adunanza di essere riuscito a costituire gli antisemiti in unità. Ma anche d’allora in poi ed un po’ anche oggi il suo partito viennese va sempre giudicato secondo le regole della dinamica e non della statica. Siamo sempre nello sviluppo in grandezza o in intensità. Movimento operaio Tra il ’91 e il ’95 cadono gli anni di quello che chiameremmo «romanticismo sociale». Si convoca la conferenza internazionale di Berlino, esce la Rerum Novarum, s’inaugura in Germania la legislazione operaia del Centro. Lueger mette la sua popolarità e la sua persona al servizio della causa operaia. I socialisti che avevano appena ristaurati i loro quadri fecero ogni sforzo per contrastargli il terreno. I comizi al Mandl e al Luchs si trasformarono in vere battaglie, nelle quali il terrorismo rosso celebrò le sue orgie. Riuscì infatti ai semitici capi del socialismo d’impedire al Lueger la concentrazione operaia, come gli era riuscita la coalizione della piccola borghesia contro il grande capitale, e questa è la colpa più grave del socialismo austriaco. La lotta contro il grande capitale si fece fuori di esso anzi contro di lui. Il merito del D.r Lueger fu invece quello di guadagnare in tale campagna il primo battaglione di operai che si sviluppò poi sotto l’intelligente guida di un ex garzone sellaio, il Kunschak, oggidì capo della Christlich-sozial Arbeiterpartei, la corrente più omogenea e più disciplinata del partito viennese. A quest’organizzazione si andarono aggiungendo poi i vari sindacati di mestiere, che ora in qualche branca tengono testa in tutta l’Austria alle unioni socialiste. Contro gli arbitri della burocrazia Frattanto la grande lotta intorno al Municipio culminava nell’elezione di Lueger a borgomastro. Ne abbiamo visto ieri le peripezie. Si dice che già anteriormente Windischgrätz abbia chiesto contro il Lueger l’intervento di Leone XIII, ma questi aveva nel cardinal Agliardi un informatore troppo acuto, per mettersi ciecamente ai servizi dei conservatori. Badeni gli mosse contro invece la Corte, cosicché nel 1896 nelle elezioni generali, dopo lo scioglimento, i liberali tappezzavano i muri di simili scritte: «Viennesi! siate fedeli all’Imperatore e votate per i liberali». Lueger era consapevole della gravità del momento e durante la campagna in cui compì miracoli di propaganda ripeté più volte: «La lotta che si svolge a Vienna, non è una lotta tra me e Badeni, ma è lotta fra il popolo e gli arbitri della burocrazia» (Drehersaal). Ed altrove: «la questione del borgomastro è un episodio della grande battaglia che va combattuta per la liberazione del popolo cristiano, per l’indipendenza e la libertà della nostra patria». L’ultimo accenno riguarda non solo il gran capitale, ma anche i suoi alleati, i gentry magiari, gli «Iudicomagiaren», come Lueger li aveva chiamati in parlamento. Il clericalismo Finalmente, dopo vent’anni di lotte Lueger, il tribuno, si vide alla testa dell’amministrazione municipale. Ma dapprincipio non ebbe quiete ancora, ché gli scoppiava il fuoco in casa. L’ala di Schönerer e Wolf fiutavano il «clericalismo» e tentavano di rompere la compagine antisemita col motto: «Contro Giuda sì, ma anche contro Roma». Nello stesso tempo Schönerer che nell’80 aveva propugnata «l’alleanza del tiglio slavo e della quercia tedesca», approfittando delle ordinanze linguistiche del Badeni, scatenava il furor teutonicus della pangermania, e del los von Rom, preparato questo dalla nota agitazione antialfonsina del Grassmann. I liberali favorirono il movimento, i socialisti lo accelerarono. Lueger si trovò di nuovo solo contro tutti. Ma egli conosceva i viennesi più che i suoi avversari e ne aveva seguito l’evoluzione interiore. Ora si poteva parlare più chiaro. «Il clericalismo, disse, è una parola inventata dai furbi, perché ci credano gli sciocchi». Ed affrontò con veemenza i suoi alleati di ieri, costringendoli ad andarsene e ad abbandonare nel campo le proprie milizie che fraternizzarono coi cristiano-sociali. Poi ebbe quiete, e mentre in Boemia si svolgevano le lotte linguistiche e dappertutto scoppiava la furia del nazionalismo, arrestando le macchine dietali e parlamentari, egli, nella sua pacifica isola, com’egli la chiamò, attendeva alla ristaurazione ed al rinnovo di Vienna. «Noi lavoreremo – aveva detto – colle armi dello spirito e con tutte le invenzioni della modernità, dimostrando che noi siamo uomini della luce e non delle tenebre». E mantenne la parola. Dell’amministrazione luegheriana converrebbe scrivere un articolo a parte, riassumendo quello che è oramai stampato nei libri. Il ristauratore Lueger non fu mai un dottrinario della municipalizzazione, ma procedette di caso in caso, come gli dettavano i suoi calcoli e gli interessi del pubblico. Ma la sua opera rivela un’intensità ed un’alacrità meravigliosa. I rappresentanti della cosiddetta intelligenza, della borsa e della burocrazia venivano sorpresi ogni giorno con una nuova idea, che veniva immantinente eseguita. Così che a poco a poco la gente si avezzò a guardare in su verso il Rathaus, donde si aspettava la mossa, l’iniziativa. La stampa semita, che aveva prima calunniata l’amministrazione dicendone male in tutta Europa, un po’ alla volta dovette ricredersi. Nel ’96, celebrandosi il giubileo luegheriano solo la Neue Freie Presse mantenne il suo odio e la sua negazione. Naturalmente la Presse fu copiata dai nipotini. Ma la storia non verrà scritta sugli articoli di giornali, disse il D.r Baillen, presidente del congresso internazionale di storia, tenuto a Vienna nel 1906, rispondendo ad un brindisi di Lueger: guarderemo ai fatti e lasceremo la parola a quelli. Lueger fu però per Vienna di più che un geniale amministratore, fu anche l’educatore del suo popolo. Creò la «lega dei cittadini» perché si tenessero alte le antiche virtù del Bürger, circondò di uno splendore nuovo le maestranze, distribuì plausi e decorazioni a tutti quelli che coltivassero nel popolo quanto c’è di sano e specificamente viennese, incominciando dai maestri, dalle suore, dai predicatori fino ai cantanti dell’opera ed ai menestrelli popolari. Crebbe così accanto al tribuno il dittatore, del quale assunse le funzioni, le pose ed il linguaggio. A chi però lo consigliava di deporre per sempre la toga del tribuno egli rispose irremovibilmente ed anche dopo la malattia: Io rimarrò qual ero, un agitatore. Infatti si trascinò nei comizi ancora nel 1907, portando il soccorso della sua popolarità ai suoi generali, Weisskirchner, Liechtenstein, Gessmann. Per merito di quest’ultimo specialmente dalle ultime elezioni uscì il grande partito cristiano-sociale di stato. Ma di questo noi non ci occupiamo. Ottimismo Lueger morì sulla breccia, relativamente giovane ancora, ma colla coscienza di avere non scritta ma fatta la storia del suo periodo. Nell’autunno del 1905 nell’adunanza costitutiva del congresso cattolico generale, al culmine della sua potenza, egli ricordava il grande cammino percorso dall’ultimo congresso dell’89 in cui egli era stato, disse, un felice profeta in patria sua. Volete, aggiunse, che vi dica come si ottenne tutto questo? Eccovi la parola magica: «Agitazione, propaganda coraggiosa, instancabile, senza posa». Lueger è infatti l’uomo dell’ottimismo e del coraggio. Egli si lascia addietro i piagnoni e gli sfiduciati, e, mentre i conservatori si ritirano nei pagi delle Alpi o nei feudi boemi, paurosi di ogni novità, retrivi ad ogni riforma, Lueger si getta dove la mischia è più viva e più difficile e combatte per vent’anni una lotta immane. Egli ha fede nel suo popolo, crede al ritorno della società cristiana, anche là ove sembra distrutta per sempre. È l’ottimismo di Leone XIII, quando invita alla coalizione repubblicana i cattolici francesi, o quando spinge il clero ad occuparsi della questione sociale, e più addietro ancora, è l’ottimismo di Montalembert, che combatte per la libertà e per i diritti dell’uomo anche se molti altri ne traviano il senso e che, malgrado tutte le rivoluzioni, e tutto il settarismo contro Cristo, crede al progresso e predice che il secolo ventesimo sarà migliore del decimo nono.
2597004a-fb2e-41d9-afbf-ca91a5c55e35
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Gli avvenimenti sopravvenuti ci hanno impedito di commentare finora l’adunanza generale dell’Unione politica popolare. Essa riuscì quest’anno uno splendido congresso del partito. L’intervento dei fiduciari superò di gran lunga tutte le aspettative. Abbiamo potuto constatare con soddisfazione che la nostra organizzazione politica, nonostante tutti gli impedimenti di legge e la deficiente propaganda, prende salde radici, ed irrobustisce ogni giorno. Sei mila sono i soci, ma non basta ancora! L’unione politica dev’essere la società del popolo per eccellenza. Alle iniziative locali va raccomandata la sua diffusione ulteriore. La tassa è minima, ed ogni socio, non isolato che si unisca ad un gruppo di consenzienti riceve il bollettino sociale: L’elettore. Basta quindi il buon volere: scegliere due o tre fiduciari, spiegare il programma del partito, raccogliere il nome degli aderenti. Al resto provvede la Direzione. Tutti hanno inoltre potuto rilevare come l’educazione politica abbia fatti veri progressi anche nel ceto agricolo. Nell’adunanza molti contadini seguirono non solo con grande interesse le relazioni degli on. deputati, ma chiesero poi spiegazioni, fecero proposte e sostennero la discussione. Così va fatto! Conviene avezzare i meno colti dei nostri aderenti ad interessarsi immediatamente della cosa pubblica. Quello poi che risultò chiaramente dal congresso, che durò sette ore, è il pieno consenso di programma e d’idee che regna fra deputati ed elettori. Gli elettori vedono e sentono che i nostri deputati non solo sono dei lavoratori instancabili e coscienziosi, ma hanno anche lavorato con successo, tanto al Parlamento che alla Dieta. Essi poterono quindi chiedere senza titubanze ed a fronte alta il giudizio del pubblico ed esporre senza ritegni e senza esagerazioni, colle cifre alla mano, l’opera compiuta ed i successi ottenuti. Invero le quattro relazioni riuscirono una sintesi documentata dell’opera dietale e parlamentare dei deputati, sintesi che vorremmo specialmente raccomandata alla memoria dei nostri fiduciari e propagandisti. Dalle relazioni risulta che i nostri deputati lavorarono con successo e soprattutto rimasero fedeli agli interessi del popolo ed al programma del partito popolare trentino. Non poteva mancare quindi il plauso spontaneo e cordiale dei fiduciari, i quali riconfermando la piena fiducia e votando ai due capiclub ed ai loro colleghi un vivo ringraziamento, sapevano di esprimere i sentimenti di tutti i nostri elettori e l’opinione generale delle persone eque ed oneste del Trentino. Dal congresso il partito popolare esce quindi più forte, più compatto che mai, attingendovi i deputati nuova lena al lavoro, certi dell’appoggio degli elettori, e noi tutti propagandisti la forza per intensificare la diffusione della nostra idea, riconfermati nella convinzione che solo la politica del nostro partito corrisponde agli interessi morali e materiali del paese.
3dc7f874-4d5b-4cdd-8e3b-24b909cbe467
1,910
3Habsburg years
11906-1910
[...] [De Gasperi] Accennò al comizio che contemporaneamente si teneva a Bolzano contro la tassa sul vino. In tale comizio italiani e tedeschi si mettono d’accordo. Lo stesso è accaduto nell’ultima sessione dietale, nella quale italiani e tedeschi si misero d’accordo per votate leggi che promuovono il progresso delle due popolazioni. Gli italiani cercano dunque l’accordo coi tedeschi, e nemmeno il comizio d’oggi si rivolge contro i tedeschi ma piuttosto contro certi aizzatori che non rappresentano affatto il pensiero ed il volere della maggioranza dei tedeschi. L’oratore descrive qui rapidissimamente la miseria delle lotte nazionali austriache, le quali intralciano l’attività parlamentare ed ostacolano i progressi economici e si ferma in particolare sui conflitti di razza in Boemia. Conclude che le cagioni prossime dei conflitti sono due: il continuo spostamento dei confini nazionali e l’agitazione portata dalla Germania dai pangermanisti d’accordo con la «Lega Evangelica». Quando una nazione penetra ed invade la casa degli altri, allora nasce un conflitto insanabile che si riflette sulla situazione politica, specialmente se si aggiunge l’agitazione artificiale degli aizzatori. L’Imperatore ripetutamente, ed anche nel suo discorso del Trono , fece appello al buon volere di tutti perché si rispettassero vicendevolmente i propri diritti e si ristabilisse la pace. Non coloro che gridano ogni cinque minuti viva l’Imperatore, per coonestare la prepotenza, hanno diritto di dirsi patrioti ed accusare noi d’irredentismo. Ma per l’Imperatore lavorano invece coloro che ne seguono le intenzioni, combattono i soverchiatori ed i nemici della giustizia e della pace nazionale. Codesti Meyer e Rohmeder vogliono fare anche della nostra provincia una Babele nazionale com’è la Boemia, vogliono entrare in casa nostra per portarci la guerra. Se il Governo assiste impassibile a tali agitazioni ne pagherà più tardi il fio, quando si troverà di fronte alla questione del Volksbund, assurta a questione politica di primo ordine, la quale distruggerà la breve tregua conchiusa fra le nazioni per l’amministrazione della provincia. Passando al caso specifico di Roverè della Luna, descrive, fra l’ilarità generale, che cosa può diventare un disgraziato bambino del paese che frequentasse l’asilo tedesco, la scuola italiana, forse ancora qualche classe tedesca, poi la famiglia e la chiesa italiana. Dimostra del resto l’impossibilità che i ragazzi imparino il tedesco in tal modo e legge in proposito la testimonianza delle Stimmen in cui si dice chiaro che il Volksbund butta via i denari. Ma agli aizzatori poco importa il vero interesse del paese: essi vogliono la guerra fino allo sterminio degli italiani, come hanno fatto dire al Tait nella serata di Innsbruck. A questo punto ripassa il corteo con la bandiera. L’oratore fa notare all’assemblea che a forza di gridare sono cresciuti da sei a cinque! Costoro, dice, fanno come si legge di san Pietro nel Passio odierno: egli negò ostinatamente d’esser discepolo di Cristo, finché un presente gli osservò che bastava sentirlo parlare per capire dal linguaggio ch’era galileo. Ma Pietro negava senza tregua ancora. Così fanno coloro che urlano in italiano di non essere italiani. Speriamo che il Signore rivolga loro un’occhiata di misericordia. L’oratore descrive ancora come sia organizzato il Volksbund, come gli ispiratori vi sorprendano la fede dei buoni, usando dei denari raccolti a corrompere la nostra gente ed a fabbricare nei nostri paesi palazzotti di prevaricatori e prepotenti. Cita giornali tedeschi che hanno messo in dubbio il patriottismo austriaco dei germanizzatori e finisce con una calda perorazione invitando ad opporsi alla germanizzazione in nome della pace e del progresso, in nome dei sentimenti religiosi (ricorda qui il caso di Sant’Egidio nella Carinzia), forti d’aver dato a Cesare quel che è di Cesare ed in nome dei più sacri diritti della natura. Rammenta che la furia nazionale, una volta discatenata, non risparmia nemmeno i luoghi più sacri, come avvenne a Dux, dove s’impegnò una feroce lotta tra slavi e tedeschi, per le scritte funebri, persino sulle tombe dei propri morti. Anche dal vostro cimitero, dai tumuli dei vostri cari parte oggi una parola ammonitrice. Chiude invitando ad esprimere il consenso generale alle idee da lui propugnate col gridare: Viva Roverè nazionale nella pace e nella concordia. Un’evviva generale si sprigionò da tutti i petti . [...]
0fc6def7-63f0-4bc5-a3da-f6e87dd274ac
1,910
3Habsburg years
11906-1910
La stampa tirolese incomincia ad occuparsi del comizio di domenica. Il Tiroler di Bolzano, in una sua relazione particolare, rileva che Roverè della Luna secondo l’anagrafe ufficiale ha 982 abitanti italiani e solo cinque tedeschi, i quali non hanno punto né chiesta né favorita l’erezione dell’asilo tedesco. Constata ancora che il piano dell’erezione dell’asilo venne concepito da un manipolo di volksbundisti, aizzati dal pantedesco Edgar Meyer, il quale seppe abilmente sfruttare dissensi e contrasti locali. Accentua che l’asilo più che a scopi ricreativi od educativi ha da divenire, secondo l’intenzione dei fondatori, il centro materiale di tutte le tendenze germanizzatorie, e riporta infine l’ordine del giorno votato, con un accenno alla propaganda protestante della Südmark nella Stiria. Anche le Tiroler Stimmen prendono nota del comizio, ma il commento è scritto senza l’equanimità e la cognizione locale dell’autorevole collaboratore che abbiamo recentemente citato. Anzitutto le Stimmen rinnovano l’accusa di fellonia elevata, dalle Innsbrucker Nachrichten contro don Sandri, in seguito al suo discorso di Grumo. L’accusa viene documentata col noto verso dei Vannetti: Italiani noi siam, non tirolesi. Il rev. Decano di Mezzolombardo, citandolo, avrebbe peccato d’irredentismo! Onestamente e logicamente però i signori delle Stimmen dovrebbero parlare di reato autonomista e non irredentista. Ma allora ed in questo senso non c’è italiano del Trentino che non sia irredentista. Infine le Stimmen osservano che la «lingua dei padri» in Roverè della Luna era la tedesca. Anche qui il caposcuola è Rohmeder. Gli epigoni di un Jehly non hanno il coraggio di dire la verità. Dovrebbero altrimenti sapere che i più vecchi di Roverè, interrogati intorno alla lingua dei loro padri, assicurano di averli sempre sentiti parlare italiano e d’aver sempre sentito dire che anche i nonni non facevano altrimenti. E, sapendo questo, approvano o non approvano i relatori delle Stimmen il tentativo di germanizzare paesi che sono italiani nelle famiglie, nella scuola e nella chiesa? Per nostro conto dichiariamo apertamente che siamo stanchi di dover difendere anche quel nostro possesso che fu finora incontrastato, e che, se la tattica difensiva si addimostrasse insufficiente, passeremo all’offensiva, entrando a Salorno ed oltre Salorno, dove gli italiani sono maggioranza o forte minoranza. Certamente, questa triste lotta linguistica non può recarci vantaggio, ma dovranno ricredersi almeno allora anche i partiti che ora contro il proprio programma e contro le proprie convinzioni si lasciano trascinare dai germanizzatori e si riscuoterà forse anche il Governo, il quale arraffa ogni motivo o pretesto per cacciar via i giornalisti o propagandisti italiani, ma non ha il coraggio di muover nemmeno un dito contro i due emissari germanici del Volksbund. Il governo provinciale pagherà allora il fio della sua debolezza e di non aver compreso che il primo compito di un governo austriaco è quello d’impedire che in una provincia, nella quale le nazioni vivono in territori nazionalmente compatti, si svolgano quelle lotte per isolare le quali nelle regioni miste si è ricorsi perfino al catasto nazionale. Un amico di Mezzocorona ci chiede perché l’Alto Adige riferendo agramente del comizio abbia rilevato due volte che esso fu convocato e tenuto dal «partito clericale». Egli ci prega di notare che ciò è inesatto. Il comizio venne convocato dal curato locale, in seguito ad accordi presi da tutti i promotori, senza distinzione di partito, e si svolse proprio com’era previsto dalle sullodate persone, tanto riguardo gli oratori quanto le risoluzioni votate. L’Alto Adige con le sue false asserzioni non riesce quindi che a sconfessare quei liberali che contribuirono a preparare il comizio.
2bc11e43-7a60-475c-8e27-9ce52e5ec2ce
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Santo paese è il Tirolo – non se l’abbiano a male le Stimmen che classificano per freddura il nostro commento di ieri – santo paese, il quale della sua religiosità va così superbo e gonfio da poter farne sperpero non solo nelle diatribe politiche tra cristiano-sociali e conservatori, ma da esserne prodigo anche al Trentino al quale in nome del patriottismo vero si vuole tener cattedra di buoni principii e retti costumi. Beato paese è codesto che nell’universale venir meno della religiosità, ne gode ancora ad esuberanza, per spargerne a larga copia in un paesello rurale del Trentino, dove i veri «tirolesi», presi dal nuovo zelo, reclameranno dal vescovo un curato più cattolico e patriottico, salvo a bestemmiare e curato e vescovo e Papa e Dio, se la faccia propria avrà tradito a chi li scruta l’ipocrisia del loro zelotismo. O forse i cattolici tirolesi rimasti gelosi custodi del patrimonio morale degli avi vivono in un’illusione che si nutre della roboanza di dichiarazioni solenni, di manifestazioni clamorose e non abbracciano con occhio tranquillo e sincero la realtà viva e le logiche minacce dell’avvenire? Questo dubbio ci è venuto altre volte, ma lo abbiamo ricacciato nel campo chiuso delle nostre considerazioni privatissime, non arrogandoci il mandato di esprimere fra tante dichiarazioni e contestazioni tirolesi di cattolicismo un giudizio che sembrasse emanare da un cattolicismo ancora più vero. Ma oggi lo sdegnoso monitorio delle Stimmen ci dà modo di tenere il sermoncino senza parere di farlo. Il giornale cattolico per eccellenza ci dice: Oh, che c’entra il «santo Tirolo» con le dimostrazioni anticlericali di Roverè della Luna? Se c’entra, spettabili colleghi! Noi vi sappiamo dire e documentare che l’anticlericalismo rurale, sia pur mescolato talora con tendenze locali e socialiste, è divenuto essenzialmente volksbundismo, e noi, cattolici e credenti della medesima Chiesa, accusiamo voi di alimentare questa corrente per cento rivoletti che scendono dalle vostre Alpi, con la benedizione di qualche buon prete. E di quest’accusa che eleviamo formalmente contro di voi dinnanzi al mondo cattolico e civile non vi laverete, fino a tanto che, preso il coraggio a due mani, non affronterete la questione in tutta la sua verità, in tutta la sua profondità, stabilendo voi fermamente e determinatamente fino a qual punto l’attività del Volksbund vi trova conniventi e corresponsabili. Noi esageriamo, siamo degli esaltati forse? Così avete scritto recentemente. Ribattiamo però, che ci è più cara l’alacre vigilanza latina della pesante corazza tirolese. Non vogliamo a nessun patto condividere le sorti vostre. Proprio ieri leggevamo nel Linzer Volksblatt una relazionetta e cruda sulla religiosità di Merano. E vi veniva lamentato che due terzi dei frequentanti la nuova scuola protestante sono figli di famiglie cattoliche borghesi. E voi volete che noi ci stiamo in panciolle se i signori del «Verein für das Deutschtum im Ausland», sia sotto la ditta del Volksbund o l’etichetta della Burg Persen piantano i loro nidiacci sulle nostre montagne o scavano il loro covo nelle nostre vallate? Dobbiamo aspettare che a San Cristoforo le continue visite del pastore evangelico di Merano «perfezionino» la costruzione della chiesa, per rinfacciare a voi, santo Tirolo, la vostra più o meno cosciente complicità? Abbiamo altra volta fatto appello alla vostra equità nazionale, e poiché l’appello non ebbe che un eco debole, perché non potremo rinforzarlo, richiamandoci al vostro sentimento religioso? Nulla noi aborriamo maggiormente di chi trascina idee ed istituzioni religiose in un campo dove non dovrebbero entrare, e noi volentieri ci saremmo limitati a combattere la battaglia nazionale in nome dei diritti della natura, dell’equità sociale, delle garanzie costituzionali. Ma chi ha aggiunto ad una lotta già di per sé tanto acre la asprezza di minacciati conflitti confessionali, chi, parlando di riconquiste germaniche ha segnato contemporaneamente i confini della protesta contro Roma? A noi quindi il diritto di reagire e di chiamare a raccolta, in nome della nostra latinità vigiliana, che abbraccia in una profonda armonia tutto il nostro essere ed il nostro vivere, il nostro pensiero religioso, la nostra mentalità civile, la favella e i costumi dei nostri padri. E per il contrario su ogni offesa a codesto nostro carattere scriveremo l’ironica scritta: Heiliges Land Tirol, fino a tanto che codesto paese avrà riscosse le risopite energie ed avrà dato il bando ai turbatori della nostra pace nazionale e religiosa.
04d20419-a403-4f1d-af3e-04296b5371f4
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Ebbene vi condurrò qui; e gli andò dietro. – Il dio nuovo. – Un mangia socialisti. – Per i socialisti austriaci e contro gli italiani. – L’impedimento delle 60 corone. – Fuori i soldi prima! – Tra amici. – Lo stile è l’uomo. Scriviamo sotto il consolato di C. Giulio Barni . Oramai tutti sono avezzi a questi rapidi trapassi della dignità consolare nel partito socialista. Sorgono e vanno, codesti consoli colla celerità delle meteore, e noi che stiamo alla finestra, appena appena riusciamo a stabilire lo «spettro solare» di tanto lume. Ci resta ancora un vago ricordo di un Gasparini che portò tra gli operai trentini una nota spiccatamente internazionalistica, concionando spesso contro il «nazionalismo trippaio», di un prof. Mussolini che oltre insegnare agli operai il verbo dell’emancipazione proletaria, dettava ai borghesi le regole del bello stile, ed un ricordo più impresso di un Todeschini, figura luminosa che torna periodicamente come le comete, ogni volta cioè che il socialismo italiano non sa che farne ed il socialismo trentino non può farne a meno. Accanto a questi consoli siedono in permamenza i due ottimati del partito rosso, l’avv. Piscel e il d.r Battisti, il primo una specie di pontifex maximus che ha l’ufficio di custodire il calendario ed i libri sacri del socialismo, l’altro una specie di Marco Antonio che non sa decidersi fra la sua Cleopatra, la borghesia radicale, e la plebe della Camera del lavoro, terminando a fare come il grande triumviro, a tenere cioè un piede in Asia e un altro in Europa non abbandonando né lusinghe né i danari della borghesia, né staccandosi d’altro canto dalla socialisteria che lo ha levato sugli scudi. Entrambi però hanno questo in comune: d’esser schiavi del partito che hanno creato. Dinanzi ai profani possono apparire forse talvolta come i capi, in realtà però sono i cappeggiati, salvando le apparenze, solo a furia di transigere e di cedere. Accade a loro quel che avvenne allo spadaio, quando tentava di condurre Renzo non alla «Luna piena», ma... altrove. Renzo insistette e infilò l’uscio. La spia, per non perderlo d’occhio, gli andò dietro, nel tempo stesso che diceva: Ebbene, se proprio volete, vi condurrò qui... Ne abbiamo una prova classica nella nomina dell’ultimo console C. Giulio Barni. Rifugiatosi anche costui, come quasi tutti gli altri, nell’impero della reazione e del clericalismo, per un’invincibile avversione alle patrie galere, comparve nel Trentino rivelando subito un feroce radicalismo negli articoli e nelle conferenze che disse per cura della Lega pro Cultura sociale. Una delle quali terminava, se ben ricordiamo, così: «L’anticlericalismo cade, il nazionalismo cade, tutte le vane astrazioni della borghesia riformatrice crollano dietro il moto delle classi operaie. Le classi operaie hanno un mito nuovo: la Rivoluzione. È il dio contro tutti gli dei, che darà l’uomo all’uomo, quello che né la scienza né la filosofia potrebbero dare». Un sindacalista, un rivoluzionario della più bell’acqua dunque. Con tuttociò la commissione esecutiva lo nomina direttore del segretariato operaio, nonostante che tutti i membri non operai, come dichiarò poi il Barni stesso, gli votassero contro. Quand’ecco, a nomina fatta, scoppiare la polemica col segretario della Camera veneta, C. Alessandri, il quale scriveva all’Avanti che il Barni è un «feroce mangia-socialisti, un qualche cosa fra il sindacalista e l’anarchico e quindi avversario intrattabile ed irreconciliabile col partito socialista». Il Barni non potè smentire. Confessò anzi nell’Avanti dei 4 febbraio di «partigiano dell’azione diretta» ed aggiunse: «Ho combattuto il partito socialista e lo combatterò». Affermò ancora essere suo compito di impedire nelle organizzazioni l’inquinarsi di elementi politici e ad esse deleteri. La cosa questa volta era troppo grave per disinteressarsene completamente, tanto più che continuava dalle colonne del nostro giornale l’attacco dell’Alessandri ed era uscita per le stampe la relazione sulla Camera del lavoro di Brescia, nella quale il Barni fa una figura meschina per non dir peggio. La Commissione esecutiva si radunò quindi per deliberare, ma dopo una vaga dichiarazione del Barni ch’egli aveva inteso di dire dei socialisti italiani e non austriaci, gli impartì l’assoluzione plenaria (protocollo degli 11 marzo). Che importa infatti ai socialisti austriaci del Trentino se il Barni, venuto fresco fresco da Brescia, è un avversario dei socialisti italiani? Il socialismo internazionale finisce evidentemente alla dogana di Ala! Imbaldanzito da questo successo, il nuovo console nel congresso del 19 marzo , intorno al quale abbiamo riferito brevemente altra volta, propose nuovi ordinamenti rei pubblicae costituendae. Fece prima «una critica serrata e rovente che veramente non risparmia nessuno» (Avvenire del lavoratore), concludendo che «bisogna cambiare assolutamente, bisogna impadronirsi economicamente delle classi povere, bisogna trarle a noi colla forza unica che vale sul mercato e che ci hanno dato e ci contendono i preti: il prezzo. Poi sorgerà il nuovo idealismo che oggi è impenetrabile tra queste genti fanatizzate, idiotizzate, clericalizzate all’eccesso». Barni vuole dunque l’azione economica che crei poi l’azione diretta rivoluzionaria. A tal fine egli tenta di asservire l’organizzazione politica all’organizzazione economica (a parole veramente si tratterebbe piuttosto di equiparazione) e riesce infatti a far votare al congresso uno statuto che spinge ancora più i vecchi corifei verso il pensionamento definitivo. Ma sul più bello, sentite che cos’è accaduto! L’avv. Piscel si è alzato ed ha ricordato che il partito socialista austriaco paga al segretario di Trento una sovvenzione ordinaria, di 60 cor. al mese. Se si volesse far troppo i libertari, le 60 cor. svanirebbero, ed allora come tirare innanzi? Davanti alla gravità di queste obiezioni, le onde rivoluzionarie si calmarono e tutti i capoccia in un angolo oscuro della Camera del lavoro fucinarono a gran fatica un ordine del giorno che contenesse quel tanto di riguardo per il partito socialista e solo quel tanto di sindacalismo rivoluzionario che fossero conciliabili con l’affare delle 60 coroncine. E, posto che il buon volere c’era d’ambe le parti ci si riuscì. Barni, rinunziò di essere proprio un Pataud con tanto di formale proclamazione. Ma badate, non ad esserlo di fatto. C. Giulio Barni è oggidì l’imperator senza corona. Vedete, esempi grazia, quello che è toccato al d.r Antonio non più tardi dell’altro ieri. Egli spedisce un molto graveolento articolo all’Avvenire intorno all’attività parlamentare dei socialisti. Il Barni lo pubblica, ma vi aggiunge in calce una nota che viene a dire: tutto bubbole! Ci vuol altro che codeste panacee parlamentari! «L’attività parlamentare, l’attività legislativa è un bel nulla – quindi anche l’attività socialistica ..., se vuole ritornare azione e lotta seguite da frutti reali e consistenti..., bisogna che scenda alla piazza ed alla piazza si dia...». Il più puro sindacalismo, in barba a tutta la campagna e, di contrabbando, anche alle 60 corone regalate dalla giuderia viennese! Del dittatore il nuovo segretario ha assunto anche i modi e le pose. Mentre cerca di tenere in piedi la baracca della Camera del lavoro, proponendo perfino di svaligiare il fondo sovvenzioni dei ferrovieri, manda al diavolo i compagni del Vorarlberg che lo vogliono fuori a tener conferenze senza mandargli prima i baiocchi. I compagni del Vorarlberg aspettano, ma Barni non viene ed allora gli mandano una protesta e molte lettere... sindacaliste. Ma il dittatore non si commuove. «Io son uomo che... se ne infischia – scrive nell’ultimo Avvenire – e lascia ai compagni di esaurire tutto il proprio vocabolario di sconcezze, di meschinità e di ingiurie», regalando loro «tutti gli epiteti ingiuriosi e mascalzoneschi, che hanno creduto di regalargli». Così il sindacalismo trionfa ed il Palaud trentino sarà presto maturo. Ne abbiamo preso nota per l’interesse che suscita in noi ogni manifestazione della vita socialista e per le riflessioni che vi si possono fare, e ne abbiamo scritto anche a costo di soddisfare la vanità del nuovo segretario il quale si rodeva che nessuno si occupasse di lui e con bile manifesta scriveva due giorni fa: «Dopo botte tirate a diritta e a manca nel porcaio locale, a preti, a spie, a “spini”, a “ridicoli”, a giornalisti che hanno cacciato il proprio pudore sotto la suola delle scarpe, e mascalzoni patentati che camoreggiano nei consigli comunali a tutta una certa di gente che vive di menzogna e di vergogna quotidiane; abbiamo avuto l’ottimo risultato di un generale silenzio». Oh, non vale una soddisfazione anche ad un Barni tutta codesta bella storia?
331b4d17-df08-4f3d-bd7c-e14970fa2e70
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Domani nel consiglio municipale è all’ordine del giorno l’approvazione del preventivo comunale della città di Trento per il 1910. Non sarà quindi inopportuno di riassumere le proposte della Giunta che formeranno la base della discussione. La Giunta propone di approvare il bilancio preventivo con un’uscita totale di Cor. 2.524,230, di cui 1.372,971 per l’amministrazione ordinaria pubblica, 115,259 per le contabilità speciali (riserva per le obbligazioni, Campo Santo, Cucina e bagni popolari, ufficio comunale del lavoro) e 1.036,000 per i servizi municipalizzati (Elettricità, gas, acquedotto). Nelle entrate la posta che attira subito la nostra attenzione è quella delle sovrimposte e tasse. Nel 1909 esse ebbero un gettito di cor. 731,270, nel 1910 invece secondo la proposta della Giunta, dovrebbero dare cor. 904,220 con un aumento di corone 172,950. Ognuno comprende che tale aumento non è prevedibile col solito crescendo del gettito delle imposte. Infatti la Giunta medita di elevare le imposte già esistenti e di introdurne una nuova. Si propone l’aumento dell’addizionale sull’imposta fondiaria dal 250 al 300 per cento, portandone il gettito da cor. 30,800 a Cor. 36,000, l’aumento dell’addizionale sull’imposte industria dal 250 al 300 per cento, portandone il gettito da 63,000 a 76,000, l’aumento della sovrimposta sulle imprese soggette a pubblica resa di conto dal 250 al 300 per cento ottenendo invece che 100,000 (1909) 125,000, l’aumento dell’imposta sui redditi più elevati dal 200 al 250 per cento con un gettito maggiore di corone 2,600. Rimarrebbe invece al 90% l’addizionale sull’imposta casatico la quale però secondo le previsioni della giunta dovrebbe dare in quest’anno 22,000 cor. in più dell’anno scorso, cioè 157,000 cor. Con ciò le case non rimangono esenti dai nuovi aggravi, poiché invece che aumentare il casatico, la Giunta propone d’introdurre una nuova tassa comunale indipendente, cioè la tassa sul valore locativo. Questa tassa viene imposta non al proprietario della casa, ma al pigionale stesso, e chi possiede casa propria deve pagare in proporzione di quello che dovrebbe pagare se avesse la propria abitazione a pigione. Secondo la proposta della giunta il pigionale dovrebbe pagare in forza della nuova tassa il 3% sul prezzo di pigione se questa non sorpassa le 300 corone annue ed il 5% della pigione, se essa supera 300 corone. Esenti totalmente sarebbero i quartieri minimi pei quali non si paghi più di 200 corone e che vengono abitati da operai obbligati alla cassa ammalati o negozi e botteghe per le quali non si paghi più di 200 cor. annue d’affitto. Con questa nuova tassa la Giunta spera di poter incassare almeno 70,000 cor. annue. Le altre sovrimposte e tasse restano invariate con un gettito però aumentato del presumibile crescendo annuo. Il dazio consumo vino darà 25,400 corone, la tassa sul pane 215,000 corone (5000 in più), sulle paste dolci 9,750 cor., sulle carni 72,000 cor., sulla birra 50,000 cor., sulle bevande spiritose 3,500 ecc.ecc.ecc. Perché è necessario o conveniente ricorrere alle nuove e gravi imposizioni? La Giunta, richiamandosi al conchiuso già preso nel settembre dal Consiglio comunale, fa presente che è indispensabile sanare la situazione creata dalla nuova centrale elettrica, coprendone il deficit che è preventivato per il 1910 in cor. 58,000 e creandovi delle riserve ed inoltre di tener conto di nuove imprese, votate o ideate dall’attuale amministrazione. Su questo punto la commissione del bilancio non fu unanime, cosicché al Consiglio verranno presentate domani due proposte diverse, l’una dalla maggioranza della commissione, la quale ritiene, con qualche eccezione, necessari i nuovi aggravi, l’altra della minoranza D.r Cappelletti ed on. Paolazzi che è del parere contrario.
845ce9b5-af57-41bf-80f1-ea8a6234b3c0
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Nella Spagna vi sono state domenica le elezioni generali. Si apprendono ora i primi risultati, quando ne avremo la lista completa si potrà naturalmente constatare che la Camera è riuscita ad immagine e similitudine del ministero, cioè in questo caso di Canalejas . Da questo lato, perciò, nessun interesse. Invece merita una certa attenzione il fatto che è la prima volta che gli spagnuoli votano per il parlamento nazionale con voto obbligatorio. Bisogna pensare al carattere di quel popolo per comprendere che cosa voglia dire questa innovazione. La Spagna è forse l’unico paese dell’Europa colta dove un politico progressista se ama che si radichi nella sua terra un nuovo principio giusto e sano deve armarsi di bastone e dire al cittadino: – «Prendi questo diritto, che è per la tua libertà, che è per la tua dignità, che è per il tuo bene; prendilo ed esercitalo, o ti bastono». Esercitare il proprio diritto di cittadino sembra una cosa straordinaria, esservi costretti sembrò un’enormità. Non – si capisce – allo scarso manipolo di appassionati, alle vicende del paese ed alle varie fortune dei partiti politici, ma alla immensa massa indifferente, disconoscitrice d’ogni e qualunque abito di politica, che nel giorno delle elezioni se ne stava chiusa in casa o immobile sopra una panca del Retiro o su una sedia di caffè, la quale dal dovere imposto a termini di legge è infastidita fuori di misura perché obbliga ad un’azione, ed in Ispagna, dove nessuno vuol fare qualche cosa di sua propria volontà, è assai difficile l’ottenere che lo si faccia per forza. Eppure non ostante l’indolenza e il malcontento non v’ha dubbio che l’accesso alle urne deve essere stato numeroso. La legge, in fatti, ha in proposito degli argomenti molto convincenti: «Art. 2. – Ogni elettore ha il diritto ed il dovere di votare in quante elezioni siano convocate nel suo Collegio. Sono esenti da tale obbligo i maggiori di sessanta anni, il clero, i giudici di prima istanza ed i notai pubblici nel territorio del collegio dove esercitano le loro funzioni. Art. 3. – L’elettore che senza causa legittima trascura di dare il suo voto nelle elezioni convocate nel suo collegio sarà punito: a) con la pubblicazione del nome, come censura per aver trascurato di adempiere al proprio dovere civile e perché di essa si tenga conto come noia sfavorevole nella carriera amministrativa dell’elettore punito, se esso è pubblico funzionario; b) con un’imposta del due per cento sulle contribuzioni ch’esso paga allo Stato, finché non prenda parte ad una prossima elezione. Se l’elettore percepisce stipendi o pensioni dallo Stato, dalla Provincia, dal Municipio, perderà, durante il tempo che corre fino ad una nuova elezione, l’uno per cento su tali entrate, e il ricavo che ne verrà sarà dedicato agli istituti di pubblica beneficenza che si ritrovano nel Comune di sua residenza». L’anno scorso s’è fatto un primo esperimento, non però per elezioni parlamentari, e votarono l’86 per cento degli inscritti.
217efa48-a622-4453-b928-3cf774b2f536
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Quando gli onorevoli socialisti escono dalla loro posizione completamente negativa ed abbandonando gli sterili campi della critica, si avventurano nell’arringo politico con proposte concrete e positive, si può star quasi certi che verranno trascinati dal loro egoismo di classe a gravare la mano su quella parte della popolazione che si dà all’agricoltura. La ragioni sono ovvie e immanenti nell’essenza stessa del socialismo, e vi abbiamo accennato tante volte, che non giova ripeterle. Fra i fatti recentissimi di quest’ordine abbiamo ricordato altra volta la proposta dei socialisti tirolesi per la finanziazione della legge scolastica: pur di evitare l’aumento di tassazione della birra essi consigliarono un grave inasprimento delle addizionali alle imposte dirette, comprese la fondiaria ed il casatico. Ora si ripete un caso analogo a Vienna. I socialisti pur di scongiurare l’aumento dell’imposta sull’acquavite propongono nella commissione del bilancio una serie di provvedimenti che si risolvono in gravi misure contro l’agricoltura. Il socialista Renner vorrebbe fra l’altro – che si applicasse su vasta scala l’imposta rendita anche agli agricoltori e che a tal fine si prendesse per base della commisurazione dell’imposta non l’utile netto catastale, ma il prodotto reale del fondo. Ognuno vede che se tale proposta venisse accolta l’agricoltura sarebbe minacciata di nuovo e fortissimo aggravio. È ben vero che i socialisti, prevedendo le obiezioni, aggiungono che se ne potrebbero esentare i piccoli possidenti. Ma dove finisce la piccola possidenza e dove comincia la grande? Come si può parlare di tali suddivisioni e di progressioni basate sul reddito, quando si deve pur tener conto dell’enorme indebitamento che grava sui terreni? Si pensi alle seguenti cifre: Nel 1891 le ipoteche inscritte nei libri fondiari raggiungevano l’enorme somma di 5582.8 milioni. E da quell’anno, sottraendo anche gli amortizzi, l’aumento de debiti ipotecari sulle campagne dell’Austria è di circa 70 milioni annui. Si pensi ancora al grande deprezzamento che hanno subito in questi ultimi anni i prodotti dell’agricoltura. Per noi basterà ricordare il prezzo delle uve. Ma non ebbero miglior sorte gli altri prodotti del grande commercio. I cereali devono ora subire la concorrenza di paesi lontani, e prima il farmer americano poi il latifondista dell’Argentina sconfissero ripetutamente i produttori interni. Il frumento costava in Austria dal 1871-80 in media Cor. 25.58 il quintale nel 1891-1900 il prezzo era già sceso a Cor. 18.76 e nel 1903 raggiunse 15.38. Tolti lievi aumenti che non compensano, quando si deve ammettere che le spese di produzione toccano le 20 corone, il mercato non è migliorato nemmanco più tardi. Che cosa vuol dire quindi questa pretesa socialista di inasprire l’imposta rendita per farla gravare anche sui campi? Si noti ancora che la rendita netta catastale era calcolata in Austria nel 1908 in 306 milioni. Ora la statistica dell’imposta rendita segna 309 milioni di rendita di possesso agricolo. Se a tale somma si levano circa 163 milioni che rappresentano la rendita dei piccoli possidenti inferiore a 400 corone annue e si sottrae ancora circa un quinto di tale importo che rappresenta il terreno posseduto da persone giuridiche, cause pie, ecc., esente dalla tassazione, si avrà che i veri possidenti sono in realtà tassati per un importo triplo di quello della loro rendita catastale netta. Le premesse dunque dei socialisti che l’agricoltura sia troppo poco aggravata e frodi il fisco non sono giuste. Comunque tali eccezioni non potrebbero riguardare che la Boemia e la Galizia. Rimane sempre quindi inesplicabile perché il Popolo faccia la reclame a tali riforme tributarie socialiste, ammenoché l’unica spiegazione non sia quella che il giornale di Trento ha semplicemente ritagliato l’articolo di stamane dal Lavoratore di Trieste, il quale, a sua volta, l’ha macchinalmente tradotto dall’Arbeiterzeitung dei 4 maggio.
b89d4a58-0aae-4c5d-b80d-e29739aea7f0
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Non l’hanno voluta! – Di nuovo in alto mare! (Per lettera e telegrafo al «Trentino») Vienna, 19. Colle notizie che si sentono nei crocchi e si leggono sui giornali, c’è da mettersi le mani nei capelli. «Ormai, dicevo io ieri sera, sfogandomi con alcuni amici, ormai non vi è che un sol modo di risolvere la questione universitaria; e sapete quale? Che la cometa colla sua coda spazzi via questo globo». Visto però che la notte scorsa, in omaggio alla scienza ed agli scienziati, portati a cielo dalla Neue Freie Presse, la cometa fu sì villana da non farsi nemmeno vedere, io ho voluto sapere il netto dell’affare e stamane ho dato la caccia senza misericordia a quanti potevano esserne informati. Che volete? Qualche volta è una consolazione anche sapere di che malanno si crepa. Or eccovi il risultato delle mie ricerche e state pur sicuri che quanto vi comunico non teme smentita. Il momento diplomatico favorevole Il Trentino, nel luglio della scorsa estate, parlò ripetutamente di trattative italo-slave, che dovevano aprire le porte di Trieste alla Facoltà giuridica italiana. La situazione, allora, era questa. La diplomazia austriaca aveva passato un brutto quarto d’ora. Approfittando dell’annessione della Bosnia, la Serbia si era armata e minacciava guerra. Naturalmente, quel povero staterello non poteva da sé incutere timore, ma tutti sapevano che dietro le sue spalle l’Inghilterra, la Russia e la Turchia stavano armate e, in attesa dello scoppio delle ostilità, inscenavano il boicottaggio delle merci tedesche nei Balcani e lo promovevano a tutta possa. Quanto fosse grave il pericolo, lo dimostrarono gli armamenti allestiti nella primavera, dei quali fu poi presentato il conto in centinaia di milioni. La Francia, in quei momenti, amoreggiava più che mai coll’Inghilterra e colla Russia; l’Italia criticava la triplice, gridava contro i tedeschi e accennava a fare un giro di walzer coi loro più accaniti avversari. Fu quello il momento favorevole per la nostra questione universitaria. Aehrenthal si profondeva in proteste di amicizia a Tittoni e la diplomazia italiana seppe ottenere una prova di questi sentimenti, impegnando Aehrenthal a far di tutto per soddisfare i desideri degli italiani soggetti all’Austria. Gli effetti si videro ben tosto: la sinistra della Camera dei Signori presentava una proposta in favore della Facoltà e nella Camera dei deputati si formava un po’ alla volta una maggioranza favorevole a Trieste! Trattative italo-slave Ma, per raggiungere qualche cosa al Parlamento, non basta avere la maggioranza; bisogna che l’opposizione sia disposta a lasciarsi vincere. Questo non era il caso. Gli slavi diedero di piglio all’ostruzione, e allora gli italiani cercarono di avviare con essi delle trattative. Oggetto delle stesse erano le controversie scolastiche fra le due nazioni nelle regioni adriatiche; scoglio insormontabile l’assenza di rappresentanti di quel partito che tiene il dominio nel comune di Trieste, e senza del quale non si può conchiudere alcun compromesso. Oggi è accertato che per superare questa difficoltà, i deputati italiani al Parlamento di Vienna si rivolsero ai più autorevoli rappresentanti del partito liberale triestino, chiedendone dichiarazioni e invitandoli a Vienna per meglio e più facilmente intendersi. Dopo varie tergiversazioni e ripetuti tentativi di scansare la questione, finalmente vi fu un colloquio a Vienna, ma quale ne fosse l’esito, lo dimostrò il fatto che le trattative non ebbero più seguito e rimasero sospese. Intanto Pagnini depose il mandato, gli successe Pittaco , rappresentante della maggioranza che regge la città di Trieste e con ciò la situazione parve migliorata. I liberali triestini non trattano Vane speranze! Criteri molto semplici che il nuovo mandatario dei triestini fa valere per ordine e per conto dei suoi elettori, si assommano in ciò: primo che gli italiani hanno diritto alla sede di Trieste e che per far valere un diritto, non si devono condurre trattative né combinare compromessi; secondo che la Facoltà giuridica deve sorgere in Trieste e in nessun altro luogo. In altre parole siamo di nuovo al «tutto o nulla», con questo di aggiunta che si respinge ogni trattativa per raggiungere il «tutto»! più in là, sarà difficile andare! Per capire la nuova e più radicale posizione dei liberali triestini, è d’uopo ricorrere alle loro lotte coi socialisti. Oggi, infatti, la questione universitaria italiana è più che mai una questione specificamente triestina. I liberali, come è noto, sostengono a spada tratta il puro e incontaminato carattere italiano della città propriamente detta, nella quale gli sloveni possiedono bensì una scuola popolare sovvenzionata dal governo, ma non furono ancora capaci di ottenere dal Tribunale amministrativo un decreto che riconosca il loro diritto ad avere tale scuola dal comune. Al contrario i socialisti, richiamandosi al risultato delle elezioni per il Parlamento e per la Dieta che è una cosa sola col comune, sostengono che è vano negare l’esistenza di numerosi sloveni anche nella città, e credono che si potrebbe e si dovrebbe trattare cogli stessi per muoverli con qualche concessione a lasciar erigere la Facoltà giuridica a Trieste. Di questo contegno i liberali fanno ai socialisti, e in modo speciale al Pittoni, grave colpa, accusandoli di tradimento nazionale. Ormai le cose sono arrivate al punto che il cedere o il ritirarsi si considera come questione capitale e come una sconfitta irrimediabile del partito liberale triestino di fronte al partito socialista che tenta di metterlo in imbarazzo e strappargli un po’ alla volta il potere. È naturale pertanto che i liberali triestini sono inaccessibili a ogni considerazione sulla possibilità e l’opportunità di un compromesso. Il fatto che col solo pensarvi verrebbero in qualche modo a dar torto a sé stessi e ragione agli avversari, taglia tutte le vie di accomodamento e rende insolubile la questione. Non la vogliono Aggiungete che di ciò non pochi sono tutt’altro che dolenti. A Trieste non è un segreto che qualcuno dei più caldi campioni della Facoltà giuridica avrebbe considerato come una sciagura nazionale l’ottenimento della stessa. Giacché, soddisfatta la domanda degli italiani, qualche altra arma di agitazione, così acuta ed efficace, potrebbe escogitarsi? E certi partiti non possono vivere che del malcontento e dell’agitazione, tolti i quali manca loro l’aria, il respiro, la vita. Ma di tale politica non possono certo andar lieti gli italiani in generale e meno coloro che avendo da fare una politica positiva a favore del popolo, si vedono sbarrata o intralciata la via da questioni artificialmente mantenute ed imposte. Così la pensano parecchi uomini politici con cui ebbi occasione di parlare, benché del resto siano di principi affatto opposti. Intanto la politica triestina può vantarsi di nuovi e splendidi risultati. Dal Vaterland di stamane risulta provato un’altra volta che i circoli diplomatici hanno lasciato cadere la sede di Trieste. Si capisce! La situazione internazionale è mutata: la Serbia fu messa a posto; la Turchia ha abbandonato da un pezzo il boicottaggio; la Russia e i suoi amici furono disarmati dall’alleanza tedesca del centro dell’Europa che celebrò uno dei più grandi trionfi, epperò non vi è ragione alcuna di mostrarsi condiscendenti coll’Italia e cogli italiani. Di più, ora una parte dei tedeschi non vuole saperne assolutamente di Vienna; e qualsiasi città italiana trova altrettanta opposizione che Trieste; cosicchè siamo avviati a gonfie vele verso il secondo corno del dilemma: il nulla! Questa è la sciagurata politica liberale che fino a pochi anni fa, dominò e sgovernò il popolo italiano: politica che si fa ancora sentire dove i liberali hanno da dire una parola, come avviene nel caso presente. A ogni modo sta bene conoscere le cose, per sapere giudicare e non restare, come si dice da noi, becchi e bastonati.
9aac5e45-b6f0-4fe0-95d4-072384b33ad7
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Vienna, 28 Benché qualche cosa fosse trapelato e più ancora si sospettasse, pure le rivelazioni del Trentino fecero non piccola impressione sugli italiani che qui ho occasione di avvicinare. Il vostro numero di sabato, così reciso e così chiaro, lo vidi leggere e meditare seriamente. Volli anche informarmi degli umori che regnano nella studentesca e vi posso assicurare che la grandissima maggioranza è tutt’altro che edificata del contegno di certi deputati liberali. Costoro s’ingannano, se credono di poter continuare la vecchia politica di mandare tutto a monte e poi gridare contro il governo, minacciando di bollare come traditore chi non si associa al coro. Certo il governo, i tedeschi e gli slavi hanno le loro colpe e gravi; ma ciò non giustifica quegli italiani che si divertono a favorire le mire dei nostri avversari colla politica del «nullismo». Ora si attendono i prossimi avvenimenti, e si è curiosi di vedere che cosa dirà e farà nel suo Congresso di Gorizia la Lega Nazionale che ha messo all’ordine del giorno anche la questione universitaria. La posizione della Lega stavolta non è facile di fronte alle manifestazioni della stampa popolare e socialista, ed è anche passato il tempo in cui si poteva far credere che la Lega Nazionale trattasse le questioni secondo criteri strettamente oggettivi, alieni da ogni spirito e da ogni scopo di parte. A Trieste, non è ancor molto, essa trovò bene di erigere un ricreatorio laico, dopoché i salesiani venuti dal Regno avevano già istituito un ottimo ricreatorio cattolico, che riscuote gli elogi anche di molti non clericali. Giacché l’educazione della gioventù, specialmente a Trieste, per molte ragioni che qui sarebbe troppo lungo enumerare, è pure un problema della più alta importanza nazionale. Ma invece, mentre si grida contro i socialisti traditori della nazione e se li attacca anche perché credono e sostengono che la questione universitaria si deve risolvere per mezzo di un compromesso cogli slavi; da altra parte per avversione al prete si inaugura un ricreatorio laico, dal quale si tiene gelosamente lontana la sua tonaca. Nel Trentino non si possono fare tali prove di valore; al più al più si alza l’ingegno fino a promuovere una «passeggiata di beneficenza», e a versare le offerte di tutti al giornale liberale! Ma, per tornare alla questione precipua, si ricorda ancora che proprio nei riguardi della Facoltà, dalla Lega nazionale partirono in momenti delicatissimi decisioni e indirizzi che impedirono soluzioni già avviate e fecero ripiombare gli italiani nella più amara delusione e in nuove, vane aspettative. Se i liberali triestini, approfittando dell’opportunità che loro offre anche la sede del Congresso, vorranno rinnovare con arti e pretesti più o meno speciosi, la loro politica, ne sono certamente padroni; solo che in tal caso gli italiani tutti sapranno che non si tratta affatto di conchiuso e di un voto della nazione, ma del conchiuso e del voto di un partito, anzi, probabilmente di una frazione dello stesso, di fronte alla quale – dopo l’allargamento del suffragio al popolo – sta la grande maggioranza dei deputati italiani, che non sono affatto disposti a subire imposizioni e tutele. In quella vece i maggiorenti di Trieste e delle regioni adriatiche faranno bene a pensarci due volte, se sia utile e vantaggioso alla Lega, che questa in un affare come è quello della Facoltà giuridica, si faccia organo di pochi e cerchi – come altre volte – di attraversare la via a chi tiene il mandato del popolo e non vuole asservirsi a fazioni né fare le spese delle questioni che i liberali triestini possono avere coi socialisti della loro città.
3616bc81-e334-4244-a76b-a3d2d58880cb
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Non sappiamo per merito di chi, ma sembra ormai di prammatica che quando i commercianti di vino vengono a contatto coi deputati popolari per chiederne l’appoggio, questo vien tosto ripagato con attacchi sul campo politico e con villanie. Così è avvenuto anche di recente. Due delegati degli accennati commercianti, il signor Benuzzi e il signor Cembran, si recarono a Vienna per sollecitare dal Ministero la riforma dei noli per il trasporto del vino, e l’on. Paolazzi, d’accordo cogli altri suoi colleghi, li accompagnò perorando i loro postulati. Ed ecco che poco dopo compariscono nella Weinzeitung e nell’Alto Adige due articoli che si assomigliano come due gemelli ed hanno la sola differenza che mentre il primo attacca i deputati italiani e tedeschi ed elogia i croati, il secondo, quello comparso sull’Alto Adige, attacca i soli italiani, anzi i «popolari», facendo le lodi dei «deputati delle altre province». Già questo trucco parla poco in favore dell’oggettività e dell’imparzialità di chi ha scritto o inspirato quegli articoli e dà a vedere la passione politica che ne muove l’anima e lo turba. La prima accusa che si lancia contro i «popolari» – dopo un’introduzione sui nomi dei loro giornali e del loro partito, introduzione che non ha nulla da fare col vino, ma solo con certe bizze partigiane – la prima accusa che si lancia contro i «popolari», è che ci volle il «Municipio di Lavis» come dice modestamente lo scrittore dell’Alto Adige, per dare l’allarme contro la nuova imposta sul vino; poi vennero altri comuni, poi il Consiglio d’agricoltura e «finalmente... quei grandi amici del partito, che sono i deputati popolari». In poche parole si insinua che se non fosse stato il Municipio di Lavis o il suo vicepodestà signor Cembran, i «popolari» dormirebbero ancora della grossa e forse avrebbero dormito in eterno. Altre volte lasciammo correre queste vili insinuazioni e queste piccine vanterie, che non giungono certo a scuotere la fiducia meritatamente acquistatasi dai deputati popolari, né, per questo riguardo, ci saremmo determinati a rispondere nemmeno oggi; ma se non per bisogno di difesa, è bene finalmente toccare l’argomento per rilevare e mettere a nudo le arti a cui si ricorre in questa campagna. Se i deputati popolari non promossero già sullo scorcio del 1909 l’azione di protesta contro la progettata imposta governativa sul vino, fu per una ragione molto semplice, che certo non può essere ignorata da chi tenta aggredirli. Sullo scorcio del 1909 e sul principio del 1910 fervevano più che mai le trattative per la riforma della legge scolastica, voluta, se non erriamo, da tutti i partiti, anche dai liberali, e dall’Alto Adige. Ora questa riforma che, già nel primo anno della sua applicazione, avrebbe portato una nuova spesa di 1.200.000 Cor., non si poteva compiere, se non portando la tassa sulla birra da cor. 1.70 a cor. 4 per ettolitro. Come compenso i tedeschi chiedevano che la tassa provinciale sul vino venisse elevata dal 35 al 50%, aumento di piccola entità, come fu dimostrato evidentemente a suo tempo e che non poteva danneggiare né produttori né bevitori, ma solo togliere una trentina di centesimi di guadagno per ogni ettolitro agli osti che hanno approfittato notevolmente del ribasso dei prezzi dei graspati senza diminuire quello di vendita al minuto. Vi era tuttavia pericolo che iniziando la protesta contro la tassa erariale di Cor. 4 l’ettolitro proprio nei momenti in cui trattavasi della legge scolastica, venisse coinvolta nella stessa sorte anche la nuova addizionale provinciale col bel risultato di far naufragare un’altra volta i provvedimenti per la scuola. Perciò i deputati popolari pensarono di rimettere l’azione di protesta a un momento più opportuno, quando sarebbe giunta ancor sempre sollecita per frustrare gli intenti fiscali del governo, senza però turbare l’opera della Dieta e dei deputati provinciali di ogni partito. Che le apprensioni e i provvedimenti dei deputati popolari non fossero infondati, apparve dal fatto che quando nel gennaio il Consiglio provinciale d’agricoltura, spinto dai commercianti, convocò il noto comizio di Trento, nell’ordine del giorno proposto all’assemblea si respingevano del pari la nuova tassa erariale di 4 cor. e il progettato aumento della «addizionale» provinciale. Fu proprio allora che l’on. Gentili, in piena assemblea, fece vedere l’errore che con ciò si sarebbe commesso, mandando a rotoli la legge scolastica e gli riuscì di far limitare la protesta alla tassa erariale. Quanto poi abbiano fatto i popolari, e colle trattative presso il governo e con quelle presso gli altri partiti della Camera e con ripetute, energiche dichiarazioni nella discussione della riforma finanziaria e del bilancio, e nell’adunanza popolare del loro partito e in pubblici comizi per combattere la nuova imposta, è noto a tutti; e quest’opera forte ed assidua e l’esito da essa finora ottenuto non possono essere ottenebrati dagli sfoghi di qualcuno, che pur ritraendone vantaggio non piccolo, cerca sfogo al malanimo su giornali che ne sfruttano per scopi politici le punto veritiere e poco nobili invettive. E veniamo ai noli. Tutti sanno che col primo gennaio essi furono aumentati. Secondo l’Alto Adige tutti, meno i popolari; secondo la Weinzeitung i croati; non però gli italiani e i tedeschi, si sarebbero adoperati per combattere l’aumento che venne ad aggravarci. Sembra che gli scrittori del periodico viennese e del giornale liberale di Trento non sappiano o non vogliano sapere nulla delle adunanze dei deputati di tutte le province alpine contro le nuove tariffe, accordate a favore delle disperate finanze della Meridionale . Sembra che non sappiano o non vogliano sapere che questi deputati nominarono un comitato che, per incarico comune, trattò e protestò contro la dannosa concessione. Sembra che non sappiano o non vogliano sapere che di tale comitato faceva parte per il Trentino l’on. bar. Malfatti. Sembra che non sappiano o non vogliano sapere che se l’azione dei deputati delle provincie alpine e del comitato da loro eletto, non ebbe per quest’anno il desiderato successo, non fu certo per loro colpa, ma per la triste situazione creata dalle passività della ferrovia e dalle difficoltà che si frappongono al suo incameramento, cose tutte di cui fu più volte cenno nel Trentino. Tutto questo fu fatto prima del gennaio, quando le nuove tariffe non erano ancora in vigore e molto prima che i commercianti di vino dessero segno di vita; giacché, come confessa il corrispondente dell’Alto Adige, il Consorzio dei commercianti di vino presentò solo due mesi fa, dunque nel maggio, il memoriale con cui chiede una riduzione. Né l’azione dei deputati cessò. Essi continuarono ad adoperarsi perché le tariffe provvisoriamente introdotte per il 1910, non vengano prolungate, e, per recare un esempio, poco fa il più grande partito della Camera presentò un’interpellanza in tal senso, firmata in primo luogo dal deputato Wittek, ex ministro delle ferrovie. Certo che se i commercianti trentini inviano un memoriale al Ministero e non ne danno notizia ai deputati, questi non possono intervenire in favore di questo atto in particolare. Diamine! si pretende che i deputati penetrino perfino i segreti dei cuori? La «corrispondenza» dell’Alto Adige termina con queste parole testuali: «Così vengono salvaguardati dai clericali i più vitali interessi di questo travagliato Trentino!» Noi potremmo rispondere: «Così si svisano le cose! Così si trattano i deputati che, richiesti e non richiesti, nei migliori modi loro dettati dall’interesse generale, si sono adoperati per il bene del paese e delle varie classi di cittadini!». Non sarà davvero cogli articoli della Weinzeitung e dell’Alto Adige, che si potrà negare o distruggere l’opera dei popolari, opera che venne a ristorare il nostro paese dopo tanti anni di «alta politica» che lo condusse sull’orlo della rovina; opera che del resto viene riconosciuta anche ai nostri avversari, cui le diverse e opposte tendenze politiche non fanno velo. E se si volesse rivolgere le armi contro certi aggressori, si potrebbe chiedere se i più vitali interessi del travagliato «Trentino» si facevano da certuni coll’acqua e colle sorbe; e se di recente si fecero col «contratto modello», per compilare il quale non si chiamarono i produttori, né si fece ricorso al Consiglio d’Agricoltura, che in altre occasioni ben si seppe chiamare in soccorso. No, signor corrispondente; è fatica sprecata ch’ella si voglia dar l’aria di tutelare gli interessi degli agricoltori. Sia detto senza offesa alcuna, giacché al momento non ci occorrono alla mente paragoni migliori, ma sarebbe come se la capra si vantasse di custodire l’insalata. Ella non ha di mira gli interessi generali; anzi li danneggia, attaccando ingiustamente chi lavora e cercando di intorbidare le relazioni fra fattori chiamati ad un’azione comune; azione che non viene promossa da aggressioni altrettanto ingiuste quanto incivili.
95baa536-2d40-4b95-8536-62e0975a25f0
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Abbiamo avuto di recente un epilogo giudiziario che riavvicinò alla memoria la triste situazione di Roverè della Luna. Le ultime notizie di lassù non dicono che le cose vadano al peggio; forse all’unanime sforzo di tutte le persone rette ed equanimi riesce di sanare una situazione che parve irrimediabile. La provocazione dei germanizzatori fu fierissima e la prepotenza loro così evidente, che l’unica famiglia tedesca esistente nel paese s’affrettò a separare la propria causa da quella dei connazionali corruttori e perfino parte degli organi del governo ritenne suo dovere d’intervenire nel senso della pace e contro l’invadente zizzania. Bisogna averli visti codesti bravacci del «Volksbund» ed aver seguita davvicino la storia delle loro gesta! Quando il curato predicava la pace, essi reagivano con sghignazzi o con vigliaccherie notturne ed a chi tentava calmarli rispondevano con minacce e con tutte le arti che avevano appreso alla scuola della prepotenza. Così mano mano la lotta nazionale assunse tutte le forme più brutali della rozzezza e della violenza. È quindi spiegabile, per quanto non commendevole, che taluno il quale si sentiva forte della causa giusta sia incorso nell’errore pur troppo frequente di dare alla propria proposta la forma dell’atto iniquo che l’aveva provocata. E qui – ripetiamo col nostro Manzoni – «non possiamo lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza di un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era l’oppresso. Don Abbondio sorpreso, messo in fuga, spaventato mentre attendeva tranquillamente a’ fatti suoi, parrebbe la vittima, eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo... Voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo». E così è andata a Roverè della Luna. Certo che il giudice il quale si trova dinanzi al fatto incriminato non ha il compito di dar sfogo a riflessioni generali, ma di applicare in concreto i paragrafi del codice penale. E di tale applicazione pura e semplice non saremmo noi a lagnarci, prima perché nessuno potrà perorare l’impunità della violenza, secondo perché tale giustizia dovrà pur gravare nella maggior parte dei casi sui partigiani dei germanizzatori, i quali ricorrono per educazione e per sistema agli sfoghi criminosi della prepotenza. Ma anche per un’altra ragione in tali casi appare consigliabile l’applicazione nuda della legge senza il commentario storico-morale. Ognuno vede come tale commentario, a voler essere imparziali, riesca oltremodo difficile e metta in pericolo la fama d’equità e di oggettività della quale, specialmente in conflitti nazionali, il giudice dev’essere accuratamente geloso. Facilissimo poi è che inducendo dal particolare al generale si venga tratti a pronunziare giudizi che non corrispondono punto alla realtà dei fatti. Nel recente processo invero è caduta l’espressione generica di «prepotenza dei trentini». Ora come conciliare tale enunciazione apodittica colla verità che ci è personalmente nota e colla storia di Roverè che abbiamo seguita davvicino? Singoli atti di violenza potranno riscontrarsi anche nella storia della reazione, ma l’offesa atroce, la prepotenza vigliacca vennero da Salorno e d’oltresalorno, ed il povero paese prima tranquillo ed ignorato ne è diventato la vittima. Fu contro tale offesa e tale prepotenza che si levò la stragrande maggioranza di Roverè e tutto il Trentino e di tale protesta si fecero eco i nostri rappresentanti alla Dieta ed al Parlamento. E la lotta non finirà fino a tanto che la prepotenza pangermanista non sarà fiaccata e rotta per sempre. Tanto credevamo di riconfermare, perché non si creino equivoci, convinti del resto che in questo caso la frase sia andata più in là del pensiero e ben lungi dal supporre che essa si debba interpretare come una generica concezione della lotta nazionale impostaci dagli invasori o come un’approvazione dell’attacco volksbundista. Il carattere ed il passato della persona che l’ha pronunciata c’inducono a negare alla frase quel senso che le si dovrebbe comunemente dare.
a7d2f776-be72-46ac-a934-2e45e3c1a0eb
1,910
3Habsburg years
11906-1910
El senor Canalejas non dev’essere troppo contento del gesto col quale qualche giorno fa, alla Camera, il deputato Iglesias ha strappato alla tomba la spoglia sanguinosa del fucilatore di Montjuic e l’ha agitata come Antonio fece della toga crivellata di Cesare. Nel suo conflitto non col Vaticano soltanto, ma con tutta la coscienza religiosa della Spagna Canalejas si era ingegnato di scivolare attraverso le difficoltà come una anguilla sapiente. L’anguilla, come si sa, ha del serpente e ha del verme: si snoda e guizza quando sa di poter sfuggire; quando no, si cela nel limo del fondo. Ora, tutto il lavorio di questo periodo ingrato e pericoloso, tutto il programma di questa trasformazione dell’anima «ufficiale» spagnuola, che si andava saturando di iniezioni tossiche di anticlericalismo a dosi intermittenti, ma sempre maggiori erano appunto ispirati a una ipocrisia di governo che voleva colpire – e colpiva – senza parere, nascondendo il coltello omicida sotto il largo mantello di Catone. Di fronte all’agitarsi di tutto un popolo credente, di fronte alla parola sdegnosa e solenne dei pastori di questo popolo, Canalejas non aveva avuto il coraggio di gettare apertamente l’ultimo velo che poteva nascondere il nemico religioso e aveva parlato di coscienza cristiana e di rispetto alle leggi. L’anguilla si destreggiava, ora sgusciando tra le dita che volevano stringerla, ora confondendosi con la fanghiglia. Egli non parlava ancora della Spagna laica: il linguaggio dei cugini di Francia gli pareva precoce e pericoloso. Troppo forte, troppo tenace, troppo viva era la fede cattolica, nel popolo di Spagna, perché egli potesse d’un tratto avventare una parola imprudente che venisse a urtare, come una catapulta, contro un edificio saldo e possente che i secoli avevano costruito, a cui le ossa dei morti avevano dato le radici e che tutta una gente custodiva, con le braccia e col cuore. Bisognava distruggere, ma con accortezza; bisognava rovesciare, ma con abilità. La dinamite è spiccia, ma fa troppo rumore, e, quel ch’è più, rischia – se adoperata male – di far saltare in aria chi se ne serve. Il trapano è più lento ma più sicuro. A furia di buchi, l’edificio d’un tratto non ha più resistenza, e la mano d’un muratore basta a dargli il crollo. Ora Canalejas era per il trapano. Lo aveva, anzi, fasciato come meglio poteva, con tutti gli stracci che gli era riuscito di pescare in fondo ai suoi rispostigli, perché facesse meno rumore, così come fanno i ladri che penetrano nelle case da svaligiare. E d’un tratto ecco che qualcuno riesce a guastargli il piano, ecco che una parola imprudente è pronunziata, ecco che in questo programma di ipocrisie e di destreggiamenti, – il programma del mantello che copre l’arma e dello straccio che fascia il trapano – c’è un avventato che manda in aria il mantello e fa esplodere la sua brava cartuccia di nitro-glicerina. Nessuno aveva ancora scoperto il giuoco: toccava a un impetuoso tribuno il compito di farlo. E la povera anguilla s’è trovata acciecata per la storditaggine e la violenza di sua cugina la seppia che ha intorbidate le acque com’è suo costume. Francisco Ferrer. Era necessario che questo nome suonasse, in questi giorni, che questo fantasma tinto di sangue – e non del sangue suo – riapparisse nell’ora della lotta. La Spagna che serba i suoi diritti era una visione troppo serena, per essere sincera; occorreva qualche cosa di più netto, di più reciso: la Spagna laica. Il deputato Iglesias ha gridato un nome, perché questo concetto si chiarisse, e ha finito col rivelare quel che è la visione, che si prepara: la Spagna ribelle. La menzogna di un Governo rigido ma non intollerante, non persecutore, questa menzogna che si era finora tentato di far reggere sul suo fragile piedistallo, è crollata dinnanzi alla rievocazione della giornata di Barcellona. Iglesias – il celato compagno di fede – ha fatto opera involontaria di nemico: ha buttato giù quel piedistallo e ha mostrato lo spettro della rivoluzione, che vi era appiattato dietro. E lo spettro è sorto, e si è levato in piedi, ed ha tese le braccia scarne, le dita adunche dalle quali gocciava il sangue ed ha scrollata la tragica chioma fatta di serpi. E nel suo vitreo sguardo di Gorgona ha lampeggiata la promessa di domani, la terribile realtà che il suo gesto andava additando, all’orizzonte fosco ancora di nebbie. Ed ecco i conventi ardere, nella rossa furia delle fiamme, e bruciare, in essi, nella inesorabile cerchia delle mura roventi che gli assassini circondano, i corpi viventi delle pie suore, dei vecchi frati, stretti intorno al crocifisso. Ed ecco le chiese sventrate, e gli altari infranti, e gli ori e gli argenti, che la pietà offerse alla fede, diventar bottino e spartirsi fra le mani omicide e sacrileghe, in una lotta di bestie inferocite che si dividono la preda palpitante. Ed ecco la guerra civile, e le case dei cittadini assalite, e il furto che diventa il diritto dei vincitori, e le caserme che si trasformano in pozze di sangue che inalberano il vessillo della rivolta. Ecco la Spagna di domani, quella che verrà, quella che essi vogliono, e che preparano spezzando i legami che avvincono la patria a Cristo, esiliando il prete dalle scuole, mettendo una barriera tra la Croce e la Reggia... È stato come se si fossero saltate via, senza badarci, delle pagine di un libro. Da un racconto tranquillo, sotto il quale la furberia del romanziere nascondeva con arte lo svolgimento finale, si è passati alla catastrofe. Il lettore ha saputo prima del tempo, e ha sentito un brivido. E si è detto: – Leggerò io, queste pagine, ora che mi è nota la fine? Non è meglio, forse, che io chiuda il libro? E questo brivido sarà passato attraverso l’animo di tutta la nazione e, forse, avrà picchiato ai vetri di un gran palazzo in cui una giovinezza vigila alle sorti del popolo suo. Sarebbe tempo che quella giovinezza reale pensasse che oltre l’oggi v’è anche un domani. Intanto al figlioccio di Leone XIII e al marito di una inglese Battenberg si sono fatte correre delle voci che potrebbero essere delle leggende ma potrebbero anche essere degli indici per comprendere la situazione. Alfonso XIII diverrà il re «democratico»? La storia gli dovrebbe ricordare chi fu e come finì un Filippo Egalité.
a497ddd2-a2bc-45a7-8457-be4c37865947
1,910
3Habsburg years
11906-1910
La lettura dei giornali, in questi giorni, ci ha fatto una volta ancora ripensare a quella nostra rispettabile conoscente che è l’opinione pubblica. Il nome è sonoro, tanto sonoro che vale quanto e più che il nome di una imperatrice, non è infatti per essa che si governano oggi le nazioni, che si stabiliscono le leggi e i costumi? Un uomo moderno e che ci tenga a questa qualità non può riconoscere altro principio del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. Noi coll’opinione pubblica siamo come in famiglia (e appunto per questo ci danno il molto onorifico ma poco redditizio titolo di quarto potere) noi l’abbiamo vista tante volte nascere sotto i nostri occhi e da piccina piccina ingigantire e imporsi... alle persone indipendenti. Lo confessiamo, è una conoscenza che ci fa divenir scettici sul valore della massa grigia racchiusa nelle scatole craniche dei nostri contemporanei. Ogni giornalista nella monarchia dell’opinione pubblica la quale è la più assoluta e la più czarista delle monarchie, è un repubblicano. Gli è che si conosce troppo la tecnica di fabbricazione. Ne volete un esempio? Ecco la rubrica spagnuola. Quasi sempre è vuota, invece da qualche tempo si riempie di lunghi telegrammi ufficiosi. Il segreto di tale verbosità telegrafica si spiega subito con la natura di quei telegrammi. Raccolgono essi le dichiarazioni irritanti del Presidente del Consiglio Canalejas contro il clero ed i cattolici (e sotto questo riguardo trattandosi di un Presidente del Consiglio la cosa può passare); raccolgono poi gli sproloqui di un Salillas (chi è costui?) presentato come distinto criminologo, tanto per giustificare una mezza colonna di servizio telegrafico; nonché la concione di un Iglesias, nome non nuovo, ma certo appartenente ad un Iglesias di stampo moderno, perché quello vecchio da lungo tempo deve essere passato alla storia. Or l’uno or l’altro, questi due forbiti oratori, hanno intrattenuto lungamente la Camera sul caso Ferrer, dicendone di cotte e di crude sul gabinetto Maura e del partito conservatore, al quale fanno risalire non solo la colpa dell’assassinio (?) perpetrato nei fossati di Montiuichi ma ancora la responsabilità dei moti di Barcellona, con relative bombe anarchiche, massacri di religiosi, incendi e saccheggi di conventi e di chiese, esumazione e profanazione di cadaveri, il tutto presentato nella veste più rosea di questo mondo, come si fosse trattato di bazzeccole che il gabinetto Maura doveva tollerare, compatire, e forse anche assecondare. Ma non è di quest’escandescenze (possibili in ogni parlamento, là dove ci sia anche un solo republicano od un solo socialista) che è istruttivo l’occuparsi, sibbene della «reclame» che ad esse diffusamente vien fatta all’estero, in contrapposto alla quale sta il pronto ritorno alla più rigorosa sobrietà quando si tratta delle dichiarazioni di uomini appartenenti all’elemento cattolico, e perfino al Governo, che si sentano obbligati (non foss’altro per la dignità dell’ufficio) a tarpare le ali alle intemperanze sovversive. L’esempio è palmare. Di fronte alla concione del Canalejas poche e pallide righe riserbate al discorso tenuto dal Vescovo di Madrid al Senato; di fronte alle cicalate del Salillas un accenno di sfuggita alle riserve fatte dal Ministro dell’Istruzione; di fronte alle irruenze dell’Iglesias quattro righe soltanto per riassumere il discorso del Ministro della Guerra in difesa dei tribunali militari. Or, se questa diversità di trattamento risalta agli occhi delle persone intelligenti e le induce a giudicare severamente l’attendibilità di quei resoconti, ben diversa è l’impressione che essa lascia nella grande maggioranza del pubblico. Il pubblico superficiale legge, presta fede alla lettura e di essa s’imbeve. Ed è disgraziatamente nel pubblico superficiale, cioè a dire nel grande pubblico, facile a lasciarsi abbindolare, che si forma la famosa opinione pubblica, la quale poi o preme effettivamente sui governi in determinate circostanze tumultuarie o, ciò che è ancor peggio, offre ai governi massonici il pretesto di far credere che essi sono veramente pressati dall’opinione pubblica a seguire la via nella quale amano mettersi per i loro perversi fini. Così si formano le correnti, e soprattutto le grandi correnti internazionali, che determinano poi importanti fatti politici, di cui abbiamo in questi giorni saggi diversi nei paesi latini. Quanto cumulo di triste politica non ha obbedito a questo metodo di sciente falsità, arrivando a creare nuove situazioni di fatto, che al lume veridico della storia dovrebbero vergognarsi della loro origine! Ed oggi si ripiglia; non solo contro la Spagna cattolica in particolare, ma contro il cattolicesimo in generale, perché le vicende d’oggi, al pari delle vicende francesi di ieri e di quelle possibili italiane di domani, hanno ed avranno per fine di sradicare la vetusta pianta del cattolicesimo dai paesi latini. La lotta dei radicali e dei conservatori in Spagna è un episodio; la grande guerra si combatte dappertutto, ed è guerra contro la Chiesa. Quali le difese? Fra le altre, una ci è offerta dal fatto che oggi andiamo commentando. È necessario, indispensabile, nel modo più rigido, che all’opinione pubblica falsamente ed artificiosamente creata si opponga un’altra opinione pubblica amica, sincera amica, della verità. Bisogna che il pubblico non sia più oltre ingannato e trascinato dall’inganno ad errori e a deduzioni che influiscono sinistramente sul suo modo di sentire e di operare. E come si fa? Bisognerebbe avere in mano le agenzie, il che è come dire trovare la quadratura del cerchio. Non resta quindi che un mezzo, rendere quanto è possibile innocue quelle notizie tendenziose. È quello che fa o dovrebbe fare ogni giornale onesto, specialmente il giornale cattolico. Il giornalista esperto non fatica molto a conoscere se un’informazione è colorata. E se è coscienzioso saprà quello che deve fare. O non darle corso, o meglio ancora farle un processo di lavatura chimica. Ed ecco un altro punto, che a molti forse sfugge ma è di eccezionale importanza in cui il giornale cattolico si distingue dai giornali liberali che si fanno consciamente o inconsciamente propagatori e difensori delle ambigue e losche faccende massoniche. Un caso tipico lo abbiamo visto nel giornalismo locale, in quest’ultima settimana. Per tre o quattro volte le cretinerie della Neue Freie Presse sull’enciclica Editae saepe (non si vede tra il resto quale interesse potesse avere tra noi la campagna giunta in ritardo ed evidentemente stentata del giornale ebraico di Vienna) furono ospitate con tutta la serietà, mentre erano persino ridicole nella forma e nella sostanza degne del più arrabbiato foglio Los von Rom che si stampi nel paese di Lutero.
4da75b1a-73b7-4aea-beba-d472ed86c7f1
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Dunque l’Alto Adige ha sentenziato che la deputazione popolare in tre anni di lavoro non ha ottenuto nulla o se ottenne qualche cosa, questo non fu un successo della deputazione, bensì del militare. Se ciò fosse vero, se fosse vero che il nostro paese nel 1910 è al medesimo punto o peggio che nel 1907, nessuno dovrebbe rallegrarsene maggiormente dell’Alto Adige. Giacché questo fu sempre l’ideale di quei signori: il nulla, la rovina, la catastrofe, da cui doveva poi balzare come per miracolo il paese nuovo, da loro sognato e decantato inutilmente per tanti anni. Diverso nella finalità, il partito liberale conviene in ciò mirabilmente col partito socialista, o per essere più esatti, coi marxisti più puri e più ortodossi. Il lavoro paziente e faticoso di graduale riforma è per questi una pazzia. La società non deve migliorare sulle presenti basi, ma peggiorare di giorno in giorno, finché giunta la miseria e la disperazione agli estremi, gli oppressi si ribellano, spogliano violentemente gli spogliatori e inaugurano il felicissimo stato comunista. Così per i liberali classici che tennero o tengono il potere in via Dordi , doveva avvenire del Trentino. I contadini chiedono strade? Oh, gli ingenui che non sanno assurgere agli ideali dell’alta politica. Bisogna fermare l’attività dei corpi legislativi e lo sviluppo delle comunicazioni per essere un giorno forti e indipendenti. Chiedono riparo alle acque devastatrici? Eh, via! si possono ben lasciare i campi in balia dei torrenti, per poi amministrare in proprio la miseria comune. I medici vogliono la pensione? Pare impossibile che non comprendano come la sorte riservata a loro stessi, ai loro figli, alle loro famiglie, è una quisquilia in confronto alle sorti della patria. I maestri strepitano per fame? Ah, gli audaci che osano insorgere in nome della scuola, della gioventù, dei suoi educatori con richieste che intralciano e fermano il glorioso corso dei fati, infallibilmente segnato e previsto dai profeti di via Dordi! Bisogna convincersi che la negazione è il germe fecondo dell’affermazione, la miseria è la radice della prosperità, la rovina di un paese è l’auspicata aurora di uno splendido avvenire. E intanto la miseria cresceva, l’emigrazione e la pellagra dilagavano, il popolo stremato era facile preda di chi voleva rapirgli la lingua e magari la fede; dalle aspirazioni di progresso e conquista, il paese era ricacciato nella decadenza e nella difesa. Se non fosse stata l’opera intelligente, assidua e piena di sacrificio del clero trentino e di pochi secolari che con slancio generoso gli prestarono aiuto, oggi il Trentino sarebbe una terra di avvilimento ed abiezione. In mezzo a mille difficoltà e contraddizioni si formò una vasta rete di società cooperative che facilitarono al popolo il credito, gli assicurarono condizioni molto migliori nelle compere e nello smercio e lo liberarono dall’usura e dallo strozzinaggio. Chi, ricordando i tempi andati, non vede il notevole progresso in tutta la nostra vita? Oggi il popolano trentino è in ben altre condizioni che quindici o vent’anni fa, e se vi è ancora da lavorare e combattere, egli è sostenuto in questa lotta dalle conquiste recenti che gli accrebbero forze e vigore. Dicemmo che quest’opera fu irta di difficoltà e di contrasti. Non occorre ricordare da chi vennero. Vennero di là, donde oggi, non avendo potuto fermare la marcia del popolo trentino, si tenta di rodere, di tarlare, di abbattere l’edificio innalzato e tornare ai bei tempi antichi, quando sopra una massa impoverita, tenuta nell’ignoranza e nel servaggio, regnavano i semidei del nullismo e delle catastrofi. Il risveglio economico, la diffusione della coltura, la rivendicata libertà del popolo, l’estensione del suffragio, tolsero ai semidei l’aureola, il piedistallo ed il seggio. Un profondo rammarico ne corrode l’anima; essi agognano pur sempre alla dominazione tramontata e ogni arte è buona per tornare ad arraffarla. Così adesso l’Alto Adige trova che i deputati popolari in tre anni non ottennero nulla. O non vi pare che siano un bel nulla i 2.800.000 corone ottenuti dallo Stato e le 800.000 corone ottenute dalla Provincia per lo sviluppo della rete stradale? E posto che invece di nulla siano qualche cosa, che i signori dell’Alto Adige colle loro chiacchiere e il loro programma non sarebbero stati in caso di largire al nostro popolo e al nostro paese, credete voi che le strade giovino a qualche cosa? Credete voi che ai valligiani interessi di essere congiunti coi centri e di avere uno scambio più comodo e meno costoso dei prodotti? Ma che! Le vie piane e lastricate sono buone per chi va al caffè a salvare la patria due o tre volte al giorno: le scarpe grosse possono ben contentarsi di sassi e dirupi. Ma le strade sono «un successo dell’autorità militare». A questo punto è arrivato l’Alto Adige pur di negare la luce del sole. Come se non si sapesse che anzi dalla parte del militare vi furono ed in parte persistono non piccole difficoltà, e che costò non poco lavoro ai deputati superarle. Del resto, se il militare, in singoli casi, abbandonò la politica dello sbarrare i passi e ne favorì finalmente l’apertura, niente di meglio; i denari però non li sborsa, e se non ci fosse chi incessantemente si adopera per ottenere i fondi necessari e spingere innanzi le cose, il Trentino avrebbe un bell’aspettare. Un nulla sono pure i lavori di regolazione delle acque avviati già l’anno scorso per un valore complessivo di Corone 2.686.685, – ai quali lo Stato contribuisce in generale col 50%; la Provincia col 30% e i fattori locali col 20%; un nulla le sovvenzioni per le scuole, nelle quali, per opera felicemente riuscita dei deputati, il Trentino fu pareggiato alla parte tedesca della Provincia; un nulla l’avere sollevato un bel numero dei comuni più bisognosi del completamento della congrua; un nulla l’avere portato a mezzo milione il fondo per la lotta contro la pellagra (per chi non lo sapesse i forni del pane non servono per il popolo ma per il militare); un nulla l’aver richiamato in vita la Dieta dove oggi gli italiani formano parte della maggioranza, un nulla l’aver per tal modo assicurate le pensioni – per quanto modiche – ai medici; un nulla l’aver regolata, con equo riguardo alle forze limitate del Trentino, la legge scolastica; un nulla l’aver ottenuta l’assicurazione di 4 milioni per la ferrovia giudicariese, milioni che se non sono ancora approvati dal Parlamento, non è certo colpa degli italiani, ma dell’ostruzione che arrestando l’attività della Camera, impedisce la costruzione di tutte le nuove ferrovie locali in tutte le province, senza distinzione; un nulla è pure il compromesso per la ferrovia avisiana; un nulla l’aver avvicinata alla sua soluzione la questione universitaria che oggi domina la situazione politica mercé l’abile e assennato contegno dei popolari che ottennero al loro gruppo una posizione non mai goduta dagli italiani al Parlamento. Tutte queste opere e molte altre che si potrebbero aggiungere; tutto questo lavoro che in parte rappresenta dei successi già ottenuti, in parte un buon avviamento in questioni trascinate da altri per le lunghe e ridotte a pessimo partito: tutto ciò è un nulla! Lo dice l’Alto Adige e basta! Due righe dell’on. Lanzerotti erette a sentenza sommaria e contornate dai ben parchi commenti hanno compiuto il prodigio! Infatti l’on. Lanzerotti, in un recente articolo con forti parole mosse rampogna che le strade, i forni e qualche altra sovvenzione ottenuta a gran fatica sono «tutte cose buone ed accettabili»; ma non stanno in proporzione col notevole danno che il Governo cagiona coll’impedire l’esportazione di forza elettrica e coll’intralciare o ritardare lo sviluppo e l’esercizio delle comunicazioni. Questo era quello che voleva l’Alto Adige. Abbiamo il reo confesso! egli grida; il partito popolare ammette di non avere raggiunto nulla, dichiara il fallimento, dà ragione a noi, e non gli resta che consegnare le armi. Per sì grande avvenimento, il giornale di via Dordi mena uno schiamazzo, e solleva un putiferio come la gallina che ha fatto l’uovo. Ma bravo, ma bene, padre Zappata! E dire che proprio nel torto principale che l’on. Lanzerotti rinfaccia al Governo, quello di non consentire l’esportazione di forza elettrica e di soffocare con ciò parecchi impianti che porterebbero grande vantaggio al paese, in questo torto il Governo ha trovato il più valido patrocinio, la più efficace difesa dell’Alto Adige. O non ricordate gli articoli che pubblicò questo giornale contro l’esportazione di forza elettrica dalle Giudicarie nel vicino territorio di Brescia? O crede l’Alto Adige che i lettori ed il pubblico siano di memoria sì corta dall’averli messi in oblio? E dopo ciò si ha il coraggio di dedurre da due righe, l’insuccesso, il fallimento del nuovo indirizzo e ricantarci i bei tempi andati? Naturalmente, il popolo nostro – che del resto non legge l’Alto Adige, riservato a esclusivo conforto e sollievo degli antichi signori – naturalmente, il popolo nostro riderebbe di questi desideri e respingerebbe con ironico ringraziamento della cortese profferta. L’Alto Adige che si sente commuovere le viscere sopra le turbe, è una macchietta comica. Che volete? Quando parla del rincaro della carne, senza andare tanto lontano nel cercare le cause e i rimedi, non potrebbe suggerire ai suoi amici del Comune di Trento, di moderare l’imposta da loro votata e riscossa? Lo stesso dire, quando parla del pane, e peggio quando parla del vino, mentre pur di recente annunziava che ogni peso di dazio o di noli verrebbe inesorabilmente riversato sui produttori, giacché il commerciante non deve pensare affatto a ridurre il suo guadagno. Ma quando piange sul poco sviluppo industriale del paese, e mostra di congiungere la sua voce con quella dell’on. Lanzerotti per deplorarne le funeste conseguenze, la vis comica raggiunge il colmo. Basta guardare a Trento, per avere un esempio luminoso che irradia tutto il Trentino e insegna a chi vuole e a chi non vuole, come non si debbano fare gli impianti elettrici. Sorpassi enormi, tariffe contro cui protestarono tutti quelli che sentono sulla loro pelle quanto costi a questi lumi di luna condurre e sostenere un’officina; imposte comunali che danno il più triste primato alla nostra città su quelle di tutto l’Impero; e come se l’industria e il commercio non fossero abbastanza caricati e inceppati, la tassa sul valore locativo che sembra avere sostituita quella sul vino, vagheggiata un tempo a sostegno delle finanze comunali, mentre l’Alto Adige piangeva lacrime di vitello perché altri pezzi più grossi ammiccavano a quel boccone e gridava al disastro se mai altri su più vasto suolo avesse rapiti e attuati i reconditi pensieri dei suoi amici. Davvero che la «ben guidata» mette i brividi nelle ossa. E si ha il coraggio di offrirsi di nuovo a riprendere la politica delle catastrofi? Grazie; ne abbiamo abbastanza. Si ha il coraggio di rivolgersi al popolo trentino e invitarlo a mettersi altra volta sotto tutela? Par di assistere alla favola della volpe che chiede graziosamente ingresso nel pollaio, ben s’intende, per custodirlo dagli assalti nemici. No, no signori; se siete tanto innamorati della vostra politica, fatela pure, ma per conto vostro. Di negazione in negazione, di precipizio in precipizio nell’illusa fantasia andrete avvicinandovi alla cima, e se a qualche coccolo o a qualche lancia spezzata sembrerà che tardi troppo l’avvento, c’è ormai l’esempio che con un «prestito forzoso» si può risarcire la patria dei ritardi e degli sbagli della tattica.
462768cf-39a0-4adc-9b2a-34c648062f10
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Le agenzie ufficiose hanno diramato da San Sebastiano il seguente comunicato: «Il Presidente del Consiglio Canalejas è qui giunto. Egli ha avuto con il re un colloquio, nel quale gli ha reso conto della nota inviata dal Vaticano. Il Presidente del Consiglio ha dichiarato che il governo spagnolo non può accettare le condizioni che il Vaticano vorrebbe imporgli. La nota di risposta a quella del Vaticano sarà ispirata a questi sensi. Canalejas continuerà la sua campagna anticlericale e confida nella fiducia della corona. Egli crede che una rottura sia inevitabile. Il Governo ha ordinato all’ambasciatore di Spagna presso il Vaticano, Ojeda, di ritornare a Madrid». La gravità eccezionale di questo telegramma è evidente. È la prima avvisaglia della fase risolutiva nella quale è entrata o sta per entrare la questione sì calorosamente agitata in questi ultimi tempi tra il Vaticano e la Spagna. L’ultima decisione alla quale è giunto il governo spagnuolo, purtroppo non era inaspettata e non ha sorpreso alcuno. Chi ha seguito le fasi del conflitto inaugurato con la venuta al potere di Canalejas, può avere una chiara idea della situazione. Il governo spagnuolo voleva modificare lo status quo sanzionato dal Concordato con la Santa Sede. Il desiderio non era nuovo e con i gabinetti precedenti – anche e soprattutto con quello conservatore di Maura – si erano avviate trattative in questo senso. Il Vaticano, coerentemente alle sue precedenti disposizioni, non si è rifiutato a trattare con Canalejas; le stesse concessioni alle quali era giunto con i precedenti governi era pronto a conservarle, ed anche, possibilmente, ad estenderle con l’attuale gabinetto. Ma la Santa Sede, iniziate le trattative con Canalejas, si è trovata di fronte ad un ostacolo impreveduto. Il Governo spagnuolo, mentre faceva le viste di trattare col Papa, preparava da sé e unilateralmente decreti reali e progetti di legge su quelle stesse materie che avrebbero dovuto essere oggetto di regolari trattative. Naturalmente la Santa Sede – come avrebbe fatto qualsiasi persona che ha concluso un contratto bilaterale – richiese che tali innovazioni non fossero introdotte, finché le trattative già avviate erano tuttora pendenti. Invece, com’è noto, il governo spagnuolo in questo tempo ha emanato più di una disposizione lesiva dei precedenti impegni concordatari, fino alla ultima proposta della legge-catenaccio relativa agli ordini religiosi. Questa è la situazione creata dalla politica del signor Canalejas. Il contenuto dell’ultima nota diplomatica inviata da Roma a Madrid, non è stato pubblicato né dal ministero degli esteri di Spagna né dalla Segreteria di Stato. Se però essa, come si afferma, può tradursi agevolmente in un ultimatum nel senso che la Santa Sede abbia dichiarato impossibile la prosecuzione delle trattative ove non venisse mantenuto lo statu quo sull’oggetto delle stesse – è chiaro che la Santa Sede ha agito come avrebbe agito qualunque persona che si rispetta quando vede arbitrariamente violato un contratto al quale si è impegnata nella fiducia che venisse rispettato anche dall’altro contraente. Ed a questo, se non altro, si riducono le pretese imposizioni ed esigenze della Santa Sede, alle quali il signor Canalejas pretende di non potersi piegare. Il richiamo dell’ambasciatore non costituisce la rottura delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede, la quale sarebbe dichiarata solo allorquando venissero ritirate le credenziali a rappresentanti accreditati del governo spagnuolo presso il Vaticano. Si tratta solo di un congedo temporaneo, al quale seguirebbe immediatamente il congedo del Nunzio apostolico che rappresenta il Pontefice a Madrid. Ma sarebbe errore farsi delle illusioni riguardo alla portata di questo passo deciso da Canalejas. Esso è certamente gravissimo, e la Spagna va incontro a giorni tristi di anticlericalismo persecutore, se pure non muterà la situazione politica, o peggio ancora, non si arriverà fino alla guerra civile. Un telegramma da Parigi annunzia contemporaneamente che Re Alfonso ha ottenuto a Biarritz il primo premio in una regata... E chi dubiterà che un sovrano che sappia dirigere elegantemente un jacht non sappia anche, quando gliene avanza il tempo, governare uno stato?
72e0004b-19bf-491e-9d3b-e4d7653a3161
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Dalli e dalli, l’Alto Adige ha parlato . Ci ha messo alquanto, ma alfine si è pur sempre deciso; e mentre in città tutti ormai parlavano delle dimissioni del cav. Gerloni, delle elezioni suppletorie e del ritiro del Podestà ; mentre il fatto fin da subito era passato nel dominio della stampa, l’Alto Adige si recò a prendere «informazioni a fonte competente», ebbe la conferma di ciò che era già noto lipsis et tonsoribus e ieri trovò il coraggio di pubblicare anche lui all’«ultima ora» la notizia. «Tardi, ma sicuri» sentenzia l’Alto Adige. Non possiamo che dargli ragione. Collo spettro delle elezioni innanzi agli occhi, il foglio di Via Dordi vede ormai i «clericali» all’assalto per insediarsi in ottobre nel palazzo Municipale. Niente paura! I «clericali» non hanno mai nascosto ch’essi non tendono al poco lusinghiero mestolo della città di Trento. Chi ha create le miserie, è ben giusto che lavori a cavarsele. I «clericali» invece hanno sempre detto che non si deve fare d’un’elezione amministrativa un’elezione politica; che non si devono rimpiazzare i seggi con uomini scelti in una cerchia ristretta, tanto per appagare grette ambizioni, e poi amministrare coi sorpassi e coi debiti; ma che tutti i cittadini hanno diritto a una rappresentanza proporzionale nel Consiglio, anche per controllarla certi signori, che del controllo hanno sempre avuto un gran ribrezzo. L’Alto Adige era anche lui un tempo fautore della proporzionalità; però quando la vide battere alle porte di Trento, ne provò un sacro orrore e con lui furono presi dal panico anche i suoi omoni che andarono cercando nei musei dei reazionari le armi antiquate contro il nuovo e temuto sistema di elezione. Venne il giorno in cui l’inclito Consiglio mancante di parecchi membri doveva votare la tassa sul valore locativo e allora, di fornte al nuovo peso, contro cui la cittadinanza sollevava energiche proteste, fu accettata a unanimità la proposta del d.r Degasperi presentata già nella discussione del bilancio e che suonava: «Il Consiglio delibera di passare subito dopo l’approvazione del preventivo all’elezione di un comitato di sette membri scelti dal suo seno coll’incarico di preparare un progetto di riforma elettorale coi criteri della rappresentanza proporzionale». Così anche fu fatto e la commissione fu eletta, solo che, invece di sette membri, se ne nominarono cinque, di cui quattro liberali. Ognuno si sarebbe aspettato che dopo avere caricati i cittadini tutti – senza distinzione di elettori e non elettori, popolari, socialisti o liberali – di una tassa odiosissima e dopo avere aumentato le sovrimposte che infine si ripercuotono sul vivere, rendendolo sempre più gravoso e più caro, ognuno si sarebbe aspettato che i democratici allargassero il voto nel Comune e applicassero i nuovi e moderni criteri, della proporzionalità nelle elezioni. Niente affatto! Essi fanno i sorpassi ed i debiti; essi introducono nuovi pesi; ma non offrono alla cittadinanza il modo di pronunziarsi col voto e di amministrarsi da sé. Le elezioni suppletorie si faranno alla fine di settembre o ai primi di ottobre, prima che si convochi la Dieta, e quindi col vecchio, ristretto, retrogrado sistema. Che liberalismo da strapazzo! E che paura devono avere in corpo certi signori, se rifuggono con tanto studio il libero giudizio dei cittadini. Ma se le elezioni si fanno col sistema vecchio, non si risparmiano però le imposte. È un pezzo che noi predichiamo che tutto a Trento, pane, carne, acqua, quartieri, viene messo a duro contributo. Oggi ne abbiamo la conferma anche nell’Alto Adige «Tardi ma sicuri!». Anche l’Alto Adige adesso spiattella che i trentini saranno veramente allietati dalla tassa sul valore locativo. L’Alto Adige sembra andarne in giubilo; tanto ne mette in rilievo l’esito negativo dei ricorsi. Esso aggiunge anzi una bugiuzza, affermando che il nostro direttore lavorò «direttamente e personalmente presso persona influente della Giunta provinciale per l’accoglimento» dei gravami alla stessa presentati. Ma una bugia più, una meno, conta poco per la coscienza franca ed onesta del giornale democratico. L’Alto Adige a quanto pare, vorrebbe dedurre dalla concessione della tassa chissà quali conseguenze a favore dei famosi amministratori del suffragio ristretto e partigiano. Oh, perché allora si evita di udire la voce dei cittadini in elezioni eseguite con criteri che non privino chi deve pagare del diritto di voto e di compartecipazione al Consiglio? Del resto, la figura che hanno fatto i «signori» nella discussione del preventivo e delle tasse sta fissa nella memoria di tutti e non si cancella. Ma – anche lasciando da parte tutto ciò – sa l’Alto Adige dove, a parere di persone un po’ addentro nelle cose, sa dove si deve cercare la ragione intima e profonda della approvazione della nuova tassa? Ricorda l’Alto Adige che la Cassa di risparmio rifece i conti dell’impianto e ne raddoppiò la deficienza, portandola a 112.000 corone? E sa che la Cassa di risparmio non dà più quattrini alla città di Trento se non ha garanzie di nuove entrate? Il Municipio ha un bel dire che la centrale elettrica è passiva per un importo di poco più che 50.000 cor.; la Cassa di risparmio gli rivede le bucce, rinnova il conteggio, intima con suo ukase che la deficienza è del doppio, e il municipio deve piegare la testa e baciar basso, traendone le conseguenze. E poi l’Alto Adige si rallegra che finalmente la Cassa di risparmio ha concesso anche il mutuo per finire le Scuole d’arti e mestieri. E non dice che anche qui siamo di fronte a nuovi sorpassi; non dice che la fiducia della Cassa non è nella sapienza amministrativa dei radicali, ma nelle tasche dei cittadini: non dice che alle volte la concessione di una tassa, per quanto triste ed odiosa, si fa per non mettere tutta una città nell’impiccio di vedersi negare i soldi da un istituto di credito, cosa che riuscirebbe forse più gradita a certuni per avere il comodo pretesto di levarsi dalle peste e circondarsi dell’aureola di martiri. No, no; godete, esultate, tripudiate, ed evitate lo scoglio del fallimento economico, evitate quello del fallimento morale, asserragliandovi entro le trincee dei tre corpi ristretti ristretti, con lista unica e voto a semplice maggioranza. Tanto e tanto, al vostro liberalismo nessuno più ci crede.
0a11cd08-602f-4dfe-91ca-186413bc4021
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Dunque i democratici vogliono un’altra volta le elezioni comunali di Trento con esclusione della democrazia. L’Alto Adige trova ciò «logico e corretto» e, secondo i criteri dell’«oligarchia democratica», ha certo ragione. Ma di fronte a ciò, che, giusta il senso comune, si vuol chiamare logica e correttezza, ha torto marcio. I cosiddetti democratici non negano e non possono negare che il presente sistema elettorale di Trento è un’enorme ingiustizia. Esso mette l’amministrazione comunale in balia di una ristretta minoranza ed esclude dal voto più di due terzi di cittadini. È questo liberalismo? È questa democrazia? La riforma votata anni or sono dal Consiglio comunale non toglie ma, sotto certi riguardi, aggrava sì indegno stato di cose. Essa è ormai antiquata, è monca, è partigiana e ciò le toglie di venire approvata, giacché, se i cosiddetti democratici, approfittano del voto oligarchico vigente a Trento, possono fare quello che vogliono nel Comune, nella questione della riforma hanno voce anche i deputati dietali, e la maggioranza degli stessi dichiarò che non darebbe l’assenso ad una nuova e più stridente ingiustizia . Questa dichiarazione fu data da molto tempo, e in forma assai esplicita e formale fu ripetuta ai 20 novembre 1909 dal presidente del club popolare alla Dieta e ai 29 dicembre dal club convocato in apposita adunanza. Gli oligarchi erano dunque avvertiti. Essi avrebbero avuto tempo di discutere e proporre una riforma equa e moderna. Non lo fecero. Essi avrebbero avuto tempo di presentare alla Dieta tale riforma e averne l’approvazione prima di sottoporre al Consiglio comunale il bilancio del 1909 e prima di votate le nuove imposte. Non lo vollero. I numerosissimi cittadini che pagano – ma non hanno diritto di voto – non dovevano avere la possibilità di decidere sulle spese e sulle imposte comunali. Loro unico diritto è quello di lasciarsi tosare e basta. Sic volo, sic iubeo; stat pro ratione voluntas. E così fu fatto. I cittadini restarono a protestare fuori del Consiglio; e i consiglieri conciarono per le feste i cittadini, anzi, per colmo, d’ironia, il bilancio fu ritenuto ora stretto ora largo, a secondo che si trattava di fare elargizioni e di accettare o respingere imposte come piaceva a loro signori. Almeno si sarebbe potuto aspettarsi che il Consiglio in sì gravi circostanze non fosse monco, Signori, no. Il Consiglio rimase monco, dando luogo a dispute e contestazioni sul numero necessario dei voti per i nuovi aggravi. Più di un consigliere offerse e diede le dimissioni. Ma allora si era costretti a fare nuove elezioni, e gli oligarchi non lo volevano. Le dimissioni furono perciò respinte e si tirò innanzi col carro scricchiolante. Oggi, improvvisamente, le elezioni sembrano diventare una necessità. Elezioni, elezioni! gridano i democratici e l’Alto Adige, s’intende col sistema vecchio. O dove eravate fin’ora? E che facevate? Ma se potevate e avreste dovuto farle tante volte! Ah, la logica! Ah, la correttezza! Ah, la franchezza! E pretendete che il pubblico vi prenda sul serio? Pretendete che vi creda? Credat Iudaeus Apella! L’Alto Adige grida che noi facciamo cattivo nome alla città. Voi non siete la città. Siete un partito oligarchico dai lussi, dai sorpassi, dai debiti, dalle imposte. La città non è con voi. La città protestò e voi volete imporvi a suo marcio dispetto. Voi non osate nemmeno interrogare la città. Sapete troppo bene, come vi risponderebbe. Perciò procrastinaste la riforma, e vedremo se, dopo aver accettato ad unanimità, in un momento assai grave, il principio del suffragio proporzionale, avrete il «coraggio» e la «logica» di applicarlo. Voi ci accusate di sete di dominio. No, ve l’abbiamo già detto: noi vogliamo solo che tutti i cittadini siano rappresentati nel Consiglio. Voi, al contrario, volete il monopolio e lo volete dopo i bei meriti che vi siete acquistati. Se noi fossimo mossi da sete di dominio, non era difficile crearvi sì gravi imbarazzi da balzarvi dal seggio. Non è questo che intendiamo. Dovete restare anche voi ad asciugare le piaghe, ma ridotti alla debita proporzione. Voi vi contorcete e resistete, trincerandovi entro il suffragio ristretto. Eppure non la potrete durare. L’Alto Adige si duole della nostra polemica. La confuti coi fatti. La nostra polemica è tutta sostanziata e forte della loro eloquenza. Essa non è tessuta di sottacimenti, di insinuazioni, di menzogne, come quella veramente indegna, ch’esso muove a ogni tratto contro i deputati popolari che valgono bene i consiglieri democratici di Trento e che a Trento e al Trentino fecero tanto del bene, quanto altri del male. Se non più che il male sia ragione di vanto. Chissà che non vediamo anche questa? Coraggio ci vuole! Infatti l’Alto Adige portò con un’aria che sembrava di trionfo, la notizia dei nuovi pesi che colpiranno la città. Poi cercò di rimediare alla disastrosa impressione. Via, via! Trionfate pure. Vi ripetiamo però che il trionfo non è della vostra saggezza amministrativa; è di chi non vuol dare a Trento quattrini senza nuove, pesanti garanzie e la fiducia è riposta non in voi, ma nelle tasche dei contribuenti. Vuotatele allegramente! Che importa se pane, acqua, carne, abitazioni diventano sì care? Crepi il cittadino e viva la città; un vecchio storico diceva. Cum solitudinem faciunt, pacem appetant. Si può adattare così: fanno la devastazione e la chiamano progresso. Ed è inutile che sì gravi questioni si vogliano torre all’attenzione del pubblico con diversioni personali. Crediamo di sapere molto bene ciò che fece il vostro direttore e con colpi giornalistici di scena non si riesce ad abbagliare il pubblico che è troppo preoccupato del borsellino.
39240200-a4f9-4b42-b127-dc0a4e741d86
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Quello che Barni chiama il «S. Ufficio di Vienna», cioè il supremo tribunale dell’Inquisizione socialista, che fa tutt’uno colla direzione del partito, ha finalmente espressa la sua opinione sul caso di Trento. La quale non poteva essere che una condanna di Giulio Barni, reo di omicidio politico nei confronti del carissimo compagno centrale Augusto Avancini. Questo, chiunque conoscesse un po’ le circostanze, era da aspettarsi, ma quello che, invece, riuscirà a molti una sorpresa è la forma drastica con cui da Vienna è stata lanciata la scomunica. Quattro colonne dell’Arbeiterzeitung: una feroce requisitoria contro Barni e i suoi seguaci. Si capisce che a Vienna le dimissioni hanno seccato enormemente, in primo luogo perché si teme di perdere il collegio, «il mandato di Trento (dice l’Arbeiterzeitung) è una posizione che non sappiamo se potrà esser mantenuta dal nostro partito», poi perché sono un segno, un lacrimevole segno, di quel separatismo, di quello spirito di ribellione ai padroni di là fuori, che fa sudare in questi giorni quattro camicie al d.r Adler e ai suoi accoliti, andati a salvar l’Austria proletaria a Copenhagen . «Il ritiro di un deputato socialista è un avvenimento, il quale fa supporre che nel partito vi siano dei guai gravi». E i guai, l’Arbeiterzeitung li racconta ai suoi lettori, in modo lamentoso, facendo la storia del socialismo trentino, in questi ultimi mesi. È la parte più interessante del lungo articolo, perché ci mostra il retroscena che noi avevamo appena indovinato, ci documenta come i soci si vogliono bene tra loro, e ci dà un’idea della mentalità genuina del partito ortodosso. Sunteggiamo fedelmente. Dopo lo sfratto di Mussolini , venne assunto come segretario della Camera del lavoro e redattore dell’«organo del partito», l’Avvenire del lavoratore, un regnicolo di nome Barni. «Che cosa avesse fatto per il partito il Barni si sapeva ben poco. Questo si poteva ritenere come certo, che egli non aveva la più pallida idea delle condizioni di lotta del proletariato austriaco». Fatto è che l’amico così squalificato, appena appena giunto cominciò subito a voler introdurre nel Trentino il «confusionismo sovvertitore (Wirrwarr)» nelle organizzazioni, che c’è nel regno. E specialmente deve aver avuta una grande ammirazione per il movimento separatista dei cechi, perché se li prese come modelli in tutto. Ben presto si dovette convocare una riunione dei gruppi e delle unioni professionali italiane: benché però in esse fosse stato deciso che la base delle organizzazioni trentine dovevano essere le centrali di Vienna, le cose non andarono meglio. Barni – racconta sempre l’Arbeiterzeitung la quale nota giudiziosamente che tutti gli scismatici sono filati di una rocca e si assomigliano – cominciò col dire che era ridicolo prendere tale decisione, tanto era evidente che dovesse essere così; poi «il valoroso» (der Wackere) aprì una campagna giornalistica contro le centrali; nello stesso tempo riuscì «chissà con quali illusioni» a conquistarsi la maggioranza nella Camera del Lavoro. Allora uscì in campo aperto a combattere contro Vienna nelle adunanze, «calcolò» (le virgolette sono dell’Arbeiterzeitung) che i socialisti trentini mandano annualmente a Vienna 40.000 corone (e ciò dimostra la mancanza di scrupoli in quest’uomo, nota l’organo viennese, perché gli organizzati sono appena un migliaio) raccontando agli operai delle «fandonie» per descrivere le grandi cose che essi avrebbero potuto fare da sé con quei capitali. L’agitazione del Barni fece buoni frutti, «gli operai trentini sono purtroppo inclinati a vedere nelle organizzazioni centrali una copia dello stato austriaco», e insomma si venne a rottura completa. L’esecutivo del partito, forse per mandato dei padroni viennesi, questo non è detto, chiamò all’ordine il Barni. Ma sì, costui non si lascia imporre; raccoglie i suoi fidi e fa rivoluzione dichiarata. Si viene ai ferri corti. Uomini da molti anni benemeriti e meritevoli di tutta la fiducia «vengono ingiuriati e circondati di sospetti» collo scopo evidente di render vana la loro azione nel partito; finalmente Barni, che finora si era «limitato» (virgolette dell’Arbeiterzeitung) a fare delle osservazioni maligne sul parlamentarismo «cominciò a svolgere una agitazione anarchica-nazionalistica-separatista abbastanza manifesta». Questo sistema di lotta fu coronato da affermazioni indegne, quasi l’Avancini fosse socialista soltanto per le diete. Il giornale del S. Ufficio trova, nella sua ingenuità, notevole che, in questi frangenti, parecchie organizzazioni tagliassero i viveri all’Avvenire del lavoratore. A questo fatto «semplicemente logico», Barni rispose con una campagna sobillatoria ancor più sfacciatamente «nazionalistica-separatistica-anarchica» e riuscì a presentare Avancini come il colpevole. Conclusione: grave conflitto fra i due esecutivi e capitombolazione dell’Avancini «il quale vide di non aver più dietro a sé la maggioranza degli operai trentini» e volle così «poter meglio imprendere la lotta contro l’opera deleteria che fa il Barni nelle organizzazioni». Ecco, conchiude mestamente la sua lunga tirata l’Arbeiterzeitung, ecco dove conduce il separatismo nazionale, alla rovina, all’anarchia! Piangete ed ascoltate. Appena la classe operaia si lascia sedurre da frasi nazionalistiche ad abbandonare quella base granitica che è la lotta di classe, è finita. Frasi, frasi e frasi; trionfano gli eroi della parola, i ciarlatani, si abbandonano le acque chiare del riformismo, ci si lancia nelle onde procellose dell’anarchismo, e fuori dell’arca di Noè (cioè le centrali viennesi) si annega miseramente. Meditino e imparino i compagni tutti! Così, non senza il fervorino di chiusa, sono piombate sulla caparbia testa del Barni, tutte le maledizioni di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, da parte degli ebrei che reggono e dominano il cosiddetto partito socialista austriaco. Col grande tono delle grandi occasioni, il loro giornale ufficiale, scaglia contro il segretario della Camera del Lavoro di Trento le più atroci accuse, accuse tali che se noi ne avessimo detta la decima parte, ci saremmo tirati addosso «un concentrato del vocabolario delle ingiurie» come diceva uno. E si noti che l’Arbeiterzeitung esce a Vienna, è stampata in tedesco e viene letta in tutti i dicasteri. Che quei cari compagni siano delle spie? Il Popolo, che li conosce meglio di noi, ce lo potrà dire. Intanto ci sembra di vedere Barni che colla prosa di un Giordano Bruno, stile secolo ventesimo, legge sogghignando il decreto di condanna della Inquisizione socialista. Egli può rispondere il suo superbo: non obbedisco! Le truppe gli sono fedeli. Il giornale che i centralisti hanno fondato contro l’Avvenire, quando a questo furono tagliate le vettovaglie, L’operaio edile (che si stampa a Innsbruck!) viene boicottato dagli organizzati. E che odore di polvere c’è in aria! «Da noi non fan certo farina i nemici del nostro giornale – scrivono dal Vorarlberg – poiché tutti i muratori e manovali qui residenti decisero di respingere il nuovo giornale L’operaio edile, che ha già col primo numero incominciato a regalarci dei titoli poco lusinghieri». E da un’altra parte: «Abbiamo ricevuto il primo numero dell’Operaio edile, organo professionale dei muratori ed affini; non c’è male! Esso fra le altre si annunzia quale palestra di educazione e non per la critica e pel confusionismo ecc. Ma pare invece che il primo numero non sia stato immune da certi epiteti scagliati qua e là contro certi compagni che non la pensano come lui. E questo è un male, perché non può che suscitar polemiche e il tacerle tutte sarebbe una viltà e una viltà è quella di tacere quando si offre un compagno o più compagni, dando loro dei mestieranti, saltimbanchi, mestatori, teste matte ecc. ecc. Cari miei, cominciate male a far così, i saltimbanchi sono venuti perché li abbiamo chiamati, se no, restavano dov’erano; ed ora ci troviamo tutt’altro che confusi e se agli altri fanno schifo, noi non abbiamo colpa e procureremo anzi di asciugare le lagrime versate sin d’ora». Barni commenta colla sua espressiva eleganza di dizione: «Il saltimbanco consiglia i compagni di Bregenz di non prendersela calda; gli uomini affogano nel proprio sterco o nelle proprie virtù e il tempo è galantuomo». La musica, come si vede, è abbastanza intonata e... divertente. Ma v’ha di più. Non soltanto si boicotta il giornale ma addirittura si sta già fondando una federazione professionale indipendente, che forse occuperà gli ozi del prossimo congresso internazionale che si tenga in qualche altra Danimarca. Si fanno conferenze, si votano ordini del giorno, si eleggono comitati. A Kennelbach «come a Bregenz un comitato provvisorio di quattro persone che, secondo il redattore dell’Operaio edile, saran altre quattro teste matte per il solo motivo che hanno pensato di fare come vogliono loro. Intanto in ogni centro si costituiranno i comitati provvisori e non passerà molto tempo che si convocherà un Comitato Regionale che deciderà delle sorti del Vorarlberg. Tutto questo faranno le teste matte; arrivederci al prossimo incontro, onorevoli “teste sane”; per ora vi auguriamo un buon mordervi le unghie». E noi stiamo alla finestra a guardare.
3f0f2b53-6264-4b68-bc83-dcb7037fdf7a
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Come è di prammatica i giornali tedeschi scrivono i loro articoli di commento dopo il congresso . La Reichspost di Vienna chiude il suo «Rückblick», augurando che il convegno di Innsbruck segni ai partiti cattolici tirolesi la via «verso quella pace che da tutti è desiderata, da anni desiderata ma finora giammai raggiunta». La lotta che si combatte fra conservatoti e cristiano-sociali è come una di quelle liti, nelle quali le spese sono dieci volte maggiori del valore dell’oggetto contestato. Questi accenni nella stampa, che vengono dopo i molti e più espliciti degli oratori del congresso, si comprendono meglio quando si sappia che corrono già da giorni trattative per la pacificazione. Noi non ci siamo mai immischiati nelle questioni interne dei cattolici tirolesi, ma non ci sembra illecito il constatare che la pertinace divisione delle forze buone ha avuto un esito disastroso, e ormai si è giunti a tal punto che una soluzione qualunque del problema si impone. Così almeno la pensano persone che per la loro posizione e per l’imparzialità in cui si mantengono di fronte agli uni e agli altri sono in grado di giudicare, con sguardo sereno, delle cose. Domenica al cardinal Katschthaler e ai principi vescovi della provincia fu consegnato a Innsbruck un memoriale firmato da oltre 4000 operai cattolici, nel quale sono esposte le spiacevoli conseguenze, che derivano all’azione sociale dalla lotta. Gli avversari, specialmente i socialisti, hanno buon gioco e nelle adunanze pubbliche, nei contraddittori, nei discorsi essi trovano materiale sufficiente per mettere in ridicolo gli operai cristiani, per gettare il discredito su tutta l’azione cattolica, per tartassare i deputati e per combattere la religione nelle stesse colonne dei giornali cattolici tirolesi. Gli operai hanno forti parole contro queste logomachie infruttuose e chiedono energicamente che si ponga un termine al bizantinismo che per loro è dannosissimo, pregando i vescovi a intervenire. Il documento è caratteristico e dimostra una volta di più a chi non ne fosse ancora persuaso che i cattolici – mentre la battaglia del socialismo e dell’irreligione è accanita su tutti i fronti – non possono prendersi il lusso di piantare beghe domestiche per questioni secondarie di metodo e di tendenza, meno ancora per ambizioni o ripicchi personali. Dimostra anche che il popolo, che è a contatto quotidiano colle necessità della vita ed ha il buon senso di distinguere tra quello che è sostanziale e che veramente gli necessita e quello che è accidentale o peggio individualistico, il popolo non intende di seguire gli intellettuali che amano perdere il loro tempo, vuole azione e non parole, e protesta contro coloro che gli rovinano quella e gli danno soltanto queste. Vedremo l’effetto. Sarebbe curioso che questi tedeschi, che hanno predicato a Innsbruck per tre giorni, la necessità della concordia e dell’unione di tutte le nazioni della Monarchia in nome del cattolicismo, non fossero poi capaci di intendersi nemmeno in famiglia mentre la casa brucia. Un altro frutto di questo amore cristiano per tutte le nazioni noi ci attendiamo da parte dei cattolici tirolesi, che hanno sentito e fatto in argomento dei così bei discorsi. V’è nel Tirolo una società, della quale gli ideali e l’azione (almeno come viene attualmente esplicata) hanno un carattere essenzialmente anticristiano. È il Volksbund. Esso viene in paesi nostri, in paesi prettamente italiani a portare la discordia, a eccitare le passioni, a tentare la conquista nazionale. Orbene, oltre che il seminare odio e dissensioni è opera del maligno, il concetto stesso di conquista nazionale come lo propugnano Rohmeder, Meyer e compagni, è un concetto pagano, perché calpestando la giustizia, la libertà, il diritto, si vuole in nome di una pretesa divinità nuova, la nazione, imporsi in paesi altrui. Il nazionalismo in questo senso, è altamente condannabile, e non potrà mai essere accettato o approvato da un cattolico, tanto più che implica errori dottrinali molteplici, che sono già stati riprovati dalla Chiesa. Lasciamo poi stare che il Volksbund, di regola, nei paesi nostri diviene un pioniere del protestantesimo; i gravissimi pericoli che da questo punto di vista sono stati da noi più volte segnalati, rimangono, per quanto certi tirolesi si affannino a smentirci, e nessuna persona equanime ci vedrà chiaro nel cattolicismo del Volksbund fino che esso mantiene nella sua presidenza dei protestanti germanici e coltiva relazioni amichevoli con società «Los von Rom» come la Südmark e altre. Ognuno sa del resto che i medesimi agitatori ultranazionalisti e pangermanisti sono lo spiritus movens di tutte queste società. Ora noi chiediamo se gli italiani avessero portato al Congresso generale austriaco la questione del Volksbund, una questione che innegabilmente merita di essere giudicata nell’interesse del cattolicismo e della pace tra le nazioni, che cosa avrebbero potuto rispondere i tirolesi alle nostre documentazioni? Probabilmente delle gratuite negative per giustificare la loro condotta, fin qui tenuta, la quale è dettata dal nazionalismo a tutto danno del cattolicismo. Ma se a Innsbruck del Volksbund non è stato parlato, non per questo noi meno ci aspettiamo che i cattolici tirolesi riconoscano finalmente di avere preso una posizione sbagliata e ne tirino le opportune conseguenze. Dei sintomi consolanti meritano di essere notati a titolo di onore. Sappiamo precisamente che parecchi sacerdoti, e quasi tutti dei giovani, hanno parlato in adunanze del Volksbund dicendo chiaramente il loro pensiero e ottenendo anche dei buoni risultati. Gli agitatori non possono più girare sicuri per i paesi del Tirolo, a spacciare le loro chiacchiere senza timore di controllo e di opposizione. Anche di recente un gruppo della Lega tirolese non fu potuto formare in un villaggio vicino al confine linguistico perché il curato dissuase i contadini. Che questi saggi trovino molti imitatori! Se il congresso di Innsbruck non bada essere stato una parata, se esso deve portare – come dicono i giornali di là fuori – i suoi frutti specialmente nella provincia ove fu tenuto, dia esso lume ai tirolesi per comprendere che soltanto facendo pace tra loro, rispettando gli altri, mettendo in pratica tutti i principii del cristianesimo, renderanno proficua la loro azione, e avranno diritto di far appello alla solidarietà cattolica delle nazioni. Colle belle parole si fanno i congressi, ma colle rette azioni si vive la vita!
47eddd38-ebe8-4650-b697-9eaf46dde430
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Lo constatiamo con gioia; il XIII congresso dei nostri studenti riuscì splendidamente. Alla vigilia della giornata solenne ci ritrovammo ancora una volta uniti coi fratelli, che da tanto tempo non vedevamo, conoscemmo le nuove reclute, le promettenti energie che sanno la bellezza dei nostri ideali e la sincerità delle nostre intenzioni. Straordinaria la partecipazione degli studenti universitari trentini, sì che il numero dei soci attivi dell’associazione rasentava l’ottantina; magnifico e pieno d’entusiasmo e di luce il ricevimento degli ospiti che venivano a Trento da Verona, Milano, Bergamo, Firenze e degno di alto rilievo il fatto che sì gran parte di cittadini fece al congresso atto di assenso e cortesia. Quando il lungo corteo con centinaia di fiaccole e lumi, le bande ed i vessilli si riversò in piazza della Posta e la riempì tutta ed il vescovo comparve sulla loggia circondato dagli ospiti e gli studenti, un grande applauso scoppiò in tutta la folla e si prolungò insistente, mentre la banda sociale intonava l’inno della nostra giovane e fiorente democrazia cristiana. Erano i rappresentanti della vita pubblica cattolica, i giovani che preparano nella loro coscienza un avvenire migliore al paese, i quali inauguravano il congresso con un atto d’ossequio e di devozione all’apostolo e martire della nostra fede romana. Il corteo sostò anche dinanzi al Municipio, le bande intonarono l’inno a Trento, le bandiere s’inchinarono e gli studenti fecero atto d’omaggio al podestà. Notate bene: alcuni ospiti chiesero quali principi dominassero nel consesso cittadino. Si rispose quali, e in che modo il partito imperante trattasse i cattolici. Ma, soggiunsero i giovani, noi oggi vogliamo dimostrare che nessun atto di settarietà contro i nostri consenzienti, poteva spegnere o sminuire l’amore invincibile contro al nostro paese di cui Trento rimane pure, nella sua parte viva e operante, il centro morale. Chi ha udite le parole dell’egregio podestà ed ha assistito agli applausi, si sarà chiesto perché mai questo senso di appartenenza a questa terra e l’entusiasmo per la solidarietà nazionale e per la cooperazione ai progressi del popolo debbano ricomparire sempre nella nostra vita pubblica come fuochi fatui, per spegnersi poi soffocati dall’odio di chi nega ai cattolici – maggioranza del paese – l’eguaglianza del diritto cittadino. Ma andiamo, via; dimenticavamo quasi che eravamo in marcia: la sosta municipale è un episodio, né le tristi considerazioni che esso evoca al nostro pensiero arresteranno il nostro cammino. L’elegante ed ampio salone di via lunga, opera dell’architetto Paor , illuminato da centinaia e centinaia di candele elettriche, accolse poi i congressisti, i quali ebbero parole di ammirazione per la superba sala. Ne rimettiamo la descrizione al giorno inaugurale, quando la nuova sede di alcune istituzioni cattoliche sarà, per merito del Comitato Diocesano, opera compiuta. La medesima sala fu anche sede degna dell’adunanza della parte, diremo, produttiva del congresso. Poche volte nel nostro paese si manifestò presso i giovani un così intenso ed ordinato desiderio di esaminare i problemi dello spirito e dell’ambiente sociale per stabilire in maniera indubbia la propria posizione entro la corrente della vita moderna. Chi leggerà gli atti del Congresso e vi studierà i discorsi e seguirà la discussione, appartenga pure alla tendenza più avversa, dovrà ammettere che la nostra gioventù universitaria non indulge solamente ai facili entusiasmi dell’età, ma addestra lo spirito alla penetrazione dei più gravi problemi che si impongono alla nuova generazione trentina. Ed è questo il nostro orgoglio, è questa la nostra speranza.
d40ebb87-33e9-4929-8ae2-2490354f2d37
1,910
3Habsburg years
11906-1910
[...] La notizia portataci dal telegrafo è di una straordinaria importanza. È noto che la questione boema fu ed è ancor sempre quella che mina non solo l’attività della Dieta boema, ma anche l’attività e l’esistenza del Parlamento. Se non vi fosse stato l’aiuto dei cechi che in parte sostennero apertamente l’ostruzione slovena, in parte la favorirono di sottomano, gli sloveni, colle solo loro forze, non avrebbero potuto di gran lunga ostruire la Camera, impedire la votazione della Facoltà giuridica italiana e arrestare il funzionamento del supremo corpo legislativo con danni gravissimi per tutte le provincie e per tutti i popoli dell’Impero. Anche il prestigio del Parlamento andava con ciò diminuendo, mentre cresceva la forza del potere esecutivo che, non presentando nuove elezioni o prospettiva di miglioramento, avrebbe finito per governare da solo senza la cooperazione e controllo dei fattori costituzionali. I danni economici, che da questo stato di cose derivavano a tutta la Monarchia, si fecero sentire soprattutto in Boemia. Ivi, quest’anno il bilancio provinciale presentò un deficit di più che ventitrè milioni. Si dovettero sospendere lavori pubblici, stipendi, ecc., e siccome la Dieta non fu nemmeno in caso di rinnovare l’imposta sulla birra, minacciavano di mancare perfino i soldi per pagare i maestri, giacché gli esercenti continuarono bensì a far pagare la birra al prezzo solito, ma la quota corrispondente alla tassa provinciale di 4 corone l’ettolitro, anziché affluire nella cassa pubblica, in mancanza della rinnovazione della legge, restava nelle tasche degli esercenti stessi. D’altra parte, come i cechi ostruiscono il Parlamento, così i tedeschi non volevano desistere dall’ostruire la Dieta di Praga e come i primi non volevano trattare le leggi per la pacificazione nazionale e la distrettuazione della Boemia nella Camera di Vienna, così i tedeschi non volevano trattare nella Dieta di Praga, ove sono in minoranza. Oltre a ciò i cechi dichiararono che il relativo progetto non poteva nemmeno formare base della discussione, equivalendo a una scissione, a uno smembramento del regno di San Venceslao. Inutile sperare nella riattivazione della Camera, finché agli sloveni non fosse sottratto l’appoggio dei cechi e non fosse spianato il conflitto ceco-tedesco. Eppure che la Camera funzioni importa sommamente, giacché un regime, sia pure larvatamente assolutista, impone a lungo andare anche troppe responsabilità, crea troppe difficoltà e non può sostenersi. Gli sforzi della politica delle ferie furono perciò rivolti ad appianare la questione boema. Le speranze di riuscita erano alimentate dalle condizioni disperate delle finanze in Boemia, dai profondi malcontenti e dissidi serpeggianti fra i cechi per l’infruttuosità dell’ostruzione e in generale della politica da loro seguita dopo la caduta del bar. Beck, e dal desiderio dei cechi stessi di ritornare a far parte del Governo e della maggioranza. Sfiducia generava invece l’asprezza della lotta, il suo inveteramento e tanti sforzi di vincerla e di eliminarla andati a vuoto. Altissimi personaggi si adoprarono tuttavia per un nuovo tentativo di conciliazione. Anzitutto si cercò un contatto col grande possesso conservativo e costituzionale, autonomista e favorevole ai cechi il primo, centralista e favorevole ai tedeschi il secondo. Questi due gruppi, di cui specialmente il primo ha uno straordinario influsso sui destini della Boemia e sulla dieta di Praga, vennero in agosto a conferenze e raggiunsero un accordo, il cui contenuto rimase però segreto. Lo stesso accordo – a quanto pare – viene ora accettato anche dagli altri partiti. I cechi cedono, ammettendo alla discussione i progetti di legge per la creazione di nuovi distretti in Boemia; i tedeschi acconsentono che i progetti vengano discussi a Praga e la Dieta può funzionare. È un successo straordinario ottenuto dal grande possesso che assurge in tal modo ad arbitro della situazione a Praga, e indirettamente anche a Vienna, ove i suoi membri siedono in Parlamento, benché non nella Camera dei deputati, ma in quella dei Signori. Se il primo passo sarà seguito dagli altri, non solo il Parlamento funzionerà regolarmente e si avrà un rimpasto del Governo e un allargamento della maggioranza, ma la politica austriaca entrerà in un nuovo e più felice stadio dopo tanti anni di aberrazioni, alle quali non poté rimediare che in parte l’introduzione del suffragio universale.
aafbf1a7-3658-4d0d-8579-18259b1b4538
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Tra le risoluzioni riguardanti la stampa che il D.r Funder, direttore della Reichspost, presentò e motivò egregiamente al congresso cattolico di Innsbruck, ricorderanno i lettori che ve n’era una la quale eccitava a studiare il problema di un’agenzia telegrafica internazionale per il servizio dei nostri giornali. Che la proposta giungesse a buon punto e che essa fosse ormai necessaria nessuno lo può negare. Infatti la crescente influenza o meglio il predominio del filo elettrico nell’attuale giornalismo ha aumentato sinora in modo inaudito l’importanza delle agenzie telegrafiche per la stampa e l’influenza delle medesime sulla stampa stessa. Ma in quella misura che questa importanza andò crescendo, la stampa cattolica dovette amaramente risentirsi, che le odierne aziende si trovino in mani o direttamente ed apertamente ostili alla Chiesa cattolica, la sua gerarchia ed i suoi interessi. L’agenzia internazionale tedesca Wolff si trova finanziariamente in mani ebree ed è influenzata dal Governo germanico, in parte anche dall’ungherese. L’agenzia francese Havas è affatto indipendente dal Governo francese e sostenuta dai denari di pronunziati nemici del nome cattolico. Sono in generale in balia degli Ebrei l’agenzia inglese Reutter e l’agenzia Dalziel, che procura principalmente le notizie dell’America e dell’Estremo Oriente. La Stefani è uno strumento del Governo italiano e l’agenzia Herold del Governo russo. Esistono poi delle convenzioni fra codeste agenzie, cosicché la Wolff assume per i propri abbonati il servizio delle notizie spagnuole e portoghesi dalla Havas, e l’agenzia Herold le notizie francesi della Havas, ecc. L’opinione pubblica che tutte e singole le attuali agenzie si trovino in mano della massoneria internazionale e degli Ebrei, sarà formalmente alquanto esagerata, ma materialmente e in ultima analisi è affatto giusta. Cosa significhi questo stato di cose per la stampa cattolica e in pari tempo per la Chiesa e per l’intero mondo cattolico, non può farsene un’idea adeguata, se non chi possiede lunga pratica ed esperienza del giornalismo. Il meno si è ancora, che tutto quanto è cattolico, che ridonda cioè a favore e vantaggio del cattolicismo, viene per quanto possibile passato sotto silenzio. Peggiore assai è la malignità con cui si redigono le notizie, ogni qualvolta vi sono coinvolti interessi cattolici. Prendiamo per esempio i telegrammi intorno alle discussioni parlamentari. Gli oratori anticattolici si fanno risaltare, i discorsi dei deputati cattolici si accennano il più brevemente possibile. Eccovi un dispaccio della Havas riguardo alla Camera francese: «Il presidente dei ministri constatò tra gli applausi generali l’esistenza di mene clericali-antipatriottiche. Il deputato X (catt.) cercò di mettere in dubbio la cosa». Questa versione fa il giro della stampa mondiale. Il pubblico riporta l’impressione che il presidente abbia davvero le prove dell’esistenza di tali mene, che il deputato X invece non abbia fatto altro che negare. La verità si è all’incontro che il presidente cercò di dare le prove e che il deputato cattolico portò le prove del contrario. Oppure si legge in merito alla Camera spagnuola: «Il conte Romanones fece dettagliate rilevazioni circa i soprusi di una quantità di vescovi spagnoli. Il deputato Dominguez si studiò di attenuarle». Anche questa versione passa nei giornali di tutti i paesi. L’impressione è di nuovo che i vescovi spagnuoli abbiano commesso dei soprusi e che Dominguez abbia indarno procurato di ribattere l’accusa. In realtà i soprusi non erano che fantasie del conte Romanones, fantasie che il deputato ha completamente distrutte. Se si tratta di trasmettere posteriori giudizi della stampa sopra discussioni politiche ecclesiastiche in un Parlamento si può andare sicuri che le agenzie citano bensì le osservazioni tendenziose dei fogli anticlericali, ma di rado quelle dei giornali cattolici ed anche allora possibilmente mutilate. Né meno parziali sono le notizie delle agenzie, quando in uno Stato scoppia un conflitto fra l’autorità ecclesiastica e il potere civile. Ne avemmo un esempio classico nel conflitto fra la Santa Sede e il Governo francese per l’espulsione degli ordini religiosi e per le leggi di separazione, ed ora nella vertenza con la Spagna. Con poche frasi si mettono gli atti del governo nella luce più favorevole, anche quando l’ingiustizia è patente, quelli della Chiesa invece si dipingono come pretese esagerate, effetti d’intolleranza ecc. È vero che apparentemente non si fanno apprezzamenti personali sugli atti in questione, ma i dispacci sono redatti in modo che non torna difficile comprendere da qual parte stiano le simpatie dell’agenzia. L’abile redazione di dispacci – lo disse già Bismarck – è un’arma fra le mani delle moderne agenzie, essa è ormai diventata un’arte diabolica colla quale si finge di riferire nient’altro che i fatti in modo puramente oggettivo ma in realtà si fa troppo sovente ed in cose essenziali il contrario. L’accennato tendenzioso sistema si riscontra del pari in caso di eventuali conflitti fra qualche dignitario ecclesiastico e qualche uomo di Stato anticattolico. Basti accennare alla legione di telegrammi della vertenza Montagnini- Clemenceau, poi quali oltre a mons. Montagnini si tentò di compromettere S.E. il Cardinale Segretario di Stato e persino il Santo Padre. Le stesse arie subdole vengono adottate quando si tratta di comunicare dei provvedimenti della Santa Sede. Una specialità delle agenzie è ormai poi la divulgazione di scandali clericali e la relazione di processi sensazionali compromettenti i cattolici. Né meno maligno è il contegno delle agenzie di fronte ai Governi cattolici. Il loro contegno diventa nella pluralità dei casi una campagna ora latente ora aperta a favore di partiti opposti al Governo cattolico e una continua suggestione dell’opinione pubblica in Europa contro il governo. Per tal modo si lavora da tanti anni contro il Governo belga, così pochi mesi fa contro il Ministero Maura in Ispagna. Trattandosi di elezioni parlamentari, le agenzie si mettono sempre al servizio dei partiti anticattolici e agiscono in questo senso sull’opinione pubblica. Questo metodo perverso non risparmia nemmanco i sovrani cattolici e le loro corti. Qui si ama specialmente il sistema di telegrafare in certi casi le asserzioni di quei giornali, che sono soprattutto sfavorevoli. Si potrebbe inoltre dir molto sui rapporti fra le agenzie telegrafiche, la borsa e le moderne grandi imprese per azioni, ma ciò non fa al caso nostro. Giova invece accennare, che sembra bene spesso, che la fonte di certi dispacci da Parigi sia il «Matin», di certi dispacci da Vienna la «Neue Freie Presse», fenomeno questo che dice e spiega tante e tante cose. Ultimamente si è ancora manifestata con la più terribile evidenza l’influenza funesta delle attuali agenzie nel caso Franco Ferrer. Simile a violenta marcia si riversò in questa circostanza nella stampa mondiale una falange delle più tendenziose notizie telegrafiche, per mezzo delle quali l’opinione pubblica in vari paesi fu irritata al delirio e scatenata una vera rabbia satanica contro Chiesa, clero e cattolici. Giammai la massoneria e l’odio antireligioso si sono serviti in modo più ardito e più spudorato delle agenzie telegrafiche. Osservando il contegno delle odierne agenzie di fronte al cattolicismo si riscontra almeno la mira incessante di seppellire, di eliminarlo dalla vita pubblica e di discreditarlo. Ed in verità bisogna purtroppo convenire, che questo sodo lavorio ha conseguito i suoi effetti ed altri ne conseguirà ancora, tanto maggiore quanto più l’intiera evoluzione della società accrescerà l’influenza e l’importanza delle agenzie. È straordinariamente sintomatico che anche governi non cattolici cominciano ormai a sentire il peso di questa eccessiva influenza. Il gran male si è che queste agenzie non solo dominano oggidì quasi il totale servizio di notizie della stampa anticattolica ed indipendente, ma che persino i giornali cattolici ne abbisognano e semplicemente non possono farne a meno, cosicché la maggior parte dei grandi e medi fogli cattolici vedrebbero minacciata la loro esistenza, se si precludessero le agenzie. Certamente che i fogli cattolici modificheranno i telegrammi tendenziosi ove li trovino sospetti. Ma con ciò si rimedia ben poco. I dispacci non sono poi così maligni come nell’originale, ma non sono quello che dovrebbero essere, vale a dire la veritiera smentita degli altri, che compaiono immutati nella stampa avversaria. E finché si è in grado di dare una smentita in base a notizie dirette od a giornali cattolici arrivati dai rispettivi paesi trascorrono vari giorni, troppo tardi per correggere le prime impressioni che han già confuso gli animi. È innegabile che il mondo cattolico fa oggi grandissimi sforzi per il suo giornalismo, ma fintanto che questo è obbligato a dipendere dalle attuali agenzie telegrafiche e si trova in tal modo tributario dei nemici del cattolicismo, con un tributo annuo di quasi un milione, il nostro lavoro sarà più che per metà frustrato. Il nemico possiede in mezzo allo stesso nostro giornalismo una rocca fortissima, che noi gli abbiamo costrutta col nostro denaro e continuamente gli manteniamo. Se egli non domina nella stampa cattolica colla penna, vi domina però per mezzo del filo elettrico, il quale al giorno d’oggi è perlomeno importante quanto la penna. Il mondo cattolico ha dato alla sua stampa la penna. L’ora presente domanda imperiosamente che le si dia il filo elettrico! non meno indispensabile requisito, il filo elettrico!
16819472-8863-445b-831a-efed03fee83b
1,910
3Habsburg years
11906-1910
[...] Il d.r Degasperi, dimostrata brevemente la necessità che il giovane si prepari e si educhi alla vita pubblica, studiava nella sua relazione i diversi atteggiamenti della vita pubblica nostra di fronte 1) al problema della libertà individuale, e civile 2) al nazionalismo e 3) all’organizzazione economica del paese. Nella prima parte veniva illustrando in concreto l’influsso del principio liberale nel Trentino e i due indirizzi dei cattolici nella vita pubblica a seconda che indulgevano a un individualismo che in pratica favoriva la laicizzazione della politica o ricavavano invece dal vangelo i principi sociali che la devono ispirare. Implicitamente venivano qui toccate anche le ragioni del cattolicismo sociale. Nella seconda parte veniva sottoposto ad un esame critico il nazionalismo delle varie tendenze e se ne stabilivano le scaturigini storiche e filosofiche. Il relatore coglieva qui l’occasione per dimostrare che il vero nazionalismo dev’essere in armonia coi principi cattolici e, se vuol riuscire efficace, tener conto del nesso in cui si trova col problema economico. L’ultima parte della relazione notava quali applicazioni od effetti dei vari principi d’economia politica si trovano nel nostro paese e raccomandava ai giovani di non ritirarsi in un estetismo od intellettualismo vacuo ed infecondo; ma di studiare l’economia sociale e l’economia politica per poter contribuire al risorgimento economico del paese. Potente mezzo di educazione sociale è anche il contatto degli studenti coi produttori (industriali o contadini) e cogli operai. Ed ecco le risoluzioni: «1. Premesso che la gioventù studiosa deve prepararsi alla vita pubblica per sapere in essa adempiere i suoi doveri civici e politici ed esercitare degnamente le proprie funzioni sociali, il congresso raccomanda ai giovani di studiare le teorie e lo sviluppo dei principi che dominano attualmente la nostra vita pubblica, raffrontandoli coi principi e colle tendenze di carattere sociale che la Chiesa deriva dall’Evangelo. 2. Il Congresso eccita i giovani a promuovere l’educazione nazionale del popolo trentino, avvertendo di non perdere di vista in quest’opera il nesso organico che vincola il nazionalismo al cattolicismo né i contatti che esistono nella realtà della vita tra la questione nazionale e la questione economica. 3. Nella convinzione che una maggiore coltura politico-economica delle classi dirigenti è premessa indispensabile perché nel paese fioriscano e si sviluppino le opere della solidarietà sociale e sorgano iniziative industriali, il congresso raccomanda ai giovani di rivolgere il proprio studio ai problemi economici e di mantenere contatto colle classi che s’occupano direttamente della produzione».
7b720069-99a6-4e57-9f08-d7f15e893676
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Il comitato locale del partito popolare, eletto dai fiduciari nell’assemblea di martedì, ha deciso di partecipare alla lotta per le prossime elezioni suppletorie del comune . Nella seguente settimana verranno convocati gli elettori per la proclamazione dei candidati. Diciamolo francamente: la decisione non venne presa a cuor leggero. Molte sarebbero state le ragioni che avrebbero consigliata l’astensione. Soprattutto l’attuale suffragio che esclude la nostra massa elettorale politica dal voto per il comune ed appare architettato col fine di assicurare all’oligarchia un incontrollato dominio. Ai 3 ottobre infatti si voterà a Trento secondo una legge del 1888 come se nel quarto di secolo che venne poi il diritto elettorale non avesse avuto ulteriore sviluppo. La maggioranza dei cittadini sui quali vennero ultimamente riversate nuove e gravosissime tasse non può esprimere coll’efficacia del voto il proprio giudizio intorno all’attuale amministrazione. Moltissimi che ricorrono, per forza del monopolio, ai servizi municipalizzati devono accontentarsi di pagare senza poter influire affatto sui metodi ed i criteri invalsi nelle industrie pubbliche. Il sistema elettorale è peggiorato ancora dal voto femminile per procura . Sono noti gli infingimenti e le trappolerie alle quali ricorrono incettatori impudenti che strappano colla menzogna o con pressioni illecite i voti femminili i quali poi escono dalle urne ribattezzati in «espressioni coscienti della volontà popolare» . Di più, nel caso nostro, le liste elettorali che stabiliscono definitivamente e nominativamente il diritto di voto sono imperfettissime ed invecchiate, sì che invitano alle urne perfino persone le quali, beate loro, hanno lasciato da un pezzo questo triste mondaccio senza aver la consolazione di pagare la tassa sul valore locativo . Il comitato ha dovuto considerare queste circostanze ed altre ancora per concludere che il terreno sul quale si ingaggerebbe la lotta sarebbe oltremodo sfavorevole. Ma, indipendentemente dall’esito finale, altre considerazioni parvero consigliare l’intervento. L’attuale maggioranza ha approvato recentemente, malgrado tutte le proteste e gli argomenti indiscutibili della minoranza, una serie di tasse, le quali, per la loro entità e per la loro misura, gravano terribilmente sui cittadini. Le obiezioni della minoranza, la quale s’era sottoposta al non lieve incarico di rifare completamente il bilancio col criterio di evitare almeno la tassa sul locativo, vennero sepolte semplicemente sotto la preponderanza del numero. Eppure le ragioni della minoranza erano tanto sicure che non solo furono accolte nella loro parte essenziale dal revisore giuntale, ma costituiscono anche oggidì presso il ministero delle finanze quel complesso di preoccupazioni che ritarda la sanzione, chiesta dalla giunta municipale. Ora è parso al comitato opportuno che si approfittasse delle prossime elezioni per protestare contro la linea di condotta assunta e mantenuta dalla maggioranza. In municipio si è poi votata una risoluzione in favore di una riforma elettorale in base alla rappresentanza proporzionale. Ma il partito dominante non ha la seria volontà di fare davvero una riforma equa. Anzitutto si tenta di mettere in nesso la riforma comunale con quella della Dieta, quasi che in questa, anziché goder privilegi, i liberali patissero quel trattamento ingiusto che soffre la minoranza popolare da parte del comune. Si tenta poi, auspice la pseudodemocrazia del Popolo, di attuare una riforma la quale di proporzionale non abbia che il nome e non tolga le attuali ingiustizie. Orbene il nostro intervento deve riaffermare energicamente il diritto pieno ed indiscutibile delle minoranze ad un’equa rappresentanza e deve ripetere a chi tiene il potere che non cederemo dal propugnare questo postulato fino a tanto che non sarà piena la conquista del nostro diritto. Infine i cittadini hanno potuto constatare coll’esperienza degli ultimi mesi quale valore di critica e di controllo possa assumere una minoranza anche esigua e come tale valore aumenterebbe ancora se la minoranza per il suo numero acquistasse almeno un parziale influsso sull’indirizzo dell’amministrazione. Che questo avvenga è il nostro desiderio, poiché non ci spinge alle urne spirito di partito o passione di predominio ma la convinzione che l’avvenire di Trento quale centro economico di gran parte del paese è condizionato alla collaborazione e alla cooperazione di tutti gli uomini che vi sanno e vi possono dedicare energie nuove e fattive.
53e2d096-0fda-42cb-a280-7d503eff4e3a
1,910
3Habsburg years
11906-1910
L’Alto Adige trova che in merito alla polemica elettorale del Trentino c’è poco da dire. Sicuro, perché i signori non vogliono parlare degli enormi sorpassi nelle industrie e nelle opere municipali, non vogliono sentire dei bilanci tiramolla degli impianti elettrici, non vogliono che i cittadini sappiano che cosa costano loro l’acqua, la luce, ed il calore, non fiatano sulla tassa sui quartieri ed amano meglio che in silenzio i cittadini si lascino sfondare le tasche. Il fatto rimane che l’Alto Adige sfugge la discussione dei fatti amministrativi del comune ed invece di parlare dei debiti del bilancio, delle vecchie e nuove tasse, delle recenti e prossime opere municipali, insomma degli affari di amministrazione, dei quali anzitutto si tratta e si tratterà in Municipio, parla di idealità politiche e di programma politico cercando di sfruttare il solito trucco di spacciarci noi per «governativi» contro cui tutti i nazionali convinti devono marciare. Attenti al trucco. L’altro giorno l’Alto Adige spacciava per antipatriotta il dr. Degasperi perché in momenti difficili affrontava il volksbundismo in un comizio di Roverè della Luna . Quel comizio ebbe non solo un successo locale, ma provocò la discussione e le lotte intestine fra i tirolesi stessi, riversando la nota campagna giornalistica di un giornale cristiano-sociale, e di un conservatore contro i germanizzatori. Il dr. Degasperi venne invitato a Roverè della Luna dai nazionali di tutti i partiti e l’ordine del giorno votato venne proposto non da lui, ma concertato nelle sue linee essenziali dai nazionali di Roverè; compresi i nazionali liberali, senza dire che tutto il movimento ebbe l’appoggio della Lega nazionale. Non importa, per l’Alto Adige: il dr. Degasperi è un austriacante, un tirolese, un antipatriotta ed a lui che lotta contro la germanizzazione e per l’esistenza nazionale del paese si caccia vigliaccamente il coltello nella schiena. Ah! sì, vero è, noi siamo antinazionali e antipatriotti, ma gli avvocati ed i commissionati vostri che se ne stanno a Trento e consacrano tutte le loro attività alle alte idealità della bottega slava, italiana o tedesca, vattelapesca, costoro sono nazionali, questi solo nel loro immacolato candore sono degni di ascendere all’aula municipale. Il dr. Degasperi è antinazionale ed ammorba l’aria patriottica del Consiglio. L’on. Bertolini invece che fa l’avvocato dei volksbundisti, è patriotta, è una vergine vestale delle più pure idealità, presiede la Lega democratica, dirige il Municipio e lo difende dagli assalti antinazionali. Noi siamo antipatriotti e governativi ed i patriotti, i nazionali, appena un gruppo non numeroso di persone protesterà contro una tassa spogliatrice, chiameranno in soccorso l’i.r. polizia, protettrice e vindice del nazionalismo più puro contro cittadini di Trento. Avete dunque ragione: solo ci meravigliamo che il dr. Degasperi per la sua andata a Roverè della Luna non sia stato insignito della corona ferrea, che fregia il petto di qualche corifeo radicale. Attenti al trucco! I democratici non si smentiscono mai. Oggi, alla vigilia delle elezioni comunali distendono il bandierone del nazionalismo su tutta l’amministrazione municipale perché i cittadini non vedano che il colore del partito invece della bontà o meno dell’amministrazione e degli affari. Domani, ad elezioni finite, per loro non vi saranno che affari, ed il Municipio continuerà il grato spettacolo di favorire nelle forniture e nei lavori l’industria tedesca invece che l’industria nazionale. Ma il trucco ha almeno il vantaggio di confermare sempre più che, per i radicali del Municipio di Trento, si tratta non di amministrare bene la città, ma di possedere intiero uno strumento di predominio politico. Per questo essi che possiedono già 26 mandati contrastano alla minoranza fino un mandato solo, essi non vogliono collaborazione, non vogliono controlli, ma forti d’iniqui privilegi che concede loro una legge del 1888 ci lanciano in viso lo scherno: clericali, governativi, e basta! Così il partito che possiede in città il minor numero di elettori politici, deve dominare su tutti e detterà il prezzo della luce, del calore, dell’acqua, alla maggioranza che deve pagare e tacere, perché appartiene ad un partito politico diverso. E noi saremo padroni di versare la nostra non lieve parte di circa 1 milione di tasse alle casse di codesta razza di patriotti, perché ne facciano l’uso che credono. Ma benone, questo sì che è un metodo magnifico d’inoculare il nazionalismo! Si verifica anche questa volta quello che abbiamo tante volte affermato: per costoro viene in prima linea il dominio politico del liberalismo, e poi subordinati ad esso gli interessi della città e del paese. E, potrà accadere che anche questa volta il privilegio del voto, ed i trucchi politici diano ragione all’ingiustizia distributiva. Non importa! I cittadini indipendenti e che pensano col proprio cervello vadano alle urne ad affermare in nome loro e di molti altri i quali devono fremere e rimanere al di qua delle barriere elettorali, che le cose a questo modo non possono continuare, che la misura è colma! Cittadini, se volete una riforma elettorale che chiami all’amministrazione cittadina rappresentanti di tutti i legittimi interessi, se siete convinti che gli attuali criteri amministrativi ci addossino pesi insopportabili, se volete che in Municipio entri la libera critica, il controllo e la cooperazione di forze nuove, se siete convinti che è iniquo escludere dall’amministrazione delle cose pubbliche la maggioranza dei cittadini che ne sostengono i pesi, se volete che Trento oltre che mantenere la sua veste nazionale esteriore, diventi il vero centro delle energie sane del paese che lavorano per il suo nazionale risorgimento, se volete tutto ciò, ricordatevi che la vostra scheda di lunedì è lo strumento col quale potrete dare efficacia alle vostre idee e alla vostra volontà.
7f497f36-3581-42e7-9840-d49a6dc4ea56
1,910
3Habsburg years
11906-1910
La lotta per la giustizia contro il privilegio è ormai in corso. Giacché di questo appunto oggi si tratta, e non sono in gioco tanto quattro candidati del terzo corpo comunale quanto gli interessi di tutta la cittadinanza di Trento e di quei numerosi censiti che finora non ebbero e non hanno altro diritto se non quello di lasciarsi vuotare le tasche. Tale fu il pensiero svolto nel discorso che l’on. Gentili tenne sabato sera nell’adunanza indetta dai popolari, e tale è infatti la nota dominante della presente campagna elettorale. Campagna aspra e difficile, perché i privilegiati tengono in mano la macchina, e perché, oltre a ciò, la battaglia deve venire combattuta sul terreno che li favorisce colla restrizione del voto e con tutte le astuzie ch’essi escogitarono quando, fingendo di rappresentare il popolo, se ne assicurarono per lunghi anni l’incontrastato dominio . Ma oggi l’edificio vacilla. I privilegiati, i prepotenti, i signorotti sono in trepidazione per la loro dittatura ed è un gridare e un accorrere perché quattro consiglieri popolari non entrino in Municipio a rinforzare quei tre valorosi che misero a nudo le piaghe dell’amministrazione comunale e più volte fecero restare perplessa la stragrande maggioranza radicale. Brutto segno, brutto segno, se un’assemblea di 29 superuomini teme un gruppo di sette nuovi venuti, e se l’Alto Adige vede in sì piccola schiera il pericolo supremo, il tramonto, lo sfacelo dell’amministrazione e del partito radicale. Ma via! Il privilegio potrà aiutarvi un’altra volta. Già non sono pochi i casi di persone che furono dichiarate «sconosciute», ora che si trattava di recapitare al loro domicilio la carta di legittimazione mentre erano conosciutissime quando dovevano pagare le imposte; e ieri si vide qualche salariato del Comune far propaganda con le sue insegne per i «padroni». Nulla diciamo della caccia delle procure delle buone donne e delle arti usate ad impossessarsene. Appendetevi magari il rosario al collo, che la pesca riuscirà miracolosa! Rallegratevi ancora dell’aiuto che vi recano i socialisti, che proclamano l’astensione e vengono a darvi il voto; tripudiate dei soccorsi di certi «moderati» che pretendono dai popolari riguardi e condiscendenza, mentre essi, anche nel momento presente, ci contendono un’esigua rappresentanza del Comune! Con tanta bazza e coll’ingiustizia dell’odierno sistema potrete ben vincere; ma state certi che chi coglie il maggior frutto di questa giornata, non sarete voi! Se questa giornata non segnerà il trionfo, segnerà un gran passo innanzi nella conquista della libertà e dell’eguaglianza che voi negate a tanti trentini. A questo punto siamo arrivati, che i radicali sostengono il privilegio e vi si aggrappano per spadroneggiare, conculcando la democrazia; ma la democrazia sincera, sana ed onesta, sa che traverso mille vicende rivendicherà alla fine i suoi diritti e avrà ragione degli oligarchi e dei falsi liberali! L’Alto Adige, impotente a sostenere la campagna con soli argomenti, trascurò il campo, per lui troppo scottante, dell’amministrazione, e volle dare alle elezioni carattere politico. Ma ecco il bello spettacolo che ci offre. Mentre nell’agosto gridava a squarciagola che i successi ottenuti dai popolari alla Dieta e al Parlamento erano merito dei liberali, ora denigra l’opera dei popolari e dice che i liberali non ne sono responsabili, perché sono in minoranza. In modo speciale esso accusa i popolari di aver aumentate le imposte provinciali. Poche e chiare parole di risposta. In primo luogo chiediamo, se si possono costruire argini, strade e ferrovie, se si possono creare le pensioni ai medici ed aumentare gli stipendi ai maestri senza denari in cassa. In secondo luogo osserviamo che l’aumento delle imposte provinciali è una bagatella in confronto delle imposte del Comune di Trento, che spese e sperperò senza criterio. In terzo luogo osserviamo che la maggior fonte d’entrata è la tassa della birra, e crediamo che nessun italiano vorrà muovere la più piccola osservazione contro tale imposta. In ultimo ricordiamo che tutte le imposte furono pure votate dai liberali italiani, compreso il vicepodestà di Trento. Dopo ciò non resta che rilevare un’altra volta la scorrettezza e la slealtà di un sistema che consiste nel lavorare coi popolari alla Dieta e nel tentare di dar loro coltellate nella schiena a casa. Ma oggi non è più sì facile dar a vedere la luna nel pozzo e le bubbole del giornale di via Dordi servono a molti di piacevole passatempo. Altro che attaccare i popolari!! Spazzate, spazzate in casa vostra signori!!
b6f08673-aeef-4925-9201-3b26d4a37ea5
1,910
3Habsburg years
11906-1910
L’Alto Adige grida alla vittoria clerico-governativa. Chi ha vinto, sono i veterani e le guardie di pubblica sicurezza che votarono per i «clericali» . E il giornale di via Dordi non ha visto il popolo di Trento che si è ribellato alle prepotenze dell’oligarchia radicale e, stanco dello sgoverno della stessa, ne ha fatto giustizia. Non ricorda nemmeno che il comitato liberale invocò l’aiuto delle guardie e dei veterani, inviando loro la preziosa lista di uomini non scelti dal popolo e che al popolo si volevano imporre, come nei bei tempi andati; l’inaspettato ripudio dato dalla cittadinanza agli amministratori della Democratica gli ha fatto perdere il cervello e così egli va febbricitando in vane fantasie. Pure, ha anche qualche lucido intervallo, e scrive: «Ma noi crediamo che sarebbe un grave errore il tentare di sminuire l’importanza della odierna affermazione dei nostri avversari». Ecco con ciò giudicate dallo stesso Alto Adige le bubbole di cui iersera infiorò le sue colonne. Egli lamenta poi la mancanza di organizzazione fra i liberali. Ma non ricorda che fu proprio esso a scindere il proprio campo colle sue intemperanze? Del resto non è che il comitato liberale non abbia lavorato a tutt’uomo. Ma anche i nostri – è doveroso il dirlo – superarono se stessi nella propaganda e con occhio vigile scopersero e impedirono molte gherminelle degli avversari. Però il massimo aiuto venne dai democratici stessi che, incocciandosi a ritardare ed eludere la riforma elettorale, caricando i cittadini di debiti e d’imposte, mostrando d’infischiarsene di tutto e di tutti, finirono collo stancare anche i più pazienti, che si scossero, si rivoltarono e fecero giustizia. L’Alto Adige si consola che la sconfitta di ieri «non dà l’amministrazione cittadina nelle mani dei clericali». Magra consolazione! L’essenziale è che essa ha tolto la base della maggioranza ai signori radicali che siedono in Comune, i quali di qui innanzi, per quanto – preferendo il sistema austriaco all’italiano – rimangono nei loro seggi, non possono più parlate in nome della cittadinanza che ha dato loro la lezione meritata, proprio nel momento in cui, con iniqua riforma elettorale, volevano perpetuare il sopravvento dell’oligarchia, ridendosi della rappresentanza proporzionale. Ma la loro sete di dominio li ha traditi e vedremo se oggi, ridotti a minoranza, miglioreranno i loro propositi! L’Alto Adige rivela ancora la «penosa impressione» che la sconfitta toccata ieri dal suo partito a Trento farà sui suoi consenzienti di tutto il Trentino. Alla «penosa impressione» – può stare sicuro l’Alto Adige – si aggiungeranno anche i commenti all’indirizzo di chi con un radicalismo piazzaiolo, colle alleanze socialiste, colla intolleranza e colla prepotenza preparò tale giornata. E produrrà invece un senso di sollievo nella immensa maggioranza di tutto il paese l’apprendere che finalmente anche nel centro del Trentino prevalse chi la pensa e la sente all’unisono col nostro popolo, che ebbe – purtroppo – intenti audaci ed occasione di vedere quali fossero le accoglienze che il Municipio e i liberali accordavano alla stragrande maggioranza dei figli della terra, rei di non abbassare il collo e accettare il giogo di un cenacolo di qualche caffè o dei signorotti della Lega democratica. Oggi il Trentino si rallegra, gioisce e plaude che anche in Trento, nel cuore del paese, si fa breccia una nuova vita! Il Popolo – da fedele servitore dei radicali, che difese la tassa sui quartieri, che predicò l’astensione, così ben mantenuta e che insegnò ai radicali come potevano eludere la rappresentanza proporzionale – e il Popolo commenta da par suo l’esito delle elezioni. Trova anche lui che fra i liberali prevalse «lo spirito di cricca»; ma la colpa maggiore la vede in ciò che i liberali commisero «balordaggini sopra balordaggini», chiamando fra il resto «la minoranza a fare la revisione dei preventivi» e accettandone qualche proposta . Ecco l’amico del popolo, il fautore del controllo! Bisogna escludere la minoranza dall’esame dei preventivi! Avete capito? Nella pignatta non ci devono vedere e rimestare che lor signori! Se questa non è una prostituzione al partito radicale, quale sarà mai? E poi venga ancora Il Popolo a parlarci di difesa delle minoranze, e si atteggi – se ne ha ancora la fronte – a difensore degli interessi popolari! Il Messaggero di iersera parla di «arti clericali» usate all’ultimo momento per conquistare voti, di «ampie giustificazioni» e proteste sdegnose di guardie municipali accusate di fare i galoppini liberali; nota l’intervento di socialisti e prevede le dimissioni in massa dei consiglieri liberali, il commissario governativo e nuove elezioni. Non vale la pena di occuparci dei mezzi meschini con cui si tenta di sminuire l’esito delle elezioni, e quanto alle dimissioni, al commissario ecc., l’Alto Adige ha già fatto capire che i «signori» restano al posto anche senza maggioranza nei corpi elettorali. Adesso probabilmente si richiameranno alla proporzionale con benefici maggiori di quelli onde volevano ornarla il compagno Briand in Francia e Il Popolo a Trento.
f9947218-a50a-4683-91c7-8335add0e43a
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Cittadini! La maggioranza del consiglio innanzi al dilemma di considerare le elezioni suppletorie come un atto di sfiducia e quindi dimettersi, ovvero di accettare il significato più preciso collaborando colla minoranza per l’introduzione della rappresentanza proporzionale, ha preferito provocare con un sistema puerile lo scioglimento del Consiglio e di affidare l’amministrazione di Trento ad un organo dell’i.r. governo . Contro tale atto di ostruzione passiva, con cui si volle impedire anche a noi l’esercizio del mandato affidatoci dagli elettori, protestiamo altamente, lasciando ai cittadini di giudicare sopra codesta miserevole manifestazione d’incapacità la quale cagiona la transitoria sospensione della civica autonomia. Cittadini! Vengono così resi vani i nostri sforzi d’introdurre anche a Trento un regolamento elettorale che stabilisca il diritto di voto per tutti e conceda ai diversi gruppi d’interessi ed ai seguaci di vari programmi amministrativi il modo di partecipare al governo delle cose comuni. Per volontà della maggioranza, le elezioni generali si faranno col vecchio sistema che esclude dal voto molti di voi e che per pochi voti può affidare il governo della cosa pubblica ad un solo partito politico. A noi oggi non rimane quindi che additare al pubblico i responsabili di questo triste stato di cose. Quelli di noi che per pochi mesi levarono la loro voce in Municipio ne escono con la coscienza di aver compiuto il loro dovere, di aver richiamata l’attenzione vostra sui gravi problemi dell’amministrazione, di aver riscossa la città dall’apatia in cui l’aveva gettata l’indiscusso dominio di una sedicente democrazia e la critica loro non ad intenti politici né a scopi di parte, ma al bene della cittadinanza ed all’onore di Trento. Giulio Andreotti, avv. dr. G. Cappelletti, dr. A. Degasperi, Bonfiglio Paolazzi, Gioacchino Prada, Tullio Pallaveri, G. Vivori. Scriviamo a quarantott’ore di distanza, e nel frattempo in città e fuori si sono fatti i commenti. Come suonano? Mai come oggi abbiamo lasciato con maggiore sicurezza che il pubblico formuli da sé il suo verdetto. Non ci siamo curati nemmeno di proporre i quesiti. I fatti sono là chiari, lampanti. Li giudichi il buon senso cittadino. Lunedì 17 ottobre, è convocato il Consiglio per prendere notizia delle dimissioni del podestà, vicepodestà e della Giunta. Il podestà annuncia che colle dimissioni sue compie per ragioni di salute un atto che già prima delle elezioni aveva creduto necessario. Aggiunge che il suo amico vicepodestà e la Giunta si dimettono per correttezza amministrativa, vale a dire per lasciare al futuro podestà la possibilità di scegliersi una Giunta di suo gusto. Di passaggio poi accenna all’imminenza di una riforma elettorale e ritiene quasi escluso che si facciano nuove elezioni col sistema vecchio. Questo linguaggio aveva forse bisogno di commentari? Era chiarissimo. Voleva dire: i dimissionari non si ritirano per il risultato delle elezioni; il Consiglio ricostituirà la Giunta e, novanta su cento, indirà nuove elezioni, dopo votato il nuovo regolamento elettorale. Il podestà stesso motivando sabato le sue dichiarazioni disse con uno strazio palese nell’atto e nelle parole: Allora, cioè sei giorni fa, confidavo che la maggioranza si eleggesse un podestà. Ebbene lunedì all’atto delle dimissioni, nessuno alle dichiarazioni ufficiali del podestà aggiunse verbo. La maggioranza condivideva il pensiero del suo capo, tanto più ch’era prima intervenuta un’intesa. Nessuno della Giunta parlò di dignità, di coerenza innanzi al verdetto popolare, nessuno della maggioranza accennò al proposito di non costituirsi e di non fare la riforma elettorale. Ricordatelo, signori dell’Alto Adige! Durante la settimana poi si seppe che dal podestà e da buona parte dei consiglieri si tentò parecchie volte di stabilire le candidature e si faceva anche il nome del signor V. Zippel fra i preconizzati. Di preciso ed ufficialmente noi però non abbiamo saputo mai nulla. Con noi né si è parlato né si è cercato contatti di sorta. Il Popolo è male informato . La maggioranza fu come la sfinge ed a chi interrogava si rispondeva evasivamente o nulla. Fino allo scrutinio regnava buio perfetto. L’intenzione ostile alla minoranza di evitare qualunque discussione sulle dimissioni era manifesta. Signori dell’Alto Adige, dove stava di casa in questa settimana la dignità, la coerenza, la lealtà politica che voi avevate precisata con tanta naturalezza da tempo? Si venne alla seduta decisiva. La maggioranza respinge un conchiuso preso ad unanimità ai 23 aprile, sul significato del quale non potevano esservi dubbi. Dov’è la coerenza, la logica, la dignità? Chi muta parere da oggi a domani con impudente disinvoltura? Noi o voi, signori dell’Alto Adige? Andiamo avanti. Prima che si passasse all’atto elettorale, nessuno della maggioranza ritenne doveroso di fare una qualsiasi dichiarazione di voto. Qualche consigliere girava il lapis in aria sopra la scheda simulando ciò che non era. È questa la franchezza, la dignità, la lealtà del partito democratico? L’Alto Adige si richiama ad un trafiletto pubblicato nel nostro giornale il giorno dopo le elezioni. Piano, piano, signori. Se voi date alle elezioni un significato comprensivo e generale di sfiducia alla vostra amministrazione allora dovete dimettervi, senza dubbio. Noi abbiamo dubitato che aveste la franchezza di tirare queste franche e leali conclusioni ed i fatti ci hanno dato ragione, poiché avete preferito sgattaiolare nel silenzioso mistero dell’urna, darvi di fronte al Trentino, al Tirolo ed al Governo una vergognosa manifestazione d’incapacità amministrativa, avete preferito la catastrofe, perché? Perché essa dava il comodo (come disse ieri un vostro consigliere) di buttar fuori la minoranza. Almeno nel 1902 si tentarono di salvare l’onore ed il decoro della città. La maggioranza e la minoranza diedero le dimissioni, dichiarando di rimanere in carica fino alle nuove elezioni. La democrazia liberale finisce invece ignominiosamente, lasciando sospesi moltissimi impegni e l’amministrazione cittadina in gravi incertezze, e volgendo gli sguardi in atto supplichevole verso l’aspettato Messia d’oltrebrennero . Ed in mezzo a questa rovina, a questa fuga generale dalle responsabilità, rimane solo ed abbandonato Giuseppe Silli, il quale ripetiamo diede un esempio così raro fra i suoi consenzienti di disinteresse e di abnegazione che avrebbe meritata da coloro che condusse al potere, una sorte migliore. Il singhiozzo di sabato col quale quest’uomo deplorò il triste finale era ancora l’espressione strozzata di un atto di franchezza e di coraggio . Noi al di qua della voragine che ci separa, divenuta sconfinato abisso per il provocante e sleale contegno della sua maggioranza, passando innanzi a lui chiniamo la fronte e leviamo il cappello.
cdfba0f8-8be9-4f1b-a6db-829b2c99d973
1,910
3Habsburg years
11906-1910
«Ora noi comprendiamo benissimo che dopo tutto lo sforzo sostenuto per ottenere una... grande vittoria elettorale possa spiacere al Trentino ed ai suoi amici di dover ricominciare da capo; proprio come toccava a noi fanciulletti (beati i dì dell’innocenza!) quando ci si trastullava al nobile giuoco dell’oca: si correva, si correva, si sorpassavano i competitori... e una maledetta gettata di dadi ci portava diritti alla morte, il 58 ci pare: e allora... a ripigliare la via irta di ostacoli!». Così caratterizza l’Alto Adige di sabato l’attuale catastrofe dell’amministrazione di Trento. E, sfuggendo come il solito ad ogni discussione dei fatti amministrativi, passando sopra alle gravi condizioni finanziarie in cui si trova il Comune, assumendo degli attuali reggitori non la corresponsabilità, ma solo l’ultima posa provocante, (oh! il coraggio e la franchezza) ci dice chiaro e tondo che la maggioranza non si dimette per impedire che noi facciamo un bel passo in avanti nella conquista del Comune, «danno – soggiunge – che cercheremo di scongiurare con tutti i mezzi legali e leciti che stanno a nostra disposizione». La lunga polemica dunque, egregi avversari, ha servito a qualche cosa, poiché, finalmente cadute per sostegno le infinite parole di logica, decoro e dignità di Trento, incominciate a parlar chiaro e ad ammettere che movente dell’inqualificabile contegno della maggioranza fu lo spirito di predominio del partito politico, e nient’altro. Voi vi siete trastullati come i fanciulli al gioco dell’oca. I cittadini pagano e gemono sotto nuove imposte, reclamano una nuova organizzazione dei servizi pubblici, vogliono sapere a che punto siamo colle finanze comuni, reclamano una riforma elettorale con criteri equi e moderni, e voi prendete l’agone municipale per il luogo dei puerili trastulli del vostro partito. E perché la maggioranza degli elettori nelle elezioni suppletorie ha mandato nel Comune una minoranza che non vi garba, gettate dadi, finché una benedetta gettata avrà portata la minoranza al 58, cioè alla morte. Allora orgogliosi del vostro nobile giuoco, ammantandovi dell’innocenza dei fanciulli, aggiungerete alla morte lo scherno del compatimento. Magnifico il vostro giuoco, o democratici municipali, e degno che vi assistano tutti i Municipi ed i Comuni trentini che guardano a Trento, alma nutrice e capitale morale del paese. Invero voi giuocate ai dadi il prestigio della città e la sua autonomia ed al 58 oltre la morte della minoranza trovate anche la tutela governativa, il consiglio della luogotenenza tirolese, e lo scherno della stampa antiautonomista d’oltrebrennero. Che v’importa? Purché l’odiata minoranza sia al 58! Il commissario? Oh il commissario è una bazzecola, un gingillo, che in breve tempo si scuote di dosso; fingendo di dimenticare che l’ultimo commissario con una situazione meno confusa rimase a Trento circa sei mesi e che tale periodo è quasi normale per tutte le amministrazioni. E poiché per il 1911 non possediamo preventivo e l’applicazione del bilancio 1910 colle nuove tasse è sospesa ed incerta, e del consuntivo 1909 non si è fatto ancora lo studio, i sei mesi del commissario vogliono dire in realtà che i cittadini dello stato del Comune non sapranno per lungo tempo un bel nulla. E se questa non è la sospensione dell’autonomia civica, che ha da venire ancora? Forse che si cambino le divise alle guardie ed ai vigili cittadini? Ah! L’Alto Adige non la prendeva così alla leggera l’altra volta! Quando nel 1903 gli attacchi dei democratici contro i moderati provocavano la crisi Brugnara e la minoranza democratica si apprestava alla battaglia decisiva contro la frazione liberale che l’Alto Adige chiamava «cariatidi del passato», allora l’Alto Adige vedeva nel provocare lo scioglimento ed il commissario una colpa, di cui tentava scagionarsi, altra volta dichiarava che i consiglieri avevano date le dimissioni per evitare la tutela governativa, vale a dire per «tener alto il decoro ed il prestigio della città». Infine quando il commissario venne, proclamava non essere «lecito decorosamente ad un cittadino di Trento di legittimare col suo intervento» il procedere del Governo. Con quanta visibile soddisfazione poi l’organo democratico metteva sotto gli occhi ai parlamentati il Corriere della Sera che parlava con scherno di «affidare Trento... a Innsbruck» o la Bozner Zeitung la quale scriveva: «Non c’è maggior vergogna per un comune autonomo di quella di essere amministrato da un commissario governativo, per incapacità di amministrazione, come è il caso attualmente a Trento». Oggi invece la democrazia liberale – coll’innocenza dei fanciulli – si trastulla a bell’agio, e getta e rivolta i dadi e corre oltre Salorno, sale e ridiscende il Brennero ed entra claudicando come un pezzente nella capitale del Tirolo? Che importa? Qui è il 58 ed il 58 è la morte della minoranza. L’autonomia del Comune di Trento non è oggi più di uno «sport che i clericali di Trento vorrebbero far diventare di moda».
f19653e7-2a1a-4f8f-8661-5dee24b6ee88
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Caro G. Lasciandoci, a Modena , tu e gli amici mi avete detto: Hai avuto la buona ventura di star sempre alla finestra, a vedere ed ascoltare e sei in grado di far confronti, oggettivamente. Non potresti scrivere le tue impressioni? Ed eccomi a riassumerle e pubblicarle, per quel poco che valgono. A Modena mi sorprese anzitutto la grande dimostrazione di vitalità cattolica. A giudicare da certa stampa e da certi sintomi dell’ultimo periodo v’era da temere che l’Italia cattolica fosse tutta una moria e che anche i cattolici più vivi scoraggiati e rassegnati, avessero rinunziato ai congressi «brontolandosi un requie senza tanti discorsi». Ho visto invece che a Modena erano raccolte tante forze vive, quante bastano per riprendere in Italia con vigore l’azione popolare, rinnovando l’ardore e l’entusiasmo suscitato dalla Rerum Novarum. Viceversa non ho visto un’altra cosa che, a dar retta a certuni dovrebbe essere per i cattolici d’azione il pane quotidiano. Non ho visto cioè – ed ho guardato bene – il modernismo. I modernisti mancavano completamente; c’era invece della gente moderna che all’ossequio sincero e cordiale per l’autorità della Chiesa aggiunge la necessaria modernità di vedute e di metodi. Ritengo anzi che in pochi congressi si sia avuta una dimostrazione così viva e così precisa di obbedienza alle direttive pontificie. Tale dimostrazione oltre a suo valore intrinseco mi pare che nella vostra intenzione abbia avuto due significati: l’uno di protesta contro i maligni che durante la lunga crisi misero in dubbio questa vostra obbedienza, l’altro di pregiudiziale assoluta in caso che voi, maggioranza del congresso vi foste trovati sul terreno discutibile in disaccordo coi direttori ufficiali dell’azione cattolica. In proposito devo aggiungere per la verità che un’esplicita dichiarazione venuta dal campo vostro, mi ha colpito ed edificato. In un’adunanza preparatoria uno di voi disse tra gli applausi di tutti: «Domani andremo al congresso, diremo con franchezza quello che ci pare derivi dalle condizioni di fatto (si trattava dei criteri di organizzazione operaia), poi se il Papa detterà un indirizzo diverso, piegheremo il capo. Siamo cattolici, e basta». Allora io mi sono chiesto dove fossero i cosiddetti ribelli ed ho concluso che coloro i quali per una parola meno corretta sfuggita di bocca ad un povero cappellano od a un propagandista nella foga del dibattito, hanno pronta la denunzia e la pietra, compiono opera iniqua. E questi giovani hanno tuttavia lavorato infaticabilmente e sono rimasti sempre sulla breccia contro il più feroce anticlericalismo e la più settaria delle democrazie sociali. Innanzi a loro il sorriso di compatimento che hanno sulle labbra i partiti cristiano-sociali di altri paesi più numerosi, più forti, più progrediti, dovrebbero scomparire, perché questi giovani meritano non il compatimento ma l’ammirazione per quello che, malgrado tutto, hanno saputo fare. Quanti degli organizzatori in Germania, in Austria, nel Belgio avrebbero continuato a lavorare rinnegando molte volte la propria personalità pubblica? A questo punto mi avvedo d’essere incorso in un errore di termini di cui si compiacquero altri colleghi della stampa, forse per ragioni di comodità. Di fatto però a Modena non si manifestarono né tendenze sinistre né destre, né giovani né vecchi, ma si ebbe una solenne dimostrazione di tutti coloro che vogliono lavorare. Si è affermato vigorosamente il partito del lavoro. Non irreconciliabili dissensi intorno al metodo ed alla latitudine di certi criteri furono superati in una discussione relativamente breve; tanto breve anzi da dimostrare che gli oppositori avevano presupposta una resistenza la quale non ci fu affatto. Si dovrà quindi conchiudere che il movimento democratico-cristiano in Italia va da Toniolo, Rezzara , Rodinò , Bertini e Miglioli : comprende cioè tutti i cattolici di azione. L’azione cattolica seguirà quindi l’indirizzo democratico di Modena o non sarà. A Modena si è però andati più oltre di una semplice manifestazione di indirizzo. Si è chiesto anche l’organo centrale e direttivo di tutta l’azione cattolica. Nata questa proposta forse dal fatto che le cinque unioni manifestarono in circostanze speciali un indirizzo pratico diverso, tirando l’una a destra, l’altra a sinistra; essa, se ho capito bene, ha un significato più largo e più comprensivo. S’intendeva di dire: Vogliamo un organo esecutivo delle deliberazioni del congresso, organo che dal congresso attinga la forza per spingere innanzi l’azione cristiano-sociale là dove è ostacolata o semplicemente tollerata e che la liberi dai particolarismi ed arbitri locali, ma l’organo anche, il quale sia responsabile innanzi al congresso. Fu quindi, secondo me, una affermazione di costituzionalismo. Se mons. Werthmann considererà l’ordine del giorno Bertini da tale punto di vista, egli comprenderà perché in Italia, a differenza della Germania siano proprio i giovani che invocano una direzione generale dell’azione cattolica. Così il congresso di Modena ha segnato per tutto quello che riguarda il movimento sociale cristiano la fine della crisi incominciata a Bologna . Se i voti unanimi dell’assemblea troveranno la loro completa attuazione, esso segnerà anche nell’ambito dei fatti l’energica ripresa del movimento che ebbe la sua più solenne sanzione nella Rerum Novarum. A Modena si è però andati più innanzi ancora e dall’azione sociale si è passati direttamente all’azione politica. L’ordine del giorno relativo, accettato anche all’unanimità, stabilì che i cattolici italiani, in quanto agiscono come elettori, debbano nei loro atteggiamenti e nelle loro finalità armonizzare (cito la parola come fu detta) colle direttive del movimento sociale. O, più in breve e più chiaro: Dal movimento sociale cristiano nasce per logica figliazione il partito cristiano-sociale. Ora, se non fossimo in Italia, la cosa sarebbe logica ed evidentissima. Per l’Italia invece almeno nella mia mente, rimangono invece diverse incognite. Anzitutto non ho capito perché proprio nel congresso di Modena si fosse posta all’ordine del giorno la questione elettorale. Era chiaro che questa presupponeva la discussione intorno al partito politico. Ora i direttori e gli organizzatori del congresso ebbero proprio in animo di provocare la discussione politica o, ingenuamente, furono sorpresi? Ecco la prima incognita. In secondo luogo, in qual modo combinare le dichiarazioni dei deputati intervenuti come tali «nell’indivisibilità della loro coscienza» colla pratica esatta fino qui di concedere l’andata alle urne non ai cattolico-sociali, perché tali, ma perché la loro candidatura impediva un male maggiore? Come si concorda con tutto ciò e colle dichiarazioni autorevoli degli ultimi anni l’affermazione applaudita dell’on. Cameroni che la libertà di andare alle urne verrà concessa, quando sarà meritata con un buon lavoro nel campo sociale? C’è dunque nesso logico fra il movimento sociale e politico in modo che l’uno sia padre dell’altro o non s’è voluta finora l’astrazione dell’uno dall’altro? Ecco la seconda grande incognita, la quale, se non erro, si affaccia non solo a me ma a tutti i congressisti. E allora se non si doveva o non si poteva venire a conclusioni più nette e più efficaci non era meglio rimettere la questione politica ad altre assise? Un’altra cosa io, politicamente forestiero, non ho saputo comprendere. In Germania, in Austria, nel Belgio, in America, in Australia, i cattolici hanno cura di separare la responsabilità dell’azione politica da tutte le altre attività dei cattolici. Nei congressi cattolici si tratterà di problemi che interessano anche la vita parlamentare, di azione ed organizzazione politica propriamente detta. Il perché è ovvio. Il congresso cattolico raduna tutte le opere e le forze laiche o clericali che sono quasi un ausilio diretto della missione della Chiesa. Intervengono quindi i rappresentanti della gerarchia ecclesiastica, i quali condividono col congresso la responsabilità delle deliberazioni. Per l’azione politica invece non tutti i cattolici prendono impegno, ma solo gli organizzati del partito. C’è il congresso cattolico, non il partito cattolico. In Austria tale separazione è richiesta anche dalla pregiudiziale nazionale. Ora mi sono domandato perché mai i deputati come Meda , Micheli ecc. insistettero per l’intervento al congresso e vi parlarono di indirizzo politico? Non era questo un inaugurare in Italia il partito cattolico che proprio in Italia per la pregiudiziale papale può esistere men ancora che in Austria per la pregiudiziale nazionale? I cattolici hanno voluto affermare che nei deputati riconoscono ancora i loro uomini ma non bastava fermarsi lì? Quando invece Meda augura che i deputati vengano prossimamente al congresso cattolico, a render conto del loro operato, non è questo entrare a gonfie vele nel «partito cattolico»? Ecco, caro G., le incognite che m’hanno seguito da Modena a Trento. Le ho volute accennare per essere chiaro e completo, aspettando dagli avvenimenti prossimi che la soluzione del problema politico si presenti matura. Intanto lasciami terminare con l’augurio che voi acceleriate frattanto il passo sul cammino sociale e possiate rinvigorire e disciplinare il movimento cristiano-sociale per cui avete tutta la necessaria preparazione tecnica e di principio, nella convinzione che, comunque si presenti la soluzione del problema politico, ne è premessa indispensabile una forte ed invincibile organizzazione della democrazia cristiana. Trento, 15 novembre ad.
fe045949-9160-4d51-a94e-c092e8e5c83a
1,910
3Habsburg years
11906-1910
[...] È calato ancora una volta il sipario sulle vergogne del parlamento viennese . Noi, se lasciassimo libero sfogo al sentimento, non faremmo che lanciare una imprecazione e una maledizione, e basta! A che commentare, a qual pro ripetere la millesima volta lo stesso appello, e come osare ancora la timida formula della speranza, dopo tanta amarezza di delusioni? Il capo dei tedeschi liberali ha confessato ieri che la Camera si è degradata ed avvilita fino all’impotenza. C’è di più. Il sistema parlamentare ha dimostrato di non essere migliore dell’assolutismo di Metternich. O che era l’assolutismo, se non un incessante supplicare dei deboli ed un diniego pertinace dei potenti, contro l’equità, contro la giustizia invocata dai popoli? Se il parlamento fosse veramente l’areopago degli uomini migliori, come lo sognava il legislatore di Atene, se vi si decidessero le sorti dei cittadini e delle nazioni secondo i criteri superiori dell’idealismo e della bontà umana, i nostri rappresentanti si sarebbero certo levati ieri ad invocare coll’eloquenza del buon diritto le ragioni dell’equità, soccorrendole coll’indignazione profonda della nostra anima italiana, acerbamente offesa, e ricorrendo, quando fosse vano, all’efficacia che in tale ambiente dovrebbero esercitare il fiero gusto d’un uomo che soccombe dopo aver combattuto invano con tutte le sue forze. Ma non erano gli areopagiti dello stato ideale che avevano dinanzi ieri i nostri deputati. Erano popoli diversi di razza e di pelo, sbucati dalla Slavonia, venuti dalla Lodomiria, discesi dai Sudeti, calati dalle alpi, come belve affamate, raccolte qua ad azzannarsi a vicenda, per contrastarsi il miserabile osso che offre ai suoi popoli l’impero austriaco. Che importa a costoro dell’equità internazionale e dei meriti della civiltà italica? Ognuno provvede agli interessi suoi: chi pensa ai canali, chi alle ferrovie, chi al dominio della burocrazia, chi alla dieta della propria provincia. I nostri deputati, favoriti da necessità governative, erano riusciti a mettere sul tavolo anche la povera facoltà. Ma bastò che il governo facesse cenno di levare di mezzo l’osso, perché i roditori, con un atto cui vorrebbero giustificare con l’insaziabile fame, rinserrandosi in un ferreo cerchio d’egoismo, ricacciassero fuori per altri tempi la povera facoltà. E che restava da fare ai nostri pochi contro l’egoismo di tutti? Esaurirsi in un gesto inutile che si sarebbe perduto in mezzo al frastuono dei cinquecento? Così raccolsero ancora tutte le energie, e non disperarono, perché disperare non giovava. Non strapparono né lasciarono cadere il tenue filo che li ricongiungeva con una possibilità qualunque dell’avvenire, costretti ancora dalla crudeltà della situazione a dimostrare una qualche speranza non nell’equità, ma nella necessità di coloro, contro i quali serravano l’impotente imprecazione nella strozza. Trascineranno così il triste convoglio da dicembre a gennaio, affidandosi per la centesima volta sulle onde, lottando ancora attraverso gli scogli infiniti . Il popolo trentino comprende questa tattica ed è ormai educato alle tristi necessità del parlamentarismo austriaco. Comprende, ma freme. La piaga si inacerbisce e diviene cancrena inguaribile. Anche i contadini, anche i lavoratori comprendono che la questione della facoltà non è semplicemente questione di una classe sociale, ma diviene questione nazionale e popolare, e la bestialità del parlamento e di chi lo dirige accumula nell’animo un profondo rancore. Ce ne guadagna lo stato? Lo giudichi il luogotenente del Tirolo che ci governa da vicino. Lo faccia sapere, Eccellenza, agli altri!
bc24effe-ff7a-404f-9a05-5886aedf7c97
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Fine d’anno. Sostiamo un momento. Il fattorino mi riversa sul tavolo un fascio di telegrammi del nostro corrispondente viennese. Mussio trasmette da Milano i telegrammi di Parigi: marina torbida, rivoluzione... Savoldi mi fa dire per telegrafo: vi segnalo la crisi, Luzzatti se ne va... vedete i commenti... It. telefona da Innsbruck le notizie tirolesi, il bidello annunzia ora una conquantina di lettere: sono persone che si lagnano, protestano, applaudono, e mandano notizie e vogliono che mi interessi della questione dei pompieri e del regolamento per lo spazzacamino e la rifusione della campane e l’esposizione dei suini e il collaudo dell’organo, l’afta epizootica e gli amperometri dell’impianto; ed il campanello del proto tintinna ininterrottamente e stride nell’aria agitata la soneria dell’amministrazione la quale avverte che è tardi, che bisogna uscire. Oh! ma lasciatemi stare un momento. Datemi un momento di tregua. Ho servito tutto l’anno il pubblico e non fui che uno strumento scrupoloso, sensibilissimo, il quale accoglie le ondate dell’opinione pubblica, le rifonde e le rimanda ai lettori in tutte le parti del paese. Datemi tregua un momento. È fine d’anno e io voglio pensare un po’ alla vita mia, chiudere gli occhi, figurarmi d’attorno gli amici, e ricordare. E qui accanto desidero anzitutto gli amici vecchi, gli amici di una volta. Ricordate? Ero un giovane tagliato alla buona con una cert’aria contraddittoria in viso tra lo spavaldo e l’impacciato. Conducevo una vita stentata ed abitavo in uno stanzone oscuro, dove stavo quasi sempre solo, se eccettuate quei giorni, in cui voi facevate irruenza per darmi dei consigli tumultuosi, degli eccitamenti o degli scappellotti. Fuori, sulla via, nessuno mi salutava. I potenti mi disprezzavano perché ero povero. Gli intellettuali mi compassionavano, perché vestivo da popolano e anche molti dei buoni voltavano la testa dall’altra parte e fingevano di non vedermi perché salutarmi avrebbe voluto dire compromettersi col Fede e Lavoro, colla Voce, col libello, cogli intransigenti arrabbiati. Oh con quanto desiderio aspettavo allora la festa! Era il giorno, in cui capitavo nelle piccole case dei lavoratori, negli abituri rurali e raccontavo tante cose a degli uditori attenti e meravigliati. Predicavo che bisognava scuotersi, mettersi assieme, organizzarsi, combattere per la vita civile ed il progresso economico, che ci voleva la cooperazione, che tutti assieme avrebbero una forza grande da provvedere al proprio credito, al proprio consumo, alla propria industria. Il quarto stato mi capiva e mi amava. Abbiamo rotto così l’indolenza, abbiamo vinto l’egoismo individuale, e quando ritornavo, la festa dopo, in quelle case o in quelle osterie rurali vi sentivo discutere d’associazioni e d’iniziative pubbliche, e più tardi li vidi a mettere pietra sopra pietra, fabbricare le nuove case del popolo colle cooperative, le società operaie, le società di coltura. Voi mi seguivate aggiungendo il vostro entusiasmo giovanile e la vostra opera alla parola mia. C’incontrammo allora nei falsi apostoli, li affrontammo e abbiamo loro strappato la maschera. Oh quanto scandalo dei prudenti e dei transigenti! Anche in città intanto mi si cominciava a conoscere e a discutere. Sostenni polemiche vivacissime, diedi e pigliai botte da orbo, ma ci volevano queste e quelle, non è vero amici? Raggiunsi così maggiore considerazione, ruppi la muraglia cinese che l’odio, l’invidia o l’ignoranza avevano creato attorno di me, e perché frattanto gli amici di fuori avevano raccolto l’obolo della solidarietà e mi avevano costruito una casa nuova, vi entrai con una veste migliore, un po’ più in assetto decente anche per ricevimenti ufficiali, per la cronaca di teatro; ma il cuore era sempre quello veh! Mano mano l’isolamento cessò anche in casa; vennero giovani ardenti ai quali il bagliore dell’idea aveva potuto splendere attraverso dei pregiudizi; vennero uomini a cui il secolo non poteva negare considerazione e che finora si erano rimasti in un angolo perché non ci avevano conosciuti. La grande politica, tuttavia, il Trentino all’interno e all’estero lo rappresentavano gli altri, e la mia voce non veniva sentita e si perdeva nel frastuono di coloro che si dicevano il paese. Ma poi si compie il fatto democratico, si concede il suffragio politico a tutti i trentini. Allora levai alta la voce e gridai ai trentini che uscissero dalle case nuove dove si erano armati e che combattessero la battaglia politica nel campo della vita pubblica. Gridai, e non fu voce al deserto e si raccolsero tutti come ad una parola d’ordine e diedero battaglia dappertutto fino alle ultime ville di montagna, e vinsero. Viene infuso così uno spirito ed una energia nuova nella nostra politica. L’ottimismo politico che invocai necessario per l’azione cattolica, la speranza che era indispensabile per il fervor della lotta, la forza di resistenza provata nelle associazioni economiche, l’abito di praticità assunto nell’organizzazione popolare, tutto questo viene trasferito nella lotta politica, dando nuovo vigore al Trentino per procedere nel cammino aspro e difficile. D’allora in poi dovetti giorno per giorno descrivere le fatiche, i successi, talvolta le delusioni degli amici mandati là fuori, ove si fanno le leggi, parlare degli interessi del paese e spiegare com’essi si intersechino, urtino collidano o armonizzino cogli interessi molteplici di popoli lontani a noi stranieri, ma che vengano discussi e trattati sul medesimo grande mercato che è l’assemblea legislativa. Divenni così organo di partito. Voi mi siete buoni testimoni però, o amici; io non mi sono indugiato a ripetere semplicemente: chiedete al governo e aspettate tutto da lui, non vi ho fatto rivivere la politica negativa dei postulati per i postulati, delle proteste per le proteste, ma ho predicato ancora e sempre: facciamo da noi! creiamo l’autonomia nel nostro pensiero, nella nostra coscienza, nella nostra azione. Il pensiero dei primi anni continua ancora e il popolo non ha lasciato cadere la mano aspettando solo dai potenti il suo risorgimento, ma ha continuato a costruire le opere iniziate, ad aggiungere sulla base delle piccole ma robuste case economiche le torri dell’industria paesana. Guardate come lavorano ancora! Solo così rinsaldiamo una coscienza nazionale di popolo, solo così i baluardi dell’italianità saranno invincibili. La lingua, la scuola sta bene, ma che cos’è l’ora di scuola di fronte a tutto il giorno, che cosa sono gli anni di scuola a paragone di tutta la vita? Bisogna irrobustire tutto l’organismo! Italiani delle Alpi, seguite la grande legge del lavoro del secolo XX, chiamate a raccolta tutte le forze del paese, educhiamo tutti a volere energicamente ed irreduttibilmente, ad operare con pazienza, con costanza e sperando sempre! Poiché è sempre quest’ottimismo efficace che ci solleva ci fa star zitti e ci fa rizzare la testa di contro agli avversari malgrado tutte le traversie e tutta la loro potenza. È nelle aspre anfrattuosità della vita economica e democratica che si educano i giovani non all’entusiasmo facile e parolaio ma al lavoro che frutterà alla generazione vegnente. Fine del 1910. Quanti anni sono passati dalla mia giovantù, che abbiamo ricordata, ed oggi mi pare di trovarmi come al sommo di un’erta, dopo una salita faticosa, incespicando e cadendo molte volte, ma insorgendo sempre; e i nemici sono addietro caduti nella polvere, ovvero altri di loro si affaticano per la stessa via che noi abbiamo aperta, altri ancora stanno a guardare e sentono rispetto se non simpatia per i sanculotti di una volta. Quasi son troppi coloro, a cui devo rivolgere la voce, e mi pare alcuna volta di non giungervi, o che non mi comprendano. Tratto tratto sento venir meno la forza ed illanguidire l’entusiasmo e la fede. Ma allora guardo innanzi e misuro con l’occhio l’immenso ripiano che ci separa ancora dalla cima. Non siamo degli arrivati né degli arrivisti. Guardo lassù dove batte il sole e si indorano le torri, i templi e le forti mura del nostro Trentino ideale. Lassù dobbiamo arrivare perché il nostro popolo sia cristianamente libero, italianamente indipendente, socialmente e civilmente forte. È il Trentino, a cui hanno guardato i nostri padri nei secoli migliori, è l’ideale verso cui deve camminare anche la generazione nostra. Non importa se qualcuno lungo la via vien meno, se qualche altro pusillanime perde la fiducia e cade, avanti amici, io rimango sempre tra voi, dando l’allarme, levando la voce dell’araldo che è l’eco eterna della vostra coscienza. E dirò a voi giovani anche nel 1911 che andiate innanzi riattaccandovi al cammino percorso dagli altri e a tutti che procediamo concordi nella solidarietà d’un grande ideale d’una grande speranza. È questa nostalgia dell’ideale ch’io in mezzo alle vostre cure ed al lavoro insidioso voglio trasferire anche nell’anno nuovo e mantener viva quale efficace propulsore d’opere belle. Una nostalgia irresistibile, come quella che invadeva gli animi israeliti esuli, super flumina Babylonis, quando rivolti verso le montagne della patria giuravano in coro: «se mi dimenticherò di te, Ierusalem, sia data alla dimenticanza la destra mia. Si dissecchi la mia lingua nella gola riarsa se non porrò sempre la città al culmine della mia allegrezza»! Il Trentino
bd4a8b21-6b1f-46f7-a8aa-499103e0a680
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Discussione e approvazione del preventivo comunale per l’anno 1910 [...] Ha quindi la parola il Cons. Degasperi. Se noi, Consiglieri della minoranza, egli dice, fossimo venuti qui, semplicemente coi preconcetti e col programma di partito, ci potremmo oggi accontentare di esporre le linee di un nuovo sistema tributario e di un complesso di riforme, che otterrebbero certamente il plauso dei contribuenti, lasciando alla maggioranza il compito di attuarle: è questo il naturale e riconosciuto diritto di ogni opposizione e nessuno potrebbe negarlo proprio a noi, che siamo qui in numero così esiguo da poter appena parlare in plurale e che d’altro canto siamo sopraggiunti in un momento in cui un altro programma ha fatto tanto cammino, da determinare per un certo tempo ancora lo stato e lo sviluppo finanziario del comune. Ma da una parte la tristezza della nostra vita pubblica ci ha educati ad un realismo che è lontano non solo da ogni utopia, ma anche da dottrine e da sistemi a troppo lunga scadenza, dall’altra il fatto che le finanze comunali non sono autonome e lo stato attuale finanziario in cui giace l’amministrazione municipale ci persuadono a limitarci alle considerazioni prossime e ad eventuali proposte di attuazione immediata. Lasciamo quindi a tempi migliori le disquisizioni sulle imposte personali progressive, le riforme delle addizionali sulle imposte sull’industria, delle addizionali alla tassa di successione e di trasferimento, dell’imposta sul plus valore e della riduzione delle tasse di consumo e di tutti gli altri capisaldi di riforma democratica. Ci sia permesso piuttosto di riassumere anzitutto alcune osservazioni sullo stato attuale delle finanze comunali. Spogliando il preventivo della Giunta dalle formole tecniche e dal gergo convenzionale, si ottiene che è prevista un’uscita di circa due milioni e mezzo di Corone, di cui 750.000 Corone sono necessarie in piccola parte per la manutenzione del patrimonio e in gran parte per pagare interessi ed ammortamento di circa 14 milioni di debiti, 644.000 approssimativamente per l’esercizio delle industrie municipali, 155.000 per l’amministrazione, rimanendo per l’istruzione pubblica Cor. 244.000, per la beneficenza Cor. 172.000, per il servizio sanitario, veterinario, funebre, incendi, illuminazione 170.000, e per le così dette opere sociali (Cucina e Ufficio del lavoro) Cor. 46.000. Se facciamo il confronto colle entrate e teniamo conto che buona parte dei debiti vennero fatti per l’attività industriale del Comune, risalta subito che questa, anziché portar utile alle casse comunali o almeno star in piedi da sé, poggia e grava sulle altre attività ordinarie del comune. Il gas dopo tanti anni di vita, dà – se i bilanci della Giunta sono finanziariamente sinceri – Cor. 2500 di utile: un’inezia; l’acquedotto chiude a pareggio, l’impianto elettrico chiude secondo un preventivo con 60.000 e secondo un altro, mandatoci a casa stamattina, con 112.000 Cor. di deficit . Qui viene spontanea la domanda come ciò possa accadere, mentre altre moltissime municipalizzazioni danno risultati ottimi. Accenna qui al confronto con Bolzano e Merano e colla città d’Innsbruck, la quale ha incassato quest’anno per il gas cor. 104.870 nette e cor. 154.181 dagli impianti elettrici . Per l’impianto elettrico di Trento si opporrà che siamo nel periodo dello sviluppo, ed è giustissimo, ma per l’officina del gas? Non crede di mancare alla logica concludendo che si sono fatti degli errori d’investizione e d’amministrazione. Non vuole riandare la questione della vecchia centrale, che non avrebbe se non un interesse storico e nemmeno la lunga vertenza dei due progetti Avisio e Sarca in lotta . Ma quest’ultimo impianto che era aspettato come irradiatore di luce fisica e doveva essere faro ed esempio per chi volesse navigare il mare delle coraggiose iniziative, proietta invece un’ombra sull’amministrazione cittadina . Trento ha costruito uno degli impianti idraulici più cari che esistano. Potrebbe qui ricorrere ai dati dei manuali, ma qualcuno potrebbe accusarlo di ricorrere ad una facile scienza, quantunque più che si va innanzi nella vita, ci si accorga che il numero di coloro che passano per specialisti ed invece ricorrono ai manuali ed alle enciclopedie è di gran lunga superiore alle previsioni. Ma facciamo pure i confronti con gli esperimenti di fatto. Ogni Kw. fornito a Trento dalle sue centrali richiede un investimento di 3000 Corone. Questa cifra è enorme in confronto della spesa di altre costruzioni. Degli altri impianti nel Trentino si può dire aggirarsi sulle 1200 Cor. La spesa specifica delle centrali di Trento risulta quindi più che doppia del normale. La centrale di Merano e Bolzano costa appena 1000 Corone, e la nuova centrale che si medita di costruire da questa città della Val Venosta, costerebbe un importo molto inferiore alle 1000 corone. Agli stessi risultati arriviamo se chiamiamo a confronto le centrali di Innsbruck e perfino l’esperimento parallelo di Rovereto non riesce in favore nostro. Sulle cause di tale risultato l’oratore non dice il proprio parere personale, perché tecnicamente incompetente, ed ammette che anche le opinioni dei tecnici sono disparate. Ma parecchi di essi assicurano che le cause vanno in parte ricercate nel fatto che l’azienda elettrica venne messa in balia ai più disparati elementi e nell’aver lasciata troppa influenza alle ditte costruttrici, le quali non hanno nessun tornaconto di favorire l’economia della costruzione. Si spese senza dubbio una grande somma in apparati accessori ed in costruzioni elettriche ed edilizie che hanno carattere di lusso. Si può dire che i quadri della Centrale e delle sottostazioni ed il fabbricato relativo abbiano portato una spesa superiore a quanto sarebbe stato necessario per l’esercizio di una Centrale della potenza di quella sul Sarca. Senza toccare qui che varie sono anche le opinioni dei tecnici sulla necessità della sottostazione di Padergnone, che richiese un investimento assai forte. Ma forse si potrà di nuovo opporre che almeno il monopolio comunale è servito, se non a portar utili diretti, almeno a regolare i prezzi favorevolmente? Ma si potrebbe supporre che una centrale privata vendesse a prezzi superiori a quelli della officina municipale? Accenna ai lagni presentati a proposito della tariffa da consumatori interessati ed ai confronti fatti in proposito con Riva e Rovereto. Nota che anche l’illuminazione pubblica riesce a Trento relativamente cara e cita in argomento le cifre di Bolzano e di Innsbruck. Ammette però che vi sono altre città, ove le tariffe sono relativamente più alte, ma si deve tener conto anche del fatto che le imposte e tasse sono qui assai elevate. Viene qui a parlare del sistema tributario comunale ed osserva anzitutto che negli ultimi anni esso ha assorbito in media della ricchezza o meglio della non ricchezza cittadina un crescendo di 20.000 Cor. all’anno. Esaminando alcuni dati della statistica finanziaria delle 33 città autonome dell’Austria otteniamo i seguenti risultati: Linz ha il 50% di addizionali alle imposte governative, Salisburgo il 54%, Graz il 23 rispettivamente il 50, Klagenfurt il 20 e 25, Lubiana il 25, Gorizia il 57 ed il 67, Rovigno il 155, Praga il 16 sulla fondiaria, il 15 sulle pigioni, il 30 sull’industria, sulle imprese soggette a pubblica resa di conto e sui redditi, a Czernowitz il 21, a Trieste il 23 sulle pigioni ed il 60 sul resto e, venendo alla provincia nostra, Innsbruck il 60 sulla fondiaria, il 45 e 55 sulla industria, il 60 sulle imprese, il 45 sui redditi, Bolzano il 120, Rovereto il 240, e finalmente Trento il 250. Trento vanta quindi il triste primato su tutte ed è la città che ha le addizionali più alte . La Giunta propone un ulteriore aumento del 50 per cento, cosicché arriviamo ad una altezza che dà le vertigini. Solo con tale aumento si viene a tassare la ricchezza o meglio la povertà cittadina di ulteriori 67.000 cor. all’anno. L’oratore si domanda se si possano votare a cuor leggero simili aumenti, anche non tenendo conto della modificazione del bilancio, proposta dalla minoranza. Si chiede se la fondiaria dovrà venir aumentata forse per il diminuito reddito della campagna e la crisi vinicola. Perché i contadini di Campo Trentino e di Bolgher dovranno pagare la luce che sfolgora intorno al Sass? Riguardo all’aumento dell’addizionale industria, si rimette ai consiglieri che sono presenti, perché dicano quali progressi l’industria ed il commercio abbiano fatto per giustificare un aumento delle tasse. Forse si potrebbe accogliere più facilmente un aggravio sulle imprese soggette a pubblica resa di conto? Qualcuno penserà alla tassazione del capitalismo, ma in Trento si vengono a colpire anche quelle poche imprese che rappresentano una iniziativa industriale con gravi conseguenze anche per il commercio e per l’industria. Non dice esagerazioni. Un istituto del quale fa parte ha discusso sul serio se non convenga trasportare le proprie sedi altrove, per non aver gli utili diminuiti dalle imposte. Ricorda in proposito l’esempio di Zurigo e di Ginevra e i traslochi avvenuti da Milano ai borghi vicini. Ma la minaccia più grave è senza dubbio la tassa sul valore locativo . Essa inacerbisce il rincaro delle pigioni, prima causa del rincaro della vita. E viene tanto più inopportuna, poiché rappresenta un aggravio sul pigionale proprio mentre questo sta lottando contro i continui aumenti degli affitti. Siamo in crisi e nella crisi il municipio interviene a peggiorare le condizioni dei pigionali. Questo intervento è tanto più grave perché segue ai lavori dell’acquedotto. La vendita dell’acqua si è risolta in una tassazione progressiva a rovescio dei cittadini. I poveri sono proporzionalmente aggravati di più. Una piccola eccezione si è solo fatta nell’ultima seduta del Consiglio colla diminuita tariffa per i quartieri minimi. In proposito osserva che ai servizi municipalizzati si trova che le spese generali salgono a 80.000 cor. Come si può ritenere che, come prevede il bilancio, 40.000 cor. vadano a gravare sugli impianti elettrici, 20.000 sul gas e 20.000 sull’acquedotto? Quando si è votata la tariffa per l’acqua nella seduta 25 novembre 1908, il Podestà dichiarò, rispondendo a chi trovava la tariffa e la tassa troppo alta, che si sarebbe tenuto un bilancio separato per l’acquedotto, in modo che i cittadini potrebbero controllare, se l’acqua viene venduta cara e se in realtà il municipio fa guadagni. Com’è possibile tale controllo, se si grava l’acquedotto con siffatte cifre di spese generali? Ritorna a parlare del problema delle abitazioni e dice che sarà necessario di tener conto dello sviluppo di Trento e dell’urbanismo che si manifesterà anche in seguito all’aumento della rete tramviaria. Si nota oramai una stagnazione dello sviluppo edilizio. Conviene prevenire e prevedere, per non trovarsi poi nella strettezza di quartieri che angustia altre città. Propone quindi che il Consiglio voti una risoluzione nel senso che s’incarica la Giunta di avviare un’inchiesta sullo stato presente del problema delle abitazioni e sui provvedimenti che il Comune potrebbe prendere per promuovere lo sviluppo edilizio. Viene infine ad un’ultima considerazione. Il Consiglio è in procinto di deliberare intorno a gravi pesi che dovrebbero essere imposti ai cittadini. Ora va ricordato che nel 1907 andarono alle urne solo 736 votanti, che l’anno scorso su 2.200 elettori votarono nel III corpo 400 elettori comprese 180 procure; nel II corpo su 540 votarono 72, comprese 30 procure, e nel primo 27 su 60 . Domandiamo: sentono i Consiglieri di avere il mandato di rappresentare la maggioranza della popolazione sulla quale si riverseranno le imposte? Eccettua subito sé ed i suoi amici, i quali non hanno mandato diretto dai propri elettori, ma sanno però di aver dietro di sé buona parte della popolazione. Ma si domanda se non sia giunto il tempo di ricordarci che abbiamo un sistema elettorale che risale al 1888 e che la riforma proposta nel 1903 è venuta invecchiando perché limita troppo il numero degli eligendi del 4 corpo (a metà degli altri). Mantiene le procure femminili cogli abusi notissimi ed esclude il principio che le minoranze siano rappresentate. Ricorda qui la campagna per la rappresentanza proporzionale ed il fatto che anche i liberali ed i socialisti si sono dichiarati d’accordo per principio. L’anno scorso si opponeva solo che si avrebbe ritardata la riforma, ma dopoché l’on. Stefenelli stesso dichiarò quale relatore alla Dieta che prima della prossima sessione dietale i municipi di Trento e Rovereto delibererebbero intorno alla riforma elettorale, è quindi tempo di occuparsene ed egli fa la seguente proposta formale: «Il Consiglio delibera di passare subito dopo l’approvazione del preventivo all’elezione di un comitato di sette membri scelti dal suo seno, coll’incarico di preparare un progetto di riforma elettorale coi criteri della rappresentanza proporzionale». Non si creda che tale insistenza venga, come fu stampato, da spirito di dominio o di conquista di un partito. Ma è ferma convinzione dei suoi consenzienti che se Trento ha da riprendere il suo cammino ascensionale, è necessario che cessino intorno al Municipio le lotte di partito, per sostituirvi la collaborazione di tutti qui dentro. L’intreccio ed il nesso dei nuovi interessi che va formandosi colle vallate esigono che qui siano rappresentati tutti questi interessi, perché non ne nascano conflitti, ma se ne tragga la risultante, che determinerà il progresso di Trento. Non si avranno a lamentare allora, come adesso, delle lotte come quella recente relativa alla elettrovia delle Giudicarie . Un’altra convinzione ancora ci muove, e riguarda tutto il paese. Il volksbundismo è in buona parte un fenomeno economico. Solo se riusciremo ad opporre ai progressi di Bolzano ed Innsbruck, ai quali guardano i volksbundisti, lo sviluppo ed i progressi delle nostre città e soprattutto di Trento, la lotta per l’integrità della nostra esistenza nazionale sarà definitivamente vinta. Richiamandosi a tali ragioni ed ideali prega i colleghi di appoggiare la sua proposta. [...] A. Spese effettive Rubrica I. Oneri patrimoniali [...] Il D.r Degasperi ricorda in proposito la discussione avvenuta nel Consiglio comunale di Rovereto, dove l’avv. Piscel proponeva la riduzione della posta a 10.000 corone, mentre l’on. Raile , assai pessimista, lo voleva portare a 40.000 cor. e il Podestà Malfatti , cui non si vorrà negare una certa competenza, insistette invece sulla proposta che non si debba e che non sia necessario di aumentare il fondo di rinnovamento oltre le 20.000 corone. [...] Rubrica II. Amministrazione centrale [...] Alla posta 31 b il Cons. Degasperi domanda con quale criterio si sovvenziona coi denari pubblici la Camera del lavoro. Si potrebbe avere il criterio della giustizia distributiva, ma allora vanno sovvenzionate anche altre associazioni con simili scopi ed il Comune colle sue finanze miserabili si espone al pericolo di sovvenzionare tutte le altre società, o di attirarsi l’accusa di odiosa partigianeria. Osserva inoltre che tali denari non vanno infine nemmeno a beneficio degli operai trentini, perché il segretario della Camera del lavoro, Barni , nella sua relazione all’ultimo congresso socialista ha notato che gli operai trentini hanno pagato alle casse centrali di Vienna Cor. 40.000 all’anno, ricevendone di ritorno sole 10.000. La Gewerksschaftskommission paga 20 corone al mese e la cassa centrale del partito socialista 60 corone al mese all’ufficio di Trento. I danari della città vanno in realtà quindi a beneficio delle casse centrali del partito internazionale. Propone perciò, come ha già fatto la minoranza della Commissione, la cancellazione del contributo di Cor. 500. [...] Il Dr. Degasperi fa notare come seguendo tali criteri il Comune dovrà sovvenzionare anche altre istituzioni, quando abbiano scopi analoghi. [...] Continuato il giorno 20 aprile 1910 ad ore 21 Rubrica IV. Istruzione pubblica [...] Il Dr Degasperi domanda da quanto tempo venga pagato tale importo, che in ogni modo gli sembra assai esagerato . [...] Il D.r Degasperi non è molto addentro nelle cose della civica Biblioteca, ma gli pare assolutamente impossibile che con un uomo così distinto com’è il prof. Oberziner vi siano tali disordini. Si oppone che si voti un ordine del giorno che sarebbe implicitamente biasimo al bibliotecario, senza averlo sentito. Ci dovrebbe essere una risposta del d.r Oberziner in merito agli appunti fattigli, risposta che non fu mai letta al Consiglio comunale . Fa proposta che prima di prendere una deliberazione si dia campo al bibliotecario di presentare le sue contro osservazioni. [...] Il Dr. Degasperi insiste sulla necessità di portare tutti i lagni a congnizione del Bibliotecario, perché egli possa fare le sue contro-osservazioni. Qualora però la Giunta tenga conto delle sue osservazioni, egli non fa una proposta formale. [...]
8cef2b9a-72ee-459b-98af-f505d0077cbd
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Continuazione dell’esame ed approvazione del preventivo comunale per l’anno 1910 Entrate effettive. Rubrica III. Sovrimposte e tasse. [...] Il Dr. Degasperi osserva che oltre all’addizionale sull’ industria non sono meno gravose le altre. Qui si pensa agli esercenti, perché questi hanno fra i Consiglieri molti rappresentanti della loro classe, ma che cosa avverrebbe se anche le altre classi avessero qui i loro delegati? Ricorda la crisi vinicola e le anteriori manifestazioni del consiglio contro la minaccia d’un nuovo aggravio erariale sulla viticoltura, rammenta ancora a proposito della fondiaria, che proprio gli agricoltori della campagna trentina son quelli che meno godono i vantaggi dell’attività industriale del Comune e che quindi sono gli ultimi chiamati a sobbarcarsi ai pesi che dalla stessa derivano, e chiude appoggiando la proposta Cappelletti . [...] Il Dr. Degasperi rileva ancora che la minoranza ha matematicamente dimostrato che il sanamento del bilancio non richiede affatto la tassa sul locativo. Non vuole ripetere gli argomenti addotti ieri contro tale imposta, ma è oramai dimostrato che anche a Trento il suolo (nel senso dell’economia politica: suolo fabbricato o non fabbricato) assorbe più del 50% degli aumenti dei salari degli operai, degli stipendi agli impiegati e delle rendite in genere. La nuova tassa si risolverà quindi in una causa di nuovi rincari della vita. Subordinatamente raccomanda la progressione proposta dal Dr. Cappelletti . Non è un fatto nuovo. Anche molte altre città hanno una tale progressione che alleggerisce i più poveri. Linz impone dal 201-320 il 2%, dal 321 al 1200 il 6-10%, ossia aumenta di 1% ogni 200 Corone, da 1201-1600 l’11%, dal 1601-2000 il 13% e sopra il 2000 il 14%. Anche a Praga si arriva fino al 6%. A Leopoli si ha una progressione dal 4 fino al 15%. La forte progressione a Trento è tanto più giustificata, in quanto le nuove investizioni proporzionalmente servono di più alle classi non povere. [...] Il Dr. Degasperi domanda la parola per una rettifica di fatto. Osserva che non è vero che solo Linz abbia una forte progressione. Secondo uno specchietto statistico del febbraio 1910 oltre che a Linz la progressione è fortissima a Steyr, Brünn, Iglau, Kremsier, Znaim e Leopoli. Firenze ha la progressione seguente: da 400-600 il 4%, da 601-800 il 4% da 801-1000 il 5, da 1001-1500 il 5,6, da 2001-2500 il 6%, da 25013000 il 7, dal 3001-3500 il 7% e così via fino al 10%. Lo stesso dev’essere a Milano, quantunque di quest’ultima città non abbia innanzi i dati. Appoggia poi la proposta Gerloni, rispettivamente Lunelli , perché essendo ormai stato abbandonato il dogma dell’assoluta rigidità del bilancio e fatto uno strappo di 18.200 Cor. in favore degli esercenti e dei possessori di campi, si potrà farlo anche per miserabili 6.000 Cor. che sono un’imposta sull’indigenza . Ritiene che anche fra la Giunta forse, se il Vicepodestà concederà la libertà di voto, si avrà di nuovo qualche consolante resipiscenza. [...] Il Dr. Degasperi osserva che con ciò viene data ragione alla minoranza, che prevedeva dalle sovrimposte un gettito superiore a quello preventivato dalla Giunta .
85f31642-2e8f-4c17-8e99-a3ef7859fba9
1,910
3Habsburg years
11906-1910
I. Continuazione dell’esame e approvazione del preventivo comunale per l’anno 1910 [...] Il Cons. Degasperi vorrebbe riaperta la discussione dal momento che il Vicepodestà ha creduto opportuno di esporre le ragioni a sostegno della proposta giuntale . Esprime anche la speranza che nella giornata di intervallo qualche consigliere abbia cambiato opinione. [...] C. Servizi municipalizzati. Rubrica XIV. Impianti elettrici [...] Il D.r Degasperi riguardo al fondo di rinnovamento, si richiama a quanto hanno sostenuto lui e i colleghi ripetutamente . L’ing. Capraro ha esposto anche a Rovereto le sue ragioni di fronte al bar. Malfatti, come risulta dal protocollo consigliare. I tecnici giudicano dal punto di vista tecnico, non da quello finanziario. Si associa alle osservazioni e raccomandazioni dei Cons. Cappelletti ed A. Scotoni a proposito dello smercio dell’energia elettrica. Il Municipio deve comportarsi come un negoziante che ha da vendere. Bisogna familiarizzare il pubblico cogli usi più svariati dell’energia elettrica. Ad Innsbruck si ebbero nel 1909 aumenti straordinari di forniture elettriche per gli scopi famigliari più svariati. Ma quell’impianto distribuisce gratis un bollettino mensile, nel quale vengono spiegati tutti i fenomeni elettrici e descritte le applicazioni domestiche dell’energia. Il bollettino è pagato da società fornitrici. Forse l’amministrazione di Trento potrebbe fare qualche cosa di simile. Naturalmente che non si può pretendere lo sviluppo di Innsbruck. Ma a Trento è accaduto invece il rovescio. Nella città si è molto cari; fuori invece si è offerta la forza lavoro ad un prezzo molto più basso. Porta l’esempio di Dro dove si è offerta l’energia per l’illuminazione privata a Cor. 0,60 e per l’illuminazione delle chiese a Cor. 0,30. Nasce così un curioso rapporto. I cittadini di Trento pagano Cor. 1,36 , ed oltre a ciò devono sostenere le nuove imposte per finanziare l’impianto, mentre fuori si sta molto meglio. Si dovrebbe concludere che quanto meno si è cittadini, tanto più si godono i vantaggi. Accenna poi ancora al fatto che mentre Trento faceva la piccola concorrenza nella Valle del Sarca, sul Perginese l’ing. Werkmeister, volksbundista, trattava coi Comuni per offrire la forza dalla Silla a prezzi addirittura enormi. [...] Il Dr. Degasperi risponde che sarebbe fuor di luogo discutere qui di tale concorrenza, quando si tratta d’affari e converrebbe aver cifre esatte alla mano. Ma poiché il Cons. Scotoni accenna a concorrenze schifose , osserva che fu proprio il Municipio di Trento ad entrare nella sfera d’azione dell’impianto sul Varone, portando via la fornitura di Oltresarca, e fu in seguito a questa lotta che l’impianto sul Varone fece la rappresaglia di venire in concorrenza a Dro. Rileva come proprio in quel tempo correvano trattative fra Trento ed una società privata, che si assumeva lo smercio di quantità considerevole di forza. Potrebbe occuparsi a lungo di tale vertenza. Ritiene che finirà non senza danni agli interessi di Trento, se si tiene d’occhio specialmente la vertenza con Cavedine. Rileva inoltre che Trento è messa nella condizione di non poter dare esecuzione materiale ai suoi impegni con Oltresarca. Il Municipio ha inoltre resi pubblici, danneggiandosi, i prezzi di concorrenza offerti a Dro. Si permette poi di fare un’altra domanda che gli è sfuggita prima. Nella relazione del novembre 1909 la spesa totale per l’impianto sul Sarca è di cor. 4.743.875. Nel riassunto egli trovò i seguenti conti transitori: Marchetti dr. Prospero cor. 117.233.37 Cassa di Risparmio cor. 23.882.75 ecc. e in altra rubrica ancora conti transitori collo studio Bertolini cor. 53.085.47. Domanda se tali conti erano compresi nel calcolo della relazione del novembre o se si tratta di spese resesi necessarie più tardi. [...] Il Dr. Degasperi ribatte ch’egli ha calcolato così : gl’impianti elettrici di Trento costano 7.200.000 Cor. ed hanno ora disponibili 2.400 kw. Il kw costa quindi oggi alla città 3000 Cor. Su questa base ha fatto il confronto anche cogli altri impianti tenendo conto della spesa totale d’impianto e dividendo per il numero dei kw. ottenuti nel primo periodo. In quanto al prezzo offerto al Comune di Dro conferma quanto ha pubblicato il capocomune del luogo circa un’offerta di Cor. 0,80, rispettivamente 0.60 ecc. per candela. [...] II. Condizioni della biblioteca e Museo comunali Il Dr. Degasperi difende a lungo, adducendo dati di fatto, l’opera del bibliotecario , del quale rileva la grande competenza ed estimazione e l’esiguità dello stipendio da lui percepito. III. Il problema delle abitazioni [...] Nella seduta del 20 corr. Il Dr. Degasperi presentò la seguente mozione: «Il Consiglio comunale invita la Giunta ad avviare un’inchiesta intorno al problema delle abitazioni in Trento ed a riferire intorno ai mezzi coi quali il comune potrebbe favorire lo sviluppo edilizio» . [...] IV. Riforma del regolamento elettorale comunale [...] In discussione la seguente proposta presentata pure dal Dr. De Gasperi nella seduta 20 corr. «Il Consiglio delibera di passare all’elezione di un Comitato di sette membri scelti dal suo seno, coll’incarico di preparare un progetto di riforma elettorale col criterio della rappresentanza proporzionale». [...] Il D.r Degasperi si dichiara d’accordo . [...] Il Dr. Degasperi non avrebbe nulla in contrario che venissero elette anche persone che non sono Consiglieri comunali, benché anche senza queste la Commissione possa tener conto dei voti di tutti i partiti. Quanto alla proporzionale fa rilevare come la sua proposta sia di natura affatto generale.
59ff31f3-e9de-4764-a504-1638349a7a34
1,910
3Habsburg years
11906-1910
Proposta del Cons. Italo Scotoni per un contributo pel busto ad Antonio Gazzoletti . [...] Il d.r Degasperi si dichiara contrario all’urgenza della proposta . [...]
c5de0ff8-18eb-464d-9272-34dfd7a6cdf6
1,910
3Habsburg years
11906-1910
II. Assunzione d’un mutuo di Cor. 500.000 in conto corrente presso la Banca Cooperativa [...] Al D.r Degasperi pare quindi che la concessione del mutuo stia in nesso colla necessità del locativo, necessità che a suo tempo la minoranza non credette dimostrata . La minoranza votando per il mutuo implicitamente ammetterebbe il locativo. Ma anche la maggioranza non dovrebbe votare in favore. È pur necessario sapere che uso si faccia di mezzo milione e come s’è speso l’altro milione. Ora di questo non si parla. [...] IV. Deliberazioni sulle norme del nuovo organico degli impiegati ed inservienti municipali [...] Il D.r Degasperi è del parere che se si è d’accordo sulla tabella si possa, oggi, coordinare tutto . [...]
0d5d1905-d0e8-42dc-9355-476f47ef4c21
1,911
3Habsburg years
21911-1915
L’articolo intitolato «nuove teorie sull’origine della pellagra» pubblicato dal P. Dott. Gemelli nel «Trentino» ha mosso parecchie discussioni le quali se fatte dal punto di vista della scienza non possono che giovare alle indagini sull’eziologia della terribile malattia. Così a Bergamo si svolge fra i giornali cittadini una polemica vivace ed interessante, nella quale il D.r Pizzini di Bergamo, noto già favorevolmente nel campo degli studi, sostiene con calore la teoria del simulium . Nel Trentino finora non si era rotto il silenzio. Ma ieri finalmente un medico dell’Alto Adige intende riassumere il pro ed il contro delle due teorie, manifestando un’evidente avversione alla nuova. In meno di una colonna di giornale con una certezza che non ammette replica egli giunge alla conclusione che «la pellagra=grano turco+x, non ancora ben definito, il quale però non si può per ora in nessun caso identificare col simulio». Ora non spetta naturalmente a noi il sostenere le ragioni di una teoria piuttosto che un’altra. Grazie al cielo, per quanto ne possiamo sapere, il simulium non è una bestia «clericale né la troviamo inscritta nei ruoli dell’Unione politica popolare», come si dovrebbe ritenere, vedendo l’accanimento di parte, che certa gente di sentimenti molto noti infonde nella polemica pellagrogenica. Riteniamo invece che la discussione possa riuscire di grande vantaggio e l’abbiamo invocata, perché non si tratta semplicemente di teorie o di scuole, ma sopra tutto di un fatto sociale, che mina la base della nostra esistenza. Detto questo lasciamo in argomento la parola al Dott. Gemelli, il quale, non v’ha dubbio, risponderà implicitamente anche al medico dell’Alto Adige, ribattendo al preannunziato articolo del D.r Probizer che comparirà sugli atti dell’accademia roveretana. Ma la «discussione» pellagrologica del «L’Alto Adige» ha anche una duplice coda anticlericale. Anzi tutto il medico esprime il suo giudizio sulla persona stessa di P. Gemelli, al quale viene infine a negare ogni qualifica di «scienziato autentico» spacciandolo, su per giù per un ciarlatano enciclopedico. Per giungere a tale conclusione il medico deve naturalmente giudicare non solo del medico Gemelli, ma anche del biologo, dello psicologo e dello scrittore di filosofia. Saremmo lieti di vedere codesto signor medico metter fuori il suo nome e cognome, per scoprire una perla scientifica del Trentino, certamente ignorata. Non v’ha dubbio che egli non solo avrà lette le più recenti opere di P. Gemelli di psicologia e biologia, ma anche l’enigma della vita, le dottrine moderne della delinquenza, l’origine dell’uomo, la lotta contro Lourdes e perfino il suo trattato di medicina pastorale. Siamo altresì certi che per poter giudicare del filosofo e del teologo, il medico sarà almeno diligente lettore della rivista di filosofia diretta dallo stesso Gemelli. Che se tutto questo non si avverasse, risulterebbe evidentissimo da qual parte sia la fenomenale leggerezza e chi venga mosso da spirito settario. L’altra coda, ed è la più velenosa, è aggiunta dalla redazione dell’Alto Adige. Si richiama questa ad una nota bibliografica del D.r Probizer, la quale dovrà apparire in calce al sunnominato articolo, secondo l’Alto Adige, oggi, ma che sembra essere a disposizione del medico o dell’Alto Adige già prima di vedere la luce. In tale nota, secondo il foglio di via Dordi «Il distinto sanitario, occupandosi in essa dell’articolo di Padre Gemelli comparso nel Trentino n. 293 del 24 dicembre u.s. – articolo che quel giornale qualificava per “interessantissimo” e “rapidamente dettato” dal Gemelli, rileva che esso non è nella sua parte essenziale che una verbale traduzione (salve le alterazioni) del Progress Raport on the Investigation of Pellagra, lavoro serio e pregevole, del dott. Sambon». Più sotto si afferma che P. Gemelli fa passare per sue delle cognizioni prese di seconda mano e lo si accusa di plagio perché non avrebbe citata una pubblicazione del Sambon. Infine la nota del D.r Probizer serve alla redazione dell’Alto Adige per attaccarvi quest’aggiunta: «E questo può dare un’idea dei metodi dell’uomo che per il momento serve da richiamo per la propaganda dei nostri clericali». Anzi tutto per la verità dei fatti notiamo che P. Gemelli ci ha veramente dettato rapidissimamente l’articolo, senza copiare né parafrasare; ch’egli stesso però nell’introduzione si propone di riassumere i risultati delle nuove ricerche e delle nuove pubblicazioni in modo speciale della commissione inglese, diretta dal Sambon, tanto che è slealtà polemica bella e buona quella di accusare di spacciare le cose altrui come sue. È davvero peregrina la pretesa dei contraddittori ch’egli dovesse in un articolo di giornale pubblicare addirittura delle note bibliografiche, quand’egli enuncia di voler riassumere per la comune dei lettori e rimanda chi se ne interessa per scopo di studio «ai periodici e alle pubblicazioni ormai numerose apparse in questi ultimi mesi». Ridicola è poi l’accusa di plagio (proprio dall’accademia!) e il tentativo di spacciare il Sambon per persona seria e pregevole (gran bontà loro) e il Gemelli per una specie di suo truffatore scientifico, quando dovrebbe essere noto che il Gemelli è un collaboratore del Sambon e con lui ha fatto parte delle ricerche in Lombardia. Si aggiunga che nel suo articolo il Gemelli dice ancora espressamente: «Chi volesse conoscere i particolari e le statistiche che hanno condotto a queste conclusioni, non avrebbe che a leggere le pubblicazioni del Sambon e dell’Alessandrini» . E qual è tale conclusione? È proprio così apodittica come la vorrebbe affermare l’Alto Adige per mettere il Gemelli in contraddizione col Sambon? Leggetela: «Parmi che la dottrina del Simulium, recentemente emessa ed adottata dal Sambon, sia quella che meglio d’ogni altra risponda alle nostre attuali conoscenze». Ma non lasciamoci trascinare a polemizzare in merito alla pellagra stessa. Oggi rileviamo piuttosto la spiccata tendenza anticlericale, lo spirito settario, con cui l’Alto Adige scrive di P. Gemelli. Perché? Ce lo dice chiaro nella chiusa dell’attacco. P. Gemelli è il richiamo per le conferenze dei nostri clericali; bisogna quindi demolirlo, liquidarlo. È lo stesso spirito settario che muove ora parecchi medici massoni di Milano a tentare di prendere il coraggioso difensore di Lourdes in un’imboscata. Eppure quale «clericalismo» ha fatto P. Gemelli per essere messo al bando? Forse è clericalismo studiare il fatto della genealogia umana, riferirne e discuterne le prove? Forse è clericalismo l’oppugnare con dati scientifici il monismo Haeckeliano , il riferire le ultime conclusioni del vitalismo, della psicologia sperimentale, i risultati delle indagini paleontologiche? O è forse clericalismo per voi il parlare dei rapporti fra scienza e fede ed il far appello ai giovani perché si scuotano da ogni pigrizia mentale, perché combattano per l’ideale bellezza del pensiero latino contro le nebbie d’oltre alpe perché abbiano fede nell’opera imparziale della scienza che, se sincera e serena, non potrà contraddire alla concezione cristiana della vita? Ed è fare richiamo alle opere clericali l’agitare negli uditori almeno il dubbio che, dati i risultati della scienza, «è forse opportuno il ritorno a Cristo»? Il medico accusa Gemelli di non essere completo, di non insegnare, di non concludere assiomaticamente. E non è invece questo il merito ed il proposito suo di saper parlare anche agli scettici o agli incerti e di provocare in loro la tendenza ad una propria riscossa della coscienza interiore? Comunque, sarebbe proprio questo opera di clericale? Oh! come vi discoprite, o moderatizzati anticlericali, come dite chiaro che ovunque si faccia la difesa della concezione cristiana della vita, ovunque si affronti i problemi della scienza e della fede dal punto di vista cristiano, voi trovate gli appunti che mettono in sospetto ed in allarme il vostro anticlericalismo! Ed è naturale, poiché, malgrado tutti i dinieghi e nonostante certe parvenze in contrario, anche nel fondo della nostra vita pubblica si combatte l’eterna battaglia fra le due grandi concezioni della vita .
d85abfb3-7fdc-44f4-b2f1-af5e0d1860c1
1,911
3Habsburg years
21911-1915
La direzione dell’Unione politica popolare si raccolse nel pomeriggio di sabato a conferenza. Esaminata la situazione parlamentare di fronte al nuovo ministero ed in vista dell’imminente riconvocazione della Camera, l’Unione politica 1) insiste perché la commissione del bilancio entri immediatamente nel suo ordine del giorno, tratti ed approvi, colle note modificazioni richieste dagli italiani, il progetto della facoltà giuridica. 2) nella fiducia che la Camera non venga ulteriormente impedita nella sua attività per gli interessi economici delle lotte nazionali fra tedeschi e slavi, attende che il nuovo governo presenti tantosto il progetto di legge per le ferrovie locali, corrispondente anche ai bisogni del Trentino. La direzione votò inoltre le seguenti risoluzioni che riguardano questioni di attualità: La Direzione dell’U.P.P. richiede che nell’attuazione della legge dietale sul concorso forestieri, tanto riguardo ai contributi quanto nella costituzione degli uffici, vengano osservati rigorosamente i principi dell’equità e, rispettivamente, dell’equiparazione nazionale. La Direzione dell’U.P.P., rimettendosi ai cittadini di Trento, suoi consenzienti, per decisioni immediate di fronte alle elezioni comunali della città, riafferma con tutta l’energia il postulato della rappresentanza proporzionale.
b7476a63-a179-48c8-b762-5259bd30ef43
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Il partito nazionale liberale provvede ormai alla formazione di linea. Sono già stabiliti i candidati del III e del II corpo. Per il primo si provvederà più tardi, come appunto abbiamo pubblicato noi e come invece non doveva apparire dal comunicato ufficiale dell’«Alto Adige». Il primo corpo è la riserva dell’ala moderata, una riserva molto cospicua perché dispone di dodici mandati. Ora ecco i nomi che si danno per certi come candidati del partito nazionale liberale: Avv. D.r Bertolini, Bertoldi Giuseppe, prof. Cristofolini, Amedeo Benuzzi, Alberti Antonio, Zippel Vittorio. Questi sei rappresentano la continuità dell’amministrazione. Bertolini è il presidente della «Democrazia» Benuzzi e Bertoldi, due fedeli dell’ex maggioranza, l’Alberti e Zippel inclini piuttosto verso destra. Cristofolini, uomo dell’ultimo e più recente periodo. Seguono uomini nuovi o rinnovati che dovrebbero rappresentare tutti i settori della concentrazione. D’una parte A. Tambosi, il cav. R. Ciani, presidente della Cooperativa, il conte Manci e Girardini (questi due già candidati all’epoca della prima concentrazione e poi dimissionari per tradimento dei moderati del primo corpo), l’ing. Fogaroli; dall’altra Tomasini, intagliatore, Rigatti, scultore, Mario Scoloni, ex direttore o ex vicedirettore dell’Alto Adige, maestro Fr. Mosna, ex socialista, Fausto Pasini, ex capo socialista. Seguono poi il praticante d’avv. D.r G. Menestrina, candidato anche l’ultima volta nel III corpo, il consigliere aulico Zanetti, venuto recentemente da Vienna. Così se non erriamo, abbiamo raggiunta la cifra di 18. La candidatura di F. Pasini viene imposta dagli esercenti i quali la proposero con 17 voti contro 16, in ballottaggio coll’oste Nicolussi. Il comitato liberale-nazionale discusse anzi se F. Pasini non si dovesse presentare semplicemente come candidato degli esercenti. Non ci è noto in riguardo se tale questione di forma venne risolta. Rimane naturalmente aperta la porta del I corpo, ma qui sono padroni della situazione i moderati, i quali decideranno a seconda delle sorti del III corpo. Se le nostre informazioni sono esatte, ci si deve dare ragione. L’ex maggioranza venne concentrata a dovere. Degli ex consiglieri vennero sacrificati o rifiutarono di concentrarsi, salve le dedite ammende del I corpo, Bazzani Vincenzo, Cestari Bernardo, Frizzera Domenico, Gallo Lamberto, Garbari Vittorio, Holler Lamberto, Liberi Riccardo, Lubich Ing. D.r Pietro, Lunelli Augusto, Oss Ing. Domenico, Perghem Ing. G. B., Reich prof. Desiderio, Sartori D.r Elia, Scotoni Attilio, Scotoni Italo, Tomasi Francesco Eugenio, Videsott D.r Giuseppe, Albertini Eugenio, Pruner Luigi; un’ecatombe dunque in tutta forma, quale noi stessi non pensavamo. Si scelse così una via di mezzo: uomini dell’ex maggioranza come il vicepodestà ed il presidente della commissione al bilancio che trasportano all’amministrazione nuova il fardello vecchio ed uomini nuovi di vari e contraddittori indirizzi che dovrebbero essere il nuovo cemento. Il nome dell’avv. Silli è scomparso. Si assicura che due membri del comitato, i signori Zippel e prof. Onestinghel abbiano proposto all’avv. Silli di riaccettare una candidatura, ma a parte le sue ragioni personali, come avrebbe potuto accettare il povero uomo in mezzo alla «liquidazione» dei suoi? È stato abbozzato anche una specie di piano di battaglia contro «l’avanzata di opposti concetti» i quali, evidentemente sono incarnati nelle medesime persone dei nostri amici. Si dirà che bisogna salvarsi dal clericalismo, il quale è tutto una cosa coll’i.r. governo e col Tirolo. Che poi i clericali hanno losche mire di predominio, che il D.r Lanzerotti vuole ingoiare l’impianto elettrico, il Cappelletti la cassa di risparmio, il D.r Gentili tutto il resto. Oh! Ne sentirete di belline! I socialisti tengono un’adunanza stasera . Presenteranno tre nomi: Battisti, Avancini ed un fornaio, perché i fornai hanno parecchi voti. Sperano sull’anticlericalismo e sui «concentrati» a rovescio.
262ae344-ebd3-49fe-9c39-a51aeda3bf90
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Quasi inosservato per il pubblico immerso nel carnovale si è tenuto il «XIV congresso socialista trentino» . Esso doveva avere una particolare importanza, perché era chiamato a sanzionare il colpo di mano fatto dai rappresentanti delle centrali, aiutati da Piscel, Battisti ed Avancini . Poiché i socialisti sono anzitutto dei buoni commedianti. Dopo aver ristaurato al potere il deputato dimissionario ad aver cacciato il ribelle segretario di Trento coi suoi aderenti alla Camera del Lavoro ed aver compiuto così un atto di evidente dispotismo oligarchico, che non si sogna di tentare un partito borghese, i dittatori vollero ammantarsi della veste costituzionale, e perciò convocarono un congresso regionale che secondo la proclamazione doveva essere arbitro supremo, le sovrane assise delle masse socialiste. Ma vedete il metodo democratico degno di venire segnalato a noi reazionari. Anzitutto viene il «santo uffizio viennese» rielegge con un voto di tre righe il deputato dimissionario e caccia dal partito tutti i socialisti che non si assoggettano alla sua sentenza. Finge tuttavia di lasciar aperto l’appello al congresso; quando questo si raduna, si chiude l’uscio in faccia agli accusati, negando loro qualunque mezzo di difesa. Si concede cioè voto e seggio al congresso soltanto a chi ha già in antecedenza aderito al colpo di mano, ispirato dall’on. Pittoni. Un vero congresso da carnovale. E pensare che codesto partito di commedianti ha assordato tanta gente coi paroloni di libertà, di discussione, di democrazia e colle speranze di un avvenire egualitario! Ma lasciamo la parola alla cronaca. Alla vigilia, come abbiamo accennato G. Barni dava alle stampe una violenta requisitoria contro i socialisti ufficiali, in specie contro Avancini e Battisti. Il libretto che venne messo in vendita agli spacci dei giornali sotto il titolo di «tradimenti e traditori» termina con la seguente conclusione: «Una cricca di ambiziosi e di disonesti politici, truffando il nome del socialismo e ingannando le masse operaie, aveva da tempo la deputazione politica e la stima e la riconoscenza; costoro invece ne tradivano i sentimenti, i pensieri, le lotte tutto producendo al proprio arrivismo; di qua coi propri debiti personali la legavano al carro di un nazionalismo vile, di là, con il traffico della deputazione parlamentare, la soggiogavano allo statalismo austriaco tentando di distruggere con attentati proditori le organizzazioni locali; con abnegazione, con sforzi inauditi per la terza volta i lavoratori si liberavano dai traditori. Che essi non rifaccian più la pace, mai più!» L’opuscolo consta di 46 pagine e rifà la storia delle lotte interne tra l’ala di carattere sindacalista e localista contro i funzionari ufficiali del partito sostenuti dalle casse centrali viennesi dopo l’arrivo del Barni. Di tali avvenimenti abbiamo già tenuti informati i lettori, man mano che si succedevano; per altre notizie attingemmo altra volta alla pubblicazione barniana. Ci basti frattanto rilevare che anche il Barni conferma l’opinione da noi altra volta espressa, essere il Popolo, per i proventi di cui vive, non un giornale socialista indipendente, ma un foglio legato ad avversari politici e borghesi. È questo un elemento non secondario della vita pubblica e mette conto di ridirlo, perché nelle lotte quotidiane e negli elementi della pratica se ne sente spesso l’influsso. Non è da noi il ricercare o l’analizzare la parte personale che in tali vincoli economici possono avere gli editori sui redattori, ma questo si può concedere col Barni che per la sincerità politica il Popolo non dovrebbe chiamarsi «giornale socialista» ma «giornale alla giornata» o «giornale per tutti». L’opuscolo si occupa in primo luogo ed in specie delle dimissioni rientrate dell’on. Avancini. Anche di esse abbiamo riferito largamente. Le rassegnò ai 30 agosto rilevando che le direttive delle organizzazioni operaie locali e dell’Avvenire erano in contrasto all’indirizzo suo ed al programma sul quale esso aveva accettato il mandato. E poiché egli aveva sempre ritenuto che la carica di deputato equivalesse a quella di fiduciario delle società operaie, ora non godendone più la fiducia si dimetteva, augurando che l’oblio della sua persona ridondasse di vantaggio alla classe lavoratrice. Si ebbero poi due mesi di tregua. Le organizzazioni locali avevano conchiuso il famoso contratto di birra colla fabbrica Forst e coll’aiuto dell’industriale il proletario apriva la sua nuova sede in via Belenzani. Nessuno di Trento si mosse in favore dell’Avancini. Il Barni anzi racconta che gli operai si proponevano di candidare il D.r Battisti. Con lui s’erano già messi d’accordo sul programma. Il Battisti, secondo testimonianze riferite dal Barni, ebbe allora a dire ad Avancini che se ritirasse le dimissioni, farebbe una burattinata, che sarebbe una cosa indecente, e a Piscel ed a Pittoni che quelli di Vienna non pensassero a mettere discordie fra i socialisti di Trento, i quali sono tutti d’accordo. Secondo il Barni però il direttore del Popolo si mantenne di questo parere fino alle 6 pom. del 31 ottobre. Ma alle 8 pom. dello stesso giorno egli passava nel campo avverso agli operai. Che cosa era accaduto? Dal 27 al 31 s’era insediata a Trento la commissione inquirente e Pittoni aveva fatto e disfatto a capriccio . Per un voto di maggioranza della «commissione esecutiva del partito» Avancini ritira provvisoriamente le sue dimissioni, e cogli stessi 5 voti contro 4 si cacciano dal partito ufficiale i rappresentanti di varie organizzazioni locali, si dà il bando al Barni, si prende in mano il settimanale, si squalifica la Camera del lavoro. Il Popolo al 2 novembre classifica e denunzia come anarchici i suoi amici di pochi giorni addietro. La commissione ufficiale provvedeva anche alla costituzione di una nuova sede. Sull’esempio di Pittoni la chiamarono Sedi riunite e la insediarono nell’ex drogheria Santoni. Il bello si è che, se è vero quanto pubblica il Barni, per pagare la pigione di codesta sede del partito politico socialista si usarono i denari della Federazione dei ferrovieri, che secondo i propagandisti rossi, dovrebbero appartenere alle organizzazioni professionali neutre. Benemessi i risparmi dei ferrovieri! Così siamo giunti al congresso. Che questo dovesse approvare incondizionatamente il colpo di mano era naturale, perché gli avversari o sospetti rimanessero fuori. Oh! La casa di vetro! Viceversa al congresso brillarono i magnati viennesi e centralisti. I deputati Oliva , Pittoni ed Ellenbogen erano accorsi al grande convegno, e con loro tutte le cariche minori stipendiate dal partito. Il grande atto delle dimissioni Avancini si svolse, secondo il Popolo, in questo modo: «Parlano, approvando l’operato dei deputati socialisti e in modo speciale quello dell’Avancini, i compagni Andreazzi di Trento e Caliari di Merano. Pellegrini, rappresentante del Vorarlberg, si augura maggior energia dai deputati socialisti nel lottare per la legge sull’assicurazione della vecchiaia, invalidità ecc. ... Avancini, Pittoni e Oliva spiegano le ragioni della lentezza con cui sono proceduti i lavori per questa legge. Si delibera di venire ai voti su tutte le relazioni fatte. Siccome l’ordine del giorno Piscel propone che l’Avancini dichiari ritirate le proprie dimissioni, Avancini dichiara di voler rispondere nei primissimi giorni. Insistono perché egli si dichiari oggi, i compagni Battisti, Ellenbogen, Caliari, Nardelli, e di fronte alle generali insistenze e alla dichiarazione emergente dal congresso che si può fare completo assegnamento su tutte le Federazioni centralizzate, l’Avancini dichiara fin d’ora definitivamente ritirare le sue dimissioni. Scoppia un lungo, caloroso, affettuoso applauso» . Con tali generali insistenze il deputato di Trento, eletto nel maggio 1907 per uno sforzo libero-socialista contro il D.r Enrico Conci, riprende il suo posto di battaglia. Nello stesso modo spiccio si sanzionarono gli altri provvedimenti presi dal «santo ufficio». E che facevano gli altri? Dalle finestre della Camera del Lavoro sporgeva un bandierone rosso colle frange nere, stendardo del socialismo rivoluzionario. Barni aveva chiesto in una lettera al congresso d’essere sentito per accusa e difendersi. Ma i compagni non lo vollero. Questo rifiuto doveva provocare la secessione degli aderenti di Giulio Barni. I delegati delle diverse organizzazioni che fanno capo al Segretariato trentino abbandonarono sul momento il congresso: in tal modo si ritirarono i due delegati della Lega dei fornai, i 2 delegati dei fabbri e quelli della Lega degli elettricisti e dei gasisti. Solo nella Lega dei falegnami si manifestarono due indirizzi: 2 delegati e 2 rimasero. Questi due ultimi rappresentavano naturalmente la corrente centralista. Di tal maniera il congresso non risolvette nulla perché non accettò la discussione e la lotta. I due indirizzi diversi continuano. Quale vincerà? Abbiamo in riguardo un’opinione molto marxista. Vinceranno quelli che avranno fatto il miglior contratto colla fornitura della birra e, a condizioni pari, berranno di più. Sempre inteso però che le casse centrali, a disposizione degli ufficiali, possano supplire alla mancanza di parecchi ettolitri.
19f6a229-9a54-4ca4-acb9-d167dbdca810
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Lo spettabile direttore dell’ex foglio democratico mi ricopre – com’è l’usanza sua – di cortesie perché enumerando alcune delle incoerenze liberali, mi sono dovuto imbattere nel nome suo ed in quello del conte Manci . L’avvocato egregio ha ripreso d’un balzo, contro di me, il suo aire democratico ed ha rimesso in fiore quello stile altezzoso e quella ruvidezza di linguaggio che una volta era di prammatica e fece perdere il cappello alla moderateria trentina. Ora che alla stessa «moderateria» si usano i riguardi di un periodare largo e solenne, e verso il conte Manci e compagnia bella (Alto Adige 23-24 dic. 1903) si intonano accenti dimessi per l’umidore degli ungenti e della devozione, a me solo rimane la triste ventura di non assaporare il dolce stilnovo, venendo invece richiamato anche per l’eco fedele della forma ai bei tempi della lega democratica. E con tutto ciò si meraviglia l’Alto Adige che siamo tentati di frugare nei meandri politici d’un passato vicino, riaffacciandone qualche episodio alle menti assopite nel comodo sonno della dimenticanza? Lasci a noi almeno le consolazioni della storia poiché ci mancano i conforti della concentrazione universale. Apriamo dunque il libro delle memorie e discorriamo colle ombre del passato. Eravamo nel dicembre 1903. La Lega democratica aveva provocato per motivi politici la crisi amministrativa della città e Trento ne ricavava il primo frutto, quando giungeva da Innsbruck il commissario del governo. Allora la venuta di tale commissario venne sentita come cosa oltraggiosa alla civica dignità, e, per evitarla, i consiglieri dimissionari proposero di rimanere in carica per il disbrigo degli affari e per indire le elezioni generali. Senonché lo stato non prevede un simile caso e ritiene legale una nuova elezione solo quando avvenga lo scioglimento. Il luogotenente si richiamò a tale disposto, si sciolse il Consiglio e mandò il commissario. Fu allora che i consiglieri fecero inserire a protocollo «che per non assumere responsabilità del procedere del Governo non ritengono per parte loro né dignitoso né possibile di prendere una qualsiasi partecipazione all’opera del Commissario governativo, fidenti, che tutti i cittadini comprendano la necessità anche per ognuno di essi di seguirne l’esempio» (Atto assunto nel municipio di Trento il 21 dic. 1903). In un’antecedente risoluzione gli stessi signori avevano fatto plauso al rifiuto del podestà di «prestarsi a fungere quale Commissario del Governo». È evidentissimo, tutta questa protesta si faceva non semplicemente, per una questione d’esegesi dello statuto, ma era rivolta contro l’intervento del governo e la venuta del commissario, ritenuta oltraggio al decoro di Trento. L’atto è firmato, fra l’altro dal D.r de Bertolini, conte Manci, D.r G. Stefenelli, Zippel, Garbari Vittorio, ecc. Anche «L’Alto Adige» di quei giorni faceva eco alle conclusioni del Consiglio e rafforzava la protesta contro il governo, che secondo l’eloquente linguaggio del Corriere della Sera, riferito dall’Alto Adige si era affrettato ad affidare Trento ad Innsbruck (Alto Adige 23-24 dic. 1903). Questi i fatti, egregio avvocato, e speriamo ch’ella non ricorra di nuovo all’accusa puerile aver noi falsato documenti citati. Ed ora, se vi piace, lasciamo il regno delle ombre (ahi, duro Averno, quante ne inghiotti!) e ritorniamo tra i viventi nel paese della concentrazione. Felice paese codesto, dove il latte scorre a torrenti ed il miele cola dai rami. Tutto è generosamente obliato! Solo noi che stiamo d’un canto, fuggiti come la lebbra, e assaporiamo l’aceto ed il fiele dell’anticlericalismo ricordiamo e facciamo ricordare. Come, il signor de Bertolini che provocò lo scioglimento del consiglio comunale e quindi la venuta del commissario governativo, non è quel desso che protestava nel 1903? Egli che allora plaudiva al Brugnara rifiutante non è quel desso che ora consigliò ed appoggiò il D.r Silli accettante? Sono dunque mutati i concetti di decoro, dignità della città di Trento, o d’oggi la si può affidare con minori sospetti ad Innsbruck? E che dire del pari di V. Zippel, Garbari, ecc.? Ma l’avv. Stefenelli è sollecito anzitutto a smentirci per l’accenno alla sua persona. Da tutto il complesso di contraddizioni che abbiamo dimostrate ai signori aggregati nella concentrazione e dei contrapposti anche nei fatti e nei criteri amministrativi che non ci riuscì difficile rilevare, l’avv. Stefenelli si è sentito pungere anzitutto per un riguardo che davvero per il comune di Trento potrebbe essere secondario e, abbandonato il resto all’incuria di alcune frasi generali, si è ritenuto in dovere di venire al «quia» nel caso suo e del conte Manci. Le preme dunque sovratutto la sua verginità politica, egregio collega? Ebbene, vediamo. Ella ci sfida a riferire un solo atto o parola del conte Manci o suo che possano implicare approvazione all’accettazione del commissario governativo da parte del Dott. Silli. Di quali «atti e parole» intende dire? Di quelli compiuti o detti in privato da Lei o dal conte Manci? In tal caso la sfida sarebbe ridicola, perché gli atti privati non ci siamo mai sognati di sindacarli, come, per quanto riguarda il conte Manci, non ci è mai passato per il capo di ambire noi – così codini e così antinazionali! – un invito per il suo salotto dove può aver fatte le sue meditazioni e confessioni sulla concentrazione liberale. Ma abbiamo precisamente asserito che la protesta del 1903 è firmata dal «d.r Stefenelli Giuseppe, direttore dell’Alto Adige il quale volle questa volta lo scioglimento e quindi il commissario governativo» (vedi nel Trentino il discorso del D.r A. Degasperi). Di passaggio accennammo anche alla firma del conte Manci. Perché? Perché se non erriamo questi due signori furono i centri di cristallizzazione per il concentrato liberale, vollero cioè lo scioglimento e con ciò stesso il commissario governativo. Tale volontà e l’azione che seguì la chiamate voi coerenza col vostro contegno assunto nel passato? Ma per il direttore dell’Alto Adige c’è, in aggiunta, il giornale, ed è qui che si trova la coerenza bell’e stampata. Udite. Nel dicembre del 1903 quando si trattava di commentare la decisione presa ad unanimità dai consiglieri per evitare il commissario governativo l’Alto Adige ne va lieto e superbo e si compiace che un’altra volta si sia dimostrato che «il desiderio di tenere alto il decoro ed il prestigio della città sa imporsi ad ogni considerazione che possa essere inspirata a risentimenti personali o ad opportunismo partigiano» (Alto Adige dic. 1903). Ma nel 1910, quando noi nella polemica dell’ottobre scorso, rileviamo che il provocar lo scioglimento e il commissario è far cosa oltraggiosa all’onore di Trento, l’Alto Adige ci risponde: «quanto all’onore di Trento alla dittatura governativa o via discorrendo, le sono semplicemente frasi ad effetto». Noi parliamo di decoro e di prestigio, loro questa volta paragonano la commedia municipale al giuoco dell’oca. La contraddizione dunque è dimostrata nella sua parte essenziale e principalissima. Ma, soggiunge l’egregio contraddittore, mi dimostri il Degasperi ch’io abbia approvata l’accettazione per parte del D.r Silli del commissariato! Ora questo riguarda un corollario della questione principale. L’importante è che avete provocata la venuta del commissario. Ma, d’altro canto, dove avete detto e stampato che biasimate l’accettazione del D.r Silli? Avete riferita la semplice notizia, e non potreste meravigliarvi se taluno vi può ritenere conniventi. Senonché c’è dell’altro. Nel 1903 ritenevate indegno per ogni cittadino non solo accettare la carica di commissario, ma anche quella di consultore. Nel 1910 invece voi stessi mostraste il desiderio che il commissario sia un cittadino di Trento. Leggere per credere: «Ma dal momento che i clericali sono tanto teneri dell’autonomia cittadina, perché mai, visto che essi si trovano così addentro nelle grazie luogotenenziali, perché mai non s’interessano perché S.E. deleghi all’ufficio di commissario un cittadino di Trento, estraneo alle beghe del momento? O crede il Trentino che a Trento non ce ne sia di cittadini, capaci di reggere interinalmente le sorti del comune?» (Alto Adige 29-30 ott. 1910) . Per ritenere che il mio cenno di critico non era proprio campato in aria? Per chi riesce giuoco pericoloso il rimestare il passato prossimo del municipio di Trento? «Ed ora impari prima il dott. Degasperi che cosa voglia dire essere onesti in politica» conclude il direttore dell’Alto Adige Grazie del modesto avvertimento, egregio collega. Come vede però, non ce n’era bisogno. Già da tempo vado a scuola dal partito nazionale-liberale, e precisamente ora nella sezione democratica, ora nella sezione concentrata. Leggo anzi e mando a memoria il testo di questa scuola, il catechismo della coerenza detto comunemente Alto Adige Per oggi ne abbiamo potuto tirar fuori solo alcuni capitoli, ma ce ne sono moltissimi altri che potrebbero servire! Noi per conto nostro, abbiamo il fermo proposito d’essere scolari ammodo e d’imparare più che possibile. Impariamo l’arte e mettiamola da parte. Non si sa mai, un bel giorno la concentrazione può capitare a tutti. Modestamente ad.
ef807894-e169-4b82-aaa9-7e58679068f0
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Il nostro supplemento di sabato notte deve aver colpito nel segno, almeno a giudicare dallo strepito che fanno gli avversari. L’Alto Adige è uscito stamane con un contro-numero, nel quale smentisce che vi sia un patto formale fra liberali e socialisti. Esso scrive, ingenuamente: «Se i socialisti non fanno un mistero di preferire, scegliendo fra due partiti avversari, i liberali ai clericali, è chiaro che in ciò non vi è niente di scorretto né da parte loro, né da parte nostra. Tutt’al più da ciò si può arguire, che il nostro partito riesce loro più simpatico, o – o se meglio vi piace – meno antipatico del vostro. E dovremmo piangerne?» . Che cosa vogliano dire tali parole, si può indovinare, quando si veda l’analogo contegno usato dal «L’Alto Adige» nel ballottaggio del 1907, quando i liberali, anche senza parte ufficiale, votarono per l’Avancini . E come si spiega altrimenti l’accanimento col quale i socialisti votano e raccomandano la lista liberale? Il Popolo di stamane fa fuoco da tutte le bocche per spingere gli elettori a votare contro gli odiati clericali. Il giornale rosso-borghese dice che bisogna tener lontano dal Comune di Trento tanto laidume , ciò che siamo naturalmente noi. E conclude che «alle sfuriate» nostre esso è anzi riconoscente: «Perché esse certamente gioveranno a spinger tutti i cittadini di parte non clericale a compiere il loro dovere impedendo che Trento, che non è clericale né nella massa operaia, né nel suo terzo corpo comunale abbia una rappresentanza nera carpita con metodi di corruzione e di intimidazione». «Ai cittadini che hanno fierezza e sentimenti democratici nell’interesse non solo della città nostra ma di quanti nel Trentino tutto anelano a scuotere il giogo clericale» . Il linguaggio non potrebbe essere più chiaro. E che queste anime candide prendano la scalmana in favore dei liberali, solo perché essi sono più simpatici di noi? La verità è che, mentre scriviamo, si appalesa già il vero carattere della votazione del III corpo. È l’odio anticlericale che mette in moto gli agitatori di tutti i partiti avversari. Le ragioni, gli argomenti non valgono più, l’anticlericalite diventa epidemica. Il Popolo, trionfante, annunzia che «siamo invasi dalla tremarella d’esser sconfitti». È un po’ presto; a dir lo vero. Ma un altro sentimento nutriamo già ora: quello di un giustificato orgoglio. L’orgoglio che i nostri avversari per sbarrarci il cammino abbiano dovuto stringersi in combinazioni ripugnanti alla logica, al buonsenso, al loro stesso pensare. L’orgoglio che per accanire i propri contro di noi abbiano dovuto ricorrere al fantasma del clericalismo e ai trucchi politici, mentre noi vinti o vincitori, sappiamo di chiedere ed ottenere i voti solo per il nostro programma di riforme comunali. Forse il suffragio ristretto e la viltà dei capi socialisti impedirà che il voto sia l’espressione sincera della cittadinanza. Non importa! Tutti gli amici nostri facciano il loro dovere. Nessuno manchi. Si tratta di affermare sul nostro programma e sulla rappresentanza proporzionale il massimo numero dei voti.
6ec0ab88-1884-413b-b9f0-497653431122
1,911
3Habsburg years
21911-1915
«L’Alto Adige» ha taciuto tutti questi giorni quando noi abbiamo provocato il suo parere sopra i fatti e criteri amministrativi della città. Non accettò la discussione sul terreno dei bilanci, delle investizioni, dei debiti delle industrie, delle tasse comunali. Per suo conto preferì che gli elettori ignorassero lo stato finanziario della città e i rimedi che si propongono gli uni e gli altri per rimediarvi. I cittadini non ne devono saper nulla. Se ne accorgeranno quando i nuovi pesi minacciati dal programma liberale piomberanno loro addosso. Ma questa sera prevedendo che noi non avremmo potuto ribattere scoppiò la solita bomba. Noi siamo antipatrioti, antinazionali, anti-italiani. La nostra entrata in comune «segnerà il tramonto di tutte le più belle idealità, la fine di tutte le più nobili tradizioni». E questa volta come prova del nostro antinazionalismo si ricorre non alla solita poesiuzza tirolese, ma ad una circolare che alcuni signori di Arco avrebbero mandata ai tedeschi villeggianti ed ai loro amici per erigere un monumento all’arciduca Alberto. Noi di questa circolare non sappiamo nulla, non l’abbiamo vista, né sappiamo chi l’abbia scritta. Ma ad ogni modo fra i firmatari riferiti dall’«Alto Adige» sono anche persone appartenenti al partito liberale nazionale, come tutta l’amministrazione arcense non è amministrazione clericale, ma una coalizione indipendente dai partiti politici formatasi per rimediare al disastro e all’irregolarità di un’infelice amministrazione liberale nazionale. Inferire dall’amministrazione di Arco all’amministrazione di Trento non ha senso, se non in quanto che anche a Trento la mala amministrazione di un partito renderebbe necessaria la coalizione di tutti per rimediarvi. Ma l’«Alto Adige» è ricorso a quest’atto infame dell’ultima ora per scagliare su di noi ancora una volta l’anatema dei patriotti. L’insulto non ci tocca ed i fatti stanno a provare la malignità della calunnia. Cattivi italiani, pessimi cittadini?! Noi protestiamo fieramente contro queste arti infami ed indegne del giornale di un partito che si rispetta. Anche recentemente per calunniarci di fronte ai connazionali del Regno si telegrafò da Trento al Secolo che per protestare «contro le mene dei clericali trentini i quali ostacolano l’Esposizione di Roma», l’«Alto Adige» lanciò l’idea di un pellegrinaggio di trentini nella capitale. È sempre così. Tutti i giorni i signori liberali ricorrono all’aiuto nostro quando si tratta di salvare l’integrità nazionale del paese o di ravvivare il sentimento di italianità in mezzo alle nostre popolazioni. In Fassa, in Folgaria, a Lavarone, a Roverè della Luna, a Salorno e dovunque con sacrificio fa d’uopo lavorare per l’italianità del nostro paese noi veniamo richiesti e riconosciuti per l’opera nostra. Ma a Trento nei momenti delle elezioni diventiamo antipatriotti. Ma è chiaro che tanto all’interno quanto fuori del paese si vuole sfruttare il nazionalismo ed il patriottismo per strappare agli ignari quell’applauso che il partito nazionale non può meritare per le sue opere. Elettori, vorrete voi prestarvi un’altra volta a questo vergognoso trucco politico? Guardateli in faccia questi patriotti e giudicate il loro patriottismo dalle loro azioni.
f8cee3bc-551d-434b-b7dc-1cb1ea4b5499
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Ieri sera il nostro comitato, radunatosi d’urgenza, decideva di combattere anche nel ballottaggio . Si diceva che il comitato liberale si disinteresserebbe della lotta. Si riteneva quindi che i tre mandati si lascerebbero contendere alle minoranze. Ad ogni modo quantunque stanchi della lunga lotta e nauseati della slealtà avversaria, si decise di non abbassare la propria bandiera e di non mostrare mai le spalle agli avversari. Si lesse più tardi il comunicato dei due impiegati sull’Alto Adige, ma la nuova non poteva mutare le nostre decisioni. Si stamparono nuovi manifesti e nuove schede. Ma già ieri sera sul tardi la lotta si delineava nel suo spiccato carattere anticlericale. Il solito gruppetto di attacchini di casa Podetti erano passati ai servigi dei socialisti ed affiggevano manifesti invitanti i liberali ad affermarsi sui due socialisti ed il liberale. Stamane tutti i nostri manifesti venivano fatti a pezzi. Alcuni nostri amici, nella previsione che i socialisti avrebbero sfruttati gli elettori liberali pubblicarono un manifesto dicente che «il comitato liberale nazionale proclama l’astensione dal ballottaggio», deduzione che si doveva ricavare chiarissima dal comunicato dell’«Alto Adige» dov’esso proclamava esaurito il suo compito. L’imboscata Ma sì, bisognava fare i calcoli anche qui colla loro arte machiavellica. Stamane infatti gli agitatori liberali erano per tempissimo ed al completo nella sede degli «Studenti trentini» . Il Liberi, furibondo grattava dai muri i nostri manifesti, e poco dopo, sulla porta della sede liberale compariva la seguente scritta: «Con arte canagliesca gente di parte clericale ha affisso un manifesto dichiarante che i liberali oggi si astengono dal ballottaggio. È falso. Gli elettori liberali hanno invece deciso di scendere in lotta compatti coi seguenti nomi: Pergher, Battisti, Urbani» . Capite; ecco l’arte canagliesca dei nostri: essere ingenui, prendere le parole come sono, e ritenere che comitato elettorale liberale e gli elettori liberali vogliano dire la stessa cosa, ecco le nostre canagliate. No, le canagliate le fate voi, truffatori della nostra buona fede, politici disonesti e sleali! Il comitato liberale o la parte più attiva di esso, con a capo Garbari e Liberi fanno attiva propaganda. Si vanno a prendere gli elettori in carrozza. Viceversa i nostri non s’ebbe neppure il tempo di avvisarli, stante che il nostro comitato è ridotto di forze e di numero. I nostri manifesti vennero lacerati. La postuma ritirata dei due candidati impiegati farà astenersi molti che ieri votarono per la lista comune. Viceversa i liberali vanno oggi in massa a votare per i socialisti e il Pergher. Pagano così lo scotto avuto per l’aiuto avuto nel III corpo. Perfino i membri del comitato, come Manci e Peratoner, vanno a votare. Gli avvisi e l’«Alto Adige» hanno riesumata per l’occasione l’equa rappresentanza delle minoranze. È giusto – dicono – che anche il partito socialista abbia la sua rappresentanza.
b912959f-54b5-4f0e-baf5-219acc053b64
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Il risultato finale delle elezioni comunali di Trento è, per le aspirazioni nostre, sufficiente . Sarebbe stato soddisfacente, se avessimo raggiunti due o tre seggi di più; ma oltre non volevamo andare, tanto è vero che già prima, il nostro comitato aveva deciso di presentare al massimo tredici candidature in tutto e che sabato, possedendo anteriormente non più di cinque mandati, propugnammo la candidatura di soli altri sei nel I corpo. Non è quindi il risultato numerico quello che può rendere tristi queste nostre considerazioni, tanto più se avvertiamo d’altro canto quale disastro morale furono le elezioni per il partito liberale. Tranne che nel secondo corpo, dove gli impiegati, per reazione contro una parte della loro classe, diedero una forte maggioranza anche alla lista liberale collo stesso entusiasmo con cui votarono per i socialisti, in nessun altro corpo la lista liberale ottenne quei risultati che alla vittoria materiale possano dare un valore di forza propria e reale. I sette consiglieri del III corpo sono eletti non in grazia della concentrazione liberale, ma della coalizione anticlericale. Non v’ha dubbio che senza l’aiuto dei socialisti, la lista liberale sarebbe rimasta di gran lunga sotto i 750 voti, ch’è la media raggiunta dai nostri candidati. Del pari la maggioranza liberale nel primo corpo è di 5 o 6 voti, sopra i nostri. E con tale maggioranza vennero eletti 9 consiglieri liberali! Il grande partito nazionale-liberale rimane, come abbiamo detto prima delle elezioni, un gigante coi piedi di creta. E se, per il contrario, ricordiamo cosa eravamo noi nel 1905, quando raccogliemmo appena un 280 voti, o nel novembre 1909, quando l’adunanza dei fiduciari decise l’astensione, disperando di riuscire ad una affermazione dignitosa o nel 1910 quando abbiamo raggiunto non più di 500 voti, e confrontiamo con tutto ciò il numero di voti superiore a quello liberale, toccato questa volta nel terzo corpo, la compattezza e l’entusiasmo dimostrati anche nel ballottaggio, possiamo ben guardare alla faticosa campagna elettorale, testè finita, con un senso di orgoglio giustificato. Ma un altro senso trabocca in noi sopra tutti gli altri, ed è quello dell’amarezza e dello schifo per i metodi e la tattica inqualificabile usata dal partito nazionale-liberale in tutta la campagna. «L’Alto Adige» vorrebbe tirarvi sopra un velo di dimenticanza. Lo crediamo. Le vergogne è bene nasconderle. Noi non le dimenticheremo più e verrà giorno in cui – ce ne sarà bisogno – rinfrescheremo la memoria al pubblico. Intanto riassumiamo ancora i fatti. I. Il partito liberale nella sua adunanza dei 3 gennaio, applaudì all’idea che le minoranze abbiano un’equa rappresentanza. Più tardi «L’Alto Adige» pubblicò il seguente comunicato ufficiale: «Il comitato del partito nazionale-liberale ha deliberato definitivamente di presentare per le prossime elezioni comunali una lista di nove nomi per ogni corpo elettorale, lasciando, in omaggio al principio delle minoranze, liberi gli altri tre posti per i rappresentanti degli altri partiti» . In seguito a che il partito popolare decise di presentare nel III solo 9 candidati e nel II 4, appoggiandone 4 degli impiegati. Molti membri del nostro comitato desideravano che nel III si presentasse una lista completa, dicendo che non si avesse fiducia nel partito liberale perché poi all’ultimo momento ci avremmo trovata di fronte la coalizione coi socialisti fatta per strapparci anche la minoranza. Noi fummo ingenui, poiché un simile contegno del comitato liberale ci pareva una canagliata alla quale non si dovesse nemmeno pensare. Spuntammo quindi con la proposta di metterci su di una base di reciprocità col partito liberale, il quale presentando solo una lista di minoranza aveva voluto impedire che lo si potesse accusare di voler impadronirsi intieramente del comune. II. Alla vigilia delle elezioni il comizio socialista ci aprì gli occhi. Era manifesto: accanto alla concentrazione liberale si costituiva la coalizione anticlericale. Questa invero non portava l’etichetta del comitato liberale nazionale, ma quella di un gruppo di elettori. L’Alto Adige uscito la mattina del lunedì , smentiva irosamente che ci fosse qualunque patto occulto o pubblico coi socialisti. Ci abbiamo colpa noi, scrivevano ingenuamente i signori, se i socialisti trovano il nostro partito più simpatico del vostro e ci danno appoggio? L’Alto Adige temeva che l’annunzio della coalizione anticlericale potesse disgustare i liberali che non vollero saperne dei socialisti, e quindi smentiva. Ma intanto le schede con 12 facevano il giro di Trento e perfino gli uffici municipali e membri del comitato di agitazione liberale le sostituivano a quelle dei 9. Evidentemente i maneggioni s’erano accorti che i liberali soli sarebbero in minoranza e che i voti socialisti erano una necessità. In cambio si dovevano dare i voti ai socialisti. Ed ecco il risultato delle urne: La lista dei 9 nomi liberali; quella ufficiale dunque raccolse 110 voti! La lista libero-socialista, con 12 nomi, raccolse 338 voti! Le altre schede presentavano cancellature ed aggiunte, ma sempre in modo che il risultato fu che i liberali ebbero dagli 850 ai 911 voti, Battisti 759, Avancini 734!!! I socialisti avevano dunque votato per i liberali e questi in stragrande maggioranza compresi i possessori di molte procure raccolte dal comitato, votarono per i socialisti, tentando di strappare tutti i posti fino ad uno alla cosiddetta «minoranza» popolare (una minoranza i cui capilista ebbero 804 e 782 voti!). Il Popolo, proclamando la sconfitta clericale, prevedeva martedì che essa diventerebbe piena nel ballottaggio dell’indomani, che doveva essere il giorno, in cui doveva essere arrestato finalmente il «clericalismo bottegaio». Ma il ritiro delle candidature Bertolini e Bertoldi fecero cadere le ardite speranze e l’Alto Adige deplorando che l’indisciplinatezza dei suoi avesse fatto cadere due cospicui della vecchia maggioranza, procurò l’astensione del ballottaggio. Se non ci fosse stato questo accidente la coalizione libero-socialista era in pronto anche per l’indomani. III. Giovedì l’Alto Adige pubblicava il comunicato del comitato nazionale liberale nel quale raccomandava di nominare la nota lista di maggioranza dei 9 liberali. In altra parte del giornale però si raccomandava di passare nella sede del partito liberale, prima di votare. In questa sede la mattina si distribuiva una scheda di 12 nomi con 10 liberali e 2 socialisti. Risultato: Schede liberali dei nove 26! Schede complete libero-socialiste 204! Voti liberali in media 330, Battisti 278, in un corpo nel quale i socialisti hanno pochissimi aderenti. Anche in questo corpo dunque la coalizione libero-socialista strappò alla minoranza popolare (fino a 265 voti) ogni rappresentanza, malgrado le proclamazioni ufficiali e l’impegno pubblicamente preso. Il Popolo decantava a ragione questo risultato come una grande vittoria anticlericale! IV. La sera il comitato nazionale liberale dichiarava nell’Alto Adige esaurito il suo compito. In italiano questo vorrebbe dire: Ci disinteressiamo del ballottaggio. Questa interpretazione venne data anche da un nostro manifesto. Ingenuità! Il comitato esecutivo era al completo anche quella mattina ed affiggeva il seguente manifesto: «Con arte canagliesca gente di parte clericale ha affisso un manifesto dichiarante che i liberali oggi si astengono dal ballottaggio. È falso. Gli elettori liberali hanno invece deciso di scendere in lotta compatti coi seguenti nomi: Perghem, Battisti, Urbani». E tutti gli elettori liberali, fatte poche eccezioni, andarono a votare per il Battisti e per l’Urbani, intervenendo di nuovo a distribuire le minoranze, ad arraffarsene anzi uno per la maggioranza. Abbiamo visto andare all’urna persone che non avremmo mai creduto si compromettessero in tal modo. Non è quindi meraviglia, se nelle elezioni del I Corpo, in segno di protesta, e per riaffermare che le elezioni sono qualche cosa di più che un esercizio sportivo, si presentarono persone che non erano mai scese in simile arringo. Ma non commentiamo. Lasciamo parlare i fatti, e limitiamoci a concludere: 1. Il contegno del comitato nazionale liberale e del suo partito fu sleale e sotto ogni critica. Quindi ricordiamo sempre col partito liberale fidarti era un buon uomo, ma non fidarti era meglio! 2. Lo stabilire di lasciar liberi i posti alle minoranze e poi intervenire in massa a contrastarli è un’enormità tale che poteva essere compiuta solo da chi è in malafede o ignori le costumanze del diritto pubblico in materia elettorale. (Vedere per il contrasto le trattative di Rovereto). La doppiezza liberale ha aumentato ed approfondito il dissenso tra loro e noi. Gli effetti non si riscontreranno semplicemente a Trento. 3. I metodi usati in tale campagna, la fides graeca dei liberali rendono sempre più lontano il giorno in cui sia possibile una cooperazione anche su altri campi. Si può infatti sedere accanto ad avversari politici, ma non a chi ricorre a mezzi illeciti e disonesti. Vi potranno sedere invece i propugnatori della scuola atea e dell’internazionale Urbani e Battisti.
afc18d99-c90c-4008-b9a5-c34e578ac339
1,911
3Habsburg years
21911-1915
All’Alto Adige brucia maledettamente un voto nel primo corpo, ed è un voto che viene impresso come una bollatura di fuoco sullo sconcio carname del mostro elettorale, concepito negli amplessi di un liberalismo senza coscienza col socialismo ateo e corruttore. È il voto del rappresentante di Sua Altezza R.ma il P. Vescovo . Invero il fatto è nuovo e significantissimo. L’esito elettorale e i calcoli di prevedibilità che nel I corpo si possono fare con una certa esattezza dicono chiaro che questo voto non venne dato per scopi di parte e che la sua finalità non era ristretta al campo dell’amministrazione di Trento. Di fronte a questa e alle competizioni che vi si agitano attorno, il Vescovo ha dimenticato sempre di essere censito, per riservare ad un eventuale intervento suo quell’alto carattere morale che corrisponde alla dignità ed all’ufficio ch’egli ricopre nella gerarchia ecclesiastica ed alle gravi responsabilità che incombono al supremo Pastore della diocesi. E nessuno in tale riguardo potrà giustificatamente muovere rimproveri al vescovo, per quanto la stampa anticlericale ne volle un giorno fare l’avversario del movimento cristiano sociale ed oggi colle stessa coerenza e colla stessa fondatezza lo riduce a semplice partigiano di una data amministrazione comunale. Se ieri l’altro quindi il vescovo è uscito dalla sua riserva, lungamente mantenuta, converrà ammettere ch’egli avrà avuto ragioni superiori ai ricordi «dell’uomo di parte ed alle pressioni dei suoi», che l’Alto Adige inventa, per dissimulare ragioni più gravi e più profonde. E queste sono alla portata di mano. Quando si vedono elettori liberali di tutte le gradazioni e sfumature accorrere in massa, rinnegando un impiego pubblico a dare il proprio voto a chi propugna la scuola atea e l’abolizione della Messa, a chi proclamava la guerra al prete cattolico proprio nella stessa sala nella quale invitava un prete scomunicato a denigrare la chiesa cattolica come un istituto religioso degenerato, quando si vedono uomini che sono o vogliono passare per religiosi confondere il proprio voto, senza alcuna riserva, con una dimostrazione che dicono anticlericale, ma che in realtà porta alla ribalta uomini i quali minano le basi della religione; quando si vedono maestri ed educatori, ai quali è affidato l’avvenire dei nostri figli accanirsi ripetutamente e senza alcun riguardo per un simile voto ed atto di fiducia, allora c’è da temere che nella nostra vita pubblica vada diffondendosi e guadagnando terreno se non presso tutti lo spirito antireligioso, certo presso moltissimi il cieco indifferentismo di fronte ai problemi morali ed il perturbamento e la confusione delle coscienze. In tali casi l’interessamento deve apparire giustificato e necessario. «L’Alto Adige» non sarà d’accordo. Nessuna meraviglia. Un giornale che fa la reclame alla conferenza Murri ed irride alla protesta dei curatori d’anime sghignazzando sui decreti e sulle sentenze della Chiesa, deve credersi ben tanto da poter giudicare di simili questioni meglio del Vescovo, né si può pretendere che l’Alto Adige il quale ripetutamente ed anche di recente correggeva il latino in bocca al Papa, si astenga dal dar lezioni al vescovo sulla diocesi. Ma fuori di lui e della cerchia dei suoi interessati adepti l’intervento del rappresentante vescovile ha avuto l’effetto di un lampo che attraversa e scinde il cielo buio e nebbioso delle mezze coscienze e rischiara certi ricettacoli degli equivoci e delle transazioni morali colpevoli; fu un atto di protesta, perché la cittadinanza ed il Trentino non fossero indotti a ritenere che gli assenti approvassero o tollerassero in silenzio. Il foglio dell’ex democrazia anticlericale vorrebbe invero richiamarsi ad una neutralità imposta dalla posizione. Ora noi affermiamo che vi sono certi momenti della vita pubblica, in cui l’assenza può avere un significato altrettanto pieno dell’intervento e nei quali il silenzio può risuonare più eloquente della parola fortemente pronunciata. In tali momenti la posizione non fa che rendere più grave di responsabilità e più significativa la decisione nell’uno e nell’altro senso, rendendo impossibile una neutralità qualsiasi, nel senso sostanziale della parola. Ma del resto è forse antecedentemente avvenuto qualche fatto che agli elettori del I corpo potesse consigliare astensioni e riserve che non ebbero? Forse che il futuro podestà di Trento, in vista della sua posizione superiore ai partiti, esitò un momento a portare il suo voto in ballottaggio per contendere alla minoranza del II corpo i suoi rappresentanti, nonostante l’impegno pubblicamente preso, in odio a gran parte dei cittadini e in favore di un programma spiccatamente antireligioso? Forse che il presidente della Lega Nazionale si è astenuto dal votare, non diciamo al primo scrutinio, ma perfino nel ballottaggio, quando si trattava di votare i candidati dell’internazionale Urbani e Battisti contro tre altri cittadini di Trento? Voi chiedete se nelle elezioni di Trento c’entrassero questioni religiose; noi vi domandiamo se il presidente della Lega Nazionale è accorso alle urne per difendere l’italianità del Trentino. Conveniva forse dare un mandato di fiducia al Battisti, perché in Fassa confuse le sue turbe con quelle del Volksbund in una lotta d’odio contro il clero fassano? Era forse necessario dare il voto a quel partito che sull’altipiano, a Sover, a Canezza costruisce il centro di cristallizzazione per il movimento volksbundista? Voi soli dunque pretendereste riguardi da queste persone, verso le quali nessuno dei vostri ne dimostrò antecedentemente, anche se ebbe spesso a toccare con mano il valore che esse rappresentano per la buona causa? Meglio di fronte alla cittadinanza ed al paese, meglio avreste agito, se aveste taciuto e nel silenzio dell’oblio aveste tentato di dimenticare codeste giornate di vergogna nella storia del vostro partito. Non lo avete voluto? Ve ne siamo grati, perché ci aiutate nel nostro proposito di tenerne sempre viva la memoria. I vostri metodi, i vostri connubi, non verranno dimenticati mai! Mai, mai più!
1af7dba2-815c-48af-9142-21518d88a1bf
1,911
3Habsburg years
21911-1915
«L’Alto Adige» ripete infinite volte di non combattere la religione ma il clericalismo. Ciò non gli impedì di applaudire a suo tempo la persecuzione e l’espulsione dei religiosi in Francia, la laicizzazione completa dello stato e della scuola ai tempi di Combes e Briand, le improntitudini e le prepotenze cesariste del Canalejas; e non gli tolse nemmeno di farsi eco della sozza campagna dei protestanti e degli ebrei contro l’Encliclica di Pio X su S. Carlo Borromeo, enciclica che ebbe dall’Alto Adige il reverente titolo di «sciagurata» . Ora siamo dinanzi ad un altro fatto, compiutosi negli ultimi giorni. Un prete, ribellatosi alla chiesa, cui tutto doveva e che lo trattò con paterna indulgenza e longanimità; un prete che, ripudiata la dottrina cattolica, si gettò a capofitto nel modernismo, sintesi di tutte le eresie; un prete eletto a deputato coi voti dei socialisti e che, colla parola e cogli scritti, stuzzica lo Stato a dar la caccia agli ordini religiosi e alla Chiesa; un prete che non esita a prestarsi per cicli di conferenze in cui figura il nome del bestemmiatore pornografo Podrecca; un prete, scomunicato nominalmente dal Pontefice e dichiarato vitando, viene invitato a tener una conferenza a Rovereto e una a Trento e la stampa liberale – Alto Adige ed Eco del Baldo – lo precede suonando la tromba. Qui non è neppur di lontano, questione politica. È semplice e mera questione religiosa. Murri cadde nella scomunica, perché eretico e ribelle, e chi gli inflisse la scomunica e lo dichiarò vitando è un Pontefice di animo mitissimo, che, a detta degli stessi avversari, è tutto e solo intento alla restaurazione religiosa. Murri l’ha rotta colla Chiesa cattolica, l’ha rotta col cristianesimo, predica il modernismo, ultimo e novissimo rampollo del protestantesimo degenerato in pieno agnosticismo, soggettivismo e sentimentalismo. Ha o non ha ricevuto la Chiesa da Cristo suo fondatore l’autorità di scindere dalla sua compagine gli eretici e di vietare ai suoi figli di ascoltarli e tenere relazione con essi? Nessun cristiano può mettere in dubbio tale autorità spirituale ricevuta da Cristo. E allora che razza di cristiani sono coloro che invitano a parlare pubblicamente uno scomunicato vitando, che ne annunziano la conferenza sui giornali, che eccitano il pubblico ad accorrervi, che battono il tamburo al conferenziere prima e dopo la comparsa? Si cerchi pure di distinguere fra clericalismo e religione; qui, ad ogni modo, il clericalismo non si può far entrare e la questione religiosa domina manifesta, esclusiva, incontrastata. Basta sentire quel che dice il Murri stesso. La Chiesa, secondo lui, si oppose e si oppone alla rinnovazione delle coscienze, al ritorno del puro cristianesimo. La Chiesa colpisce e condanna chi osa proclamare la necessità della restaurazione religiosa. La Chiesa è un istituto degenerato in una gerarchia oligarchica che abbatte e rovina il cristianesimo e la religione. Si tratta qui di questioni politiche o religiose? E sono o non sono, le affermazioni del Murri, altrettante sentenze ereticali, che ricordano troppo bene le calunnie gianseniste dell’oscuramenteo della Chiesa, che, pel contrario, fu costituita da Cristo depositaria infallibile della fede e della morale, luce e salvezza dei popoli? Il Murri, dichiarando fallite le sue speranze nella Chiesa, si attacca come ad ancora di salvezza ai «lavoratori socialisti», nel cui movimento gli pare «che stia l’avvenire» e spera che «sentano la responsabilità che loro incombe di non trascurare l’importanza dei problemi dello spirito» . Sicuro! La Chiesa, a detta del prete scomunicato, ha perduta la verità e l’indefettibilità conferitale dal suo divino Fondatore; ma in luogo suo, per buona fortuna, si è inalberato il vessillo rosso e si canta: «Su fratelli, su compagni – Su venite in fitta schiera; – Sulla libera bandiera – Splende il sol dell’avvenir». Comunione di beni, solubilità e magari promiscuità di matrimoni, incertezza di figli, stato e scuola laica; ah, che bella base, che lusinghiera speranza per la cura dei problemi dello spirito, per il rinnovamento delle coscienze, per la ristorazione religiosa, per il ritorno del puro cristianesimo! È veramente a compiangere che un prete abbia finito coll’intrupparsi in tale compagnia; ma la cecità e l’avvilimento sono la vendetta della superbia e della ribellione. Intanto però torna la domanda: È o non è questa una pura e lampante questione religiosa? È o non è un eretico e un ribelle chi predica tali enormità? È o non è a ragione escluso dalla chiesa? È o non è egli da scansare e da fuggire? I sacerdoti preposti alla cura d’anime, con linguaggio semplice, chiaro, misurato, mettono sull’avviso i fedeli del dovere di evitare chi dal Pontefice è dichiarato vitando e di non ascoltare l’apostolo dell’errore. Molti cattolici, compreso grande numero di signore, protestano contro l’ignobile disegno di far parlare in paese cattolico quel povero disgraziato. E la stampa liberale – non già la «religione», ma il «clericalismo» – che fa? Chiama esilarante la scomunica del papa (Eco del Baldo, n. 27 del 9 marzo 1911); chiama «semigrottesco e inquisitorio» lo zelo di chi mette in guardia contro il misero prete scomunicato (Alto Adige 10-11 marzo 1911); lo designa come «una provocazione»; si congratula del numeroso intervento alla conferenza; gongola del «gran fiasco» (Alto Adige 10-11 marzo 1911) dei «clericali». E dubitate ancora che la stampa liberale del nostro paese sia cristiana? Non prestate ancora fede alle sue dichiarazioni – specialmente in tempo elettorale – ch’essa non combatte la «religione» e il «cristianesimo», ma il «clericalismo»? Voi credete che essere cattolici o modernisti sia una questione religiosa. Poveri ingenui! È una questione clericale. Voi credete che la scomunica sia una terribile punizione; che il Pontefice abbia da Cristo l’autorità di dichiarare scomunicato vitando un prete eretico ribelle; voi credete che ogni fedele cristiano sia obbligato in coscienza a osservare il divieto del Pontefice e tenersi lontano da un tal prete; voi credete che i curatori d’anime siano obbligati ad avvertire del loro dovere e del loro pericolo i fedeli, voi credete che agisca pessimamente chi chiama un siffatto conferenziere, chi in qualsiasi modo lo favorisce, lo appoggia, gli raccoglie attorno la gente; voi credete che sia cosa di coscienza e di religione. No, no; è «clericalismo». Così almeno si dovrebbe credere, stando alle affermazioni della stampa liberale che aggiunge all’impudenza lo scherno, accusando i curatori d’anime che, adempiendo il loro dovere, fecero la reclame al Murri. In tal modo si vorrebbero ridurre i pastori di Cristo ad essere «cani muti». No! no! Essi hanno l’obbligo di parlare; e chi non ne ascolta la voce o ne prende occasione per fare il contrario, è già un cattivo cristiano che occhieggia e tresca coi nemici della religione e non ha che da dare a se stesso la colpa delle sue azioni. In mezzo a tanta perfidia e ipocrisia, vi è peraltro un bene. Quando i socialisti e loro pedissequi invitano un Murri a parlare di religione; quando la stampa liberale si presta al triste giuoco; quando un pubblico numeroso – ed anche donne – accorre a udire la parola dell’ex prete colpito dalla più grave delle condanne, la maschera è gettata e, per quanto altri cerchi di accomodarsela ancora sul viso, è fatica sprecata. La stampa liberale e socialista si è mostrata per quello che è: anticristiana! Essa ha scoperto le sue armi e ha dimostrato a che tende: ad addormentare le coscienze e minarle nelle convinzioni cristiane. Questo è il termine del mutuo soccorso e dell’ibrido connubio liberosocialista. Sta bene notarlo. Tutti coloro cui cale dei progressi veri e del vero amore di patria, sanno che è giunto il momento di stringersi più compatti che mai a difesa contro «la coalizione anticlericale».
64dae52a-c26c-4bb4-b6b8-b73f23501c76
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Temporibus illis erano i piccoli comuni che colle piccole amministrazioni facevano parlare di sé; da qualche tempo sono i comuni maggiori. Ricordate il caso di Levico? Il podestà era accusato di essersi appropriato alcuni tratti di strada comunale. Non si sapeva bene a quale partito appartenesse, o meglio si sapeva che non era certamente un clericale; era però austriacante e mirava a ottenere dal governo croci e titoli. Una campagna furibonda fu mossa contro di lui. Nei circoli stessi donde la campagna moveva, trovavansi gli uomini che per lunghi anni avevano godute le fonti di Levico per poche centinaia di fiorini. Egli con un nuovo contratto portò il reddito delle fonti a più di 50.000 corone annue avvantaggiando con ciò più che notevolmente il bilancio della città. Non valse. Lui era il ladro, il cavaliere, il barone da burla. Nei suoi possessi erano inclusi alcuni pezzi di strada chiusa e tolta al comune. Gli articoli, le pasquinate, le poesie satiriche furono all’ordine del giorno. In una perquisizione giudiziaria gli fu sequestrata anche una lettera che nulla aveva a che fare colla gestione finanziaria, ma mendicava dal governo onorificenze e nobiltà. Che è, che non è un bel giorno la lettera gelosamente custodita negli atti sequestrati dell’autorità giudiziaria, comparve nelle colonne del Popolo e vien data in pascolo al pubblico. La questione amministrativa passa in seconda linea; domina la questione politica. Non può essere che non sia ladro, chi ha chiesto il titolo di barone, e non può essere che sia podestà chi ha chiesto tal titolo. Non vi fu alcun processo penale, poiché si desistette dopo i primi rilievi; vi fu causa civile che condannò il podestà ad una restituzione; nelle elezioni vinse il partito, nel cui mezzo trovavansi uomini che per molti anni godettero le fonti per una pipa di tabacco; la giustizia fu così soddisfatta e il cielo... rasserenato. Dopo Levico, Arco! I piccoli comuni non fanno più parlare di sé; i grandi occupano esclusivamente il campo. Anche ad Arco questione di strade e in aggiunta di acque, e amministrazione disastrosa. Il podestà tiene inclusi nei suoi possessi due tratti di strada comunale, dissodati, piantati e coltivati; in una sua casa è introdotta e usata l’acqua a spese del comune; l’amministrazione, a detta del revisore giuntale, è spensierata, inconsulta, inetta, disastrosa, irregolare, illegale; tutti i partiti si ribellano, spodestano il podestà, e in suo luogo subentra un uomo che non fa mistero dei sentimenti liberali, ma desidera la coalizione di tutti gli uomini indipendenti per il buon andamento del Comune . In sede civile l’ex podestà viene condannato a restituire la strada al comune, che pretende e si fa pagare altresì l’installazione e l’uso dell’acqua. Alle autodifese e agli autoelogi dell’ex podestà per la sua gestione, il revisore giuntale risponde, ribadendo le gravi accuse. Ma il podestà di Arco figura come il capo di un partito, e precisamente, come notò il suo difensore, del partito liberale di Arco; quindi egli è intangibile: chi lo attacca, è mosso da passione politica; chi lo difende è un eroe della patria; e la giuria diventa istanza infallibile anche per coloro che non conoscono l’infallibilità. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco. Nel più forte della mischia e quando più alti risuonano i bellici strumenti, l’ex podestà di Arco, piuttosto che lasciar leggere e discutere gli atti della revisione Filzi, ritira la querela. Ciò non ostante egli rimane un grand’uomo «circondato dalla stima universale» dell’Alto Adige . Viva il cielo egli è liberale! Amministrazione vuol essere, e non politica! E i liberali si sono proposti di mettere in regola tutte le amministrazioni di Levico, di Arco e di... Trento. Già, anche a Trento nelle lotte comunali non si parla che di saggia amministrazione, di riduzione delle tasse, di concorso ed equa rappresentanza di tutti cittadini, e su questi saldi fondamenti la città fiorisce economicamente e diventa esempio e baluardo della nazionalità. Con sì belle vittorie l’Alto Adige dovrebbe guazzare nella gioia. Invece no! Colla grande vittoria di Trento e col verdetto del processo di Arco sullo stomaco, il dolce ritorna in fiele e, come un toro inferocito alla vista del drappo rosso, corre impazzato l’arena sparando calci e dando cornate all’aria. Egli se la piglia coll’accusato di Arco, che stampa a «clericale», col capo di quella città, che ha mandato l’adesione ed un’offerta agli studenti «non clericali», col nostro giornale, coi nostri consenzienti, e per poco nel colmo della tragica allegria non indice un vespro siciliano contro tutti i mortali che non sono concentrati ai suoi ordini. Un’offerta da Fassa alla Lega Nazionale deve servire per battere il tamburo a ignomignosa e sconsolata vittoria di parte, raggiunta solo coll’aiuto degli internazionali che in Fassa si sono fatti forti del Volksbundismo contro il clero e i cattolici che vi difendono l’italianità; l’avvocato, difensore del querelato di Arco, viene attaccato dallo stesso Alto Adige per la sua difesa, tanto per assicurare la libertà e l’indipendenza dell’amministrazione e della tutela della giustizia. Se questo non è terrorismo, quale sarà? Se a tanto non si ribellano tutti gli uomini onesti, a cosa si ribelleranno? Ma l’Alto Adge non è contento di convertire in politiche le questioni amministrative e di imporre il bavaglio a chi non la pensa e non parla come lui. Giocando d’ipocrisia tenta invertire le parti. Egli ricorda il furto della banca cooperativa e il processo Colpi, lagnandosi di noi, come ne avessimo approfittato, per tirare acqua al nostro mulino. Eppure ognuno sa che, se vi furono uomini e istituzioni fatti bersagli allo scherno, all’ingiuria, alla calunnia, perseguitati con ogni arte più subdola e indegna, questi furono gli uomini e le istituzioni nostre, che sorsero e si affermarono in mezzo alle più aspre e vigliacche battaglie degli avversari. Se vi è chi può affermare, che i processi di stampa furono troppo spesso convertiti in agone partigiano, questi siamo noi che ciò non ostante resistemmo e crescemmo; donde le ire implacabili, ma impotenti, di cui fummo e siamo fatti segno. Nulla ci distolse dal continuare l’opera nostra e dal dedicarla a vantaggio del nostro paese, anche quando ne traevano profitto quelli stessi che sì indegnamente ci combattevano. Se al tempo dell’increscioso avvenimento avessimo voluto attaccare l’istituto di credito, che ne era colpito, non era difficile il farlo: ce ne astenemmo. Se avessimo voluto avviare una campagna a fondo contro il partito liberale in occasione del processo Colpi, gli appigli non mancavano, e l’Alto Adige non vorrà negare che, se quell’infelice si fosse trovato a Trento nelle ultime elezioni comunali sarebbe stato il più abile pittore per affidare ai lastricati la fatidica scritta: Ricordatevi di Arco, votate per liberali! E chissà che la presenza di tanto agitatore non avrebbe supplito o fatto proclamare apertamente il pateracchio coi socialisti? L’Alto Adige farà bene a non toccare certi tasti; ne uscirebbe una musica per lui troppo sgradita. L’Alto Adige chiude i suoi sfoghi protestando «contro il sistema vergognoso di chi tutto calpesta pur di conservare un predominio politico del quale ogni giorno più si dimostra indegno», lancia ai suoi consenzienti il monito che «se vogliono difendere i loro principi e le loro stesse persone è necessario serrare le file, organizzarsi e prepararsi ad affrontare quel partito che per sostenersi non sdegna di ricorrere alle arti più basse per rubare l’onore ai galantuomini come un grassatore si servirebbe della rivoltella per ridurre le sue vittime all’impotenza». Non ricordando il passato e osservando il presente, non esitiamo a far nostre queste parole e questo monito. Troppe volte sentimmo sulle nostre carni il ferro sleale dell’alleanza libero-socialista che da Trento vuole espandersi e celebrare le sue gesta invereconde e infauste per tutto il paese. Se mai, oggi è il momento di opporre più salda la compagine al nuovo assalto e colla stampa, colle organizzazioni, con tutta la forza e la costanza combattere per la nostra dignità e libertà.
bb81616e-3c75-4512-83d7-0ccbac85df04
1,911
3Habsburg years
21911-1915
La Camera è sciolta. Fra poco comincerà la campagna per le nuove elezioni politiche generali. Gli amici sanno che cosa ci aspetta. Gli avversari battuti nel 1907 tenteranno la riscossa. Già la loro stampa dimostra che nelle proprie mani qualunque arma sarà buona. Avvenimenti di fresca data parlano con un’eloquenza terribile: contro di noi sono invocate alleanze pubbliche o segrete dedizioni cogli elementi più ostili agli ideali ed alle sacre tradizioni del nostro paese. I seguaci di Carlo Marx, i propagatori del materialismo sociale, gli organizzatori dell’irreligione accolgono i suffragi e gli appoggi di persone, le quali dimostrano almeno una fenomenale assenza di carattere civile ed un fetale oscuramento della loro coscienza come uomini pubblici. Noi dobbiamo quindi sapere fin d’ora che noi saremo soli circondati da avversari da ogni parte. Ma tale isolamento non ci fa paura perché è lo splendido isolamento della vittoria. Il popolo trentino nella stragrande maggioranza nel 1907 ha detto una forte parola: nel 1911 la ripeterà con nuovo vigore, con nuovo entusiasmo. Fin d’oggi però, prima ancor che si apra la campagna, sia lecito a questo giornale che ritorna con rinnovato ardore e con raddoppiata energia al suo posto di battaglia di fare agli amici due raccomandazioni: l’una è naturale e sta nelle nostre più belle tradizioni, l’altra ci viene suggerita dall’esperienza. Siamo tra noi uniti, disciplinati, pronti al sacrificio di qualunque tendenza personale, quando lo richieda la vittoria dell’ideale comune, la vittoria della democrazia cristiana trentina. Noi abbiamo ferma fiducia che tale ferrea compattezza la quale fu il nostro vanto nel 1907 e diede magnifico spettacolo di sé nelle recenti elezioni di Trento, sarà anche nel 1911 la ragione più sicura della vittoria. In secondo luogo aggiungiamo una raccomandazione che veramente andrebbe diretta agli avversari, se avessimo veste di farlo, ma che sottoponiamo alla considerazione nostra, perché ad ogni modo, noi facciamo il nostro dovere. In tutta la campagna evitiamo fino a che è possibile, le recriminazioni personali, le invettive contro i singoli, il pettegolezzo, il fiele che inacerbisce senza dissetare. Ma salvate queste ragioni del buon costume civile, siamo sovrattutto franchi e senza equivoci, combattenti avvezzi a guardare il nemico in faccia e a non ripiegare mai e a non nascondere per alcun patto ed a nessuno costo il più piccolo lembo della nostra bandiera.
40e79305-c425-40c6-89c0-30a3b62566ba
1,911
3Habsburg years
21911-1915
È rientrato in redazione dell’Alto Adige il pseudo frate del 1907. «Ivi si dilettano ancora dei manicaretti fatti in famiglia e si conservano certi metodi di attacco e di polemica che dai giornali che si rispettano sono abbandonati da un pezzo, perché costituiscono una mancanza di riguardo ai lettori e una turlupinatura al pubblico» – (Alto Adige di mercoledì). Invero le disquisizioni del frate non ci fanno né freddo né caldo come è riuscita a poco la quaresima predicata dal foglio di via Dordi nel 1907. In specie le dottrine al clero sul contegno che deve seguire nelle elezioni, dopo le chiare istruzioni dei pontefici e del vescovo diocesano. Ma poiché il signor frate, uscendo questa volta un pochino dalla vecchia biblioteca dello zio prete, cita una pastorale di Mons. Bonomelli , e la vorrebbe mettere in campo contro di noi, applicandola alle condizioni nostre e ci potrebb’essere, non tra i cattolici ma nel mondo equivoco del liberalismo, qualche buon uomo che crede avere il venerando prelato di Cremona dalla sua, abbiamo stamane sfogliata la raccolta delle pastorali bonomelliane e vi cogliamo per oggi tra le moltissime che farebbero al caso nostro, tre citazioni. L’Alto Adige è organo del liberalismo nostrano. Ebbene, che cosa pensa il Bonomelli del liberalismo? Leggete: «È cosa manifesta che il Liberalismo, equivale perfettamente all’ateismo della società in quanto società cioè quanto alle leggi, alle istituzioni, al governo, e a tutti gli atti emanati dall’autorità pubblica. Ben è vero, che per bocca dei suoi più autorevoli rappresentanti esso nega altamente e sdegnosamente di volere l’ateismo e protesta di lasciare pienissima libertà ad ogni cittadino di credere e praticare la sua religione: anzi non è raro il vedere gli uomini stessi di stato, banditori del Liberalismo più largo, adempiere pubblicamente gli atti religiosi, ma in pari tempo dichiarare di far ciò come individui, come liberi cittadini, ma non mai come uomini investiti dei pubblici poteri. La parola ateismo dello Stato naturalmente fa ancora qualche ribrezzo e perciò gli apostoli e i seguaci del Liberalismo hanno molto destramente sostituita un’altra parola, che significa la stessa cosa, ma più garbatamente: è la parola separazione». Non basta. L’Alto Adige anche recentemente riassumendo i principi cavouriani si è sempre mantenuto sull’antica base del liberalismo colle tre famose libertà. Ebbene, mons. Bonomelli scrive: «Tutti quelli, i quali affermano come principio teorico, assoluto, universale, vero per se stesso immutabile, la libertà di pensare e di coscienza, la libertà di culto, o di religione, la libertà di stampa e parola, la separazione della Chiesa dallo Stato, ossia l’ateismo sociale, tutti costoro cadono evidentemente nel liberalismo, condannato dalla Chiesa, contrario non solo alla fede cristiana e cattolica, ma alla stessa retta ragione naturale e a qualunque principio religioso». Ancora: l’Alto Adige s’impanca spesso a criticare Papa e vescovi anche quando si tratta di dottrine, di encicliche e di pastorali. Che ne pensa mons. Bonomelli. Egli scrive: «Questi che si atteggiano a giudici del Pontefice e dei vescovi chi son essi? Sono loro sudditi. Secondo l’ordine naturale ma molto più secondo l’ordine divino stabilito da Cristo, chi può e deve giudicare? Solo il superiore può giudicare l’inferiore ed è principio eminentemente rivoluzionario che l’inferiore giudichi il superiore. Costoro adunque, che si fanno giudici dell’autorità pontificia ed episcopale mostrano col fatto d’essere imbevuti del liberalismo nella sua forma più pericolosa». E ci pare che basti e che i signori dell’Alto Adige siano ben serviti. Se non fosse il caso, li serviremo meglio, tanto per dimostrare come codesti signori, pur essendo liberali, vogliano sfruttare le dottrine cattoliche ed i vescovi per i loro scopi di partito, incorrendo nel più ributtante e nel più vero clericalismo. L’Alto Adige quindi si rassegni: il vescovo di Cremona non può essere invocato come una specie di cappellano della concentrazione liberale con conubbio socialista. Per intanto converrà s’accontentino dello scomunicato don Romolo Murri.
2af615a4-7538-4a55-b60c-418b917facee
1,911
3Habsburg years
21911-1915
La legge elettorale stabilisce che di regola è luogo di elezioni ogni comune locale. Però ove appaia opportuno, sia avuto riguardo all’estensione territoriale, sia al numero della popolazione, il capitanato distrettuale può stabilire che in un comune ci siano più luoghi di elezione e quindi più commissioni elettorali. Non è detto che questo debba venir domandato, tuttavia è bene che coloro i quali desiderassero la divisione di un comune in più luoghi di elezione ne facciano subito domanda a voce o in iscritto al capitanato distrettuale. Non c’è tempo da perdere, perché tale divisione richiede la divisione della lista elettorale comunale in liste di frazione. Richiamiamo su ciò l’attenzione di quei comitati locali che l’altra volta – troppo tardi – si sono lagnati della troppa distanza che dovevano superare gli elettori per giungere all’urna elettorale. Quest’anno converrà tener conto anche delle circostanze di stagione: lavori di campagna e bachi da seta. Preghiamo quindi gli amici di non perdere tempo e di fare subito la domanda. Nel 1907 in ogni comune e in ogni luogo elettorale vennero costituiti i comitati elettorali locali del partito popolare. Noi invitiamo gli amici a riconvocarli per la loro formale ricostituzione. In quei pochi luoghi, nei quali non vennero costituiti nel 1907 si costituiscano ora per le nuove, imminenti elezioni generali. Abbiamo notizia che gli avversari preparano l’attacco anche là, ove le speranze loro non possono essere grandi. Gli amici prevengano queste mosse, ristabilendo subito l’ordine di battaglia. Preghiamo quindi i fiduciari di darci notizia della costituzione, rispettivamente della ricostruzione del comitato locale al più tardi entro il 25 corrente. Quando il comitato resti composto delle persone che già possediamo nell’elenco del 1907, basta una cartolina d’avviso; se invece si fanno modificazioni occorrono i nomi dei membri, costituenti il comitato. Urgiamo che la cosa sia fatta presto, anche perché dobbiamo passare ai comitati delle comunicazioni importanti. La Direzione dell’Unione politica popolare.
420d0286-f701-43ef-85a9-0a69f35bfa13
1,911
3Habsburg years
21911-1915
«L’Alto Adige» di sabato – è per il sabato che si riservano le bombe – sabato che si riservano i zuccherini – pubblicava: Ci s’informa che il noto don Giovanni Chelodi, ex redattore del Trentino e grande propagandista clericale al cospetto di Dio e degli uomini, è stato temporariamente dislocato in cura d’anime a Isera. Come è risaputo, Isera è la sede di quella Lega dei contadini che pareva avesse delle velleità di minare il seggio politico di don Panizza: e la curia vescovile si è affrettata a correre ai ripari col metterle ai panni, come cappellano, uno dei più esperti agitatori politici del partito clericale. E i primi frutti di questa mossa si sono visti ieri a proposito della lettera di dimissioni del vicepresidente della Lega, inspirata a quegli stessi concetti perfino stilistici che avevano guidato l’azione dell’ex giornalista nella campagna del 1907. Dopodiché, se don Chelodi ci farà – direttamente o indirettamente – sapere che egli è affatto estraneo alla cosa e che magari non conosce l’ex vicepresidente della Lega neppure di vista, noi gli crederemo senz’altro sulla parola. Quello che oggi sopra tutto interessa è di salvare il seggio di don Panizza, perché evidentemente don Panizza è la religione e viceversa. E non avrà dunque ragione la Curia vescovile di prendersi a petto la cosa? Noi però ci permettiamo di essere dell’avviso che, quanto a cura d’anime, la Curia farebbe assai meglio a occuparsi – nel vero interesse della religione – di certe porcherie che van commettendo certi preti dal punto di vista nazionale a Luserna e altrove. Ecco per esempio un posto dove don Chelodi, persona indubbiamente dotata di buon fiuto e di retto sentire nazionale, potrebbe fare ottima prova. Ma la Curia non vuole grattacapi. Dove c’è il pericolo nazionale essa è bella e buona di acuire e peggiorare la situazione mandandovi e mantenendovi dei preti dai sentimenti tedeschi e i tipi alla don Chelodi li manda in cure d’anime... per fare la campagna elettorale a favore del partito clericale e a sostegno dei seggi pericolanti di certi deputati impossibili. E si dovrà dire che alla Curia sono minchioni? Ci perdonino i lettori – ai quali forse si sono rizzati i capelli in capo leggendo la prosa del «L’Alto Adige» – ci perdonino i lettori se diciamo tosto che di rado ci avviene di ridere così di gusto come questa volta. La fantasia riscaldata mise «L’Alto Adige» in balia di un ameno informatore che, approfittando dell’esaltazione di lorsignori li prese a gabbo e giocò loro un brutto tiro. L’esaltazione – concediamolo pure – era scusabile. Circa un anno fa sorse in Vallagarina una società che si intitolò «Lega dei contadini». A udire questo nome, si sarebbe potuto immaginare ch’essa avesse lo scopo di aiutare gli agricoltori nei loro interessi. Ma il piccolo credito rurale fu già introdotto da lungo pezzo per opera del clero e dei cattolici. La compera e lo smercio cumulativo del pari; casse rurali, famiglie cooperative, essicatoi, cantine sociali sono istituzioni che ormai esistono e che apportarono agli agricoltori della Vallagarina insigni benefici, dovuti a chi già da lunga pezza dedicò al loro vantaggio tempo, intelligenza, fatiche e ingenti capitali. Che doveva dunque fare la Lega? Una scorsa agli statuti dimostrava ben tosto che non si trattava di società economica, ma di società politica. Il difficile lavoro di organizzare il popolo sulla base economica sociale si lascia volentieri ad altri; quello che importa a certuni è semplicemente di acciuffare il mandato politico. Per riuscire meglio nell’intento si fece così. I popolari – dopo aver liberato il popolo dalla schiavitù economica – istituirono un’Unione politica che, in corrispondenza ai sentimenti dell’immensa maggioranza dei trentini – per quanto riguarda le relazioni fra Chiesa e Stato, si ispira al principio della reciproca armonia. I compilatori dello statuto della Lega dei contadini di Vallagarina pensarono bene di togliere di peso, parola per parola, il rispettivo paragrafo dagli statuti dell’Unione politica popolare e trasportarli nel loro statuto. Così si pensava di acquietare le preoccupazioni e gli scrupoli della buona gente; ma nello stesso tempo si stabiliva che ogni suddito austriaco maggiorenne potesse farsi socio della Lega dei contadini. Per tal modo questa era privata di ogni garanzia e spogliata del duplice carattere di società ispirata a sani principi cristiani e di società composta di agricoltori. La «Lega dei contadini» di Vallagarina nonostante il suo nome e nonostante il paragrafo riflettente le relazioni fra società religiosa e civile, poteva aprire le porte a operai del campo a coloni ed anche ai proprietari; a produttori e a compratori; a popolani e borghesi; a cattolici di buona fede, a liberali e socialisti; a persone di sentimenti italiani, agli internazionali rossi e ai volksbundisti. Essa diventava la vera arca di Noè che dava ricetto a tutti, ai furbi e agli illusi, per marciare alla conquista della deputazione. Così avvenne anche in città. Tutti gli elementi più disparati si raccolsero in quella società dove ben presto i buoni furono in realtà soprafatti e sfruttati da persone che s’infischiano dei sentimenti cattolici e del benessere dei contadini, ma mirano soltanto a far sgabello di costoro per salire al potere. Tosto, il defunto Messaggero, «L’Alto Adige» e il Popolo cominciarono a battere le mani e il tamburo alla nuova Lega. Fino in Italia, per mezzo di una signora amica del Murri, giunse a un convegno tutt’altro che cristiano la lieta notizia che finalmente anche nel Trentino i «contadini» si svegliavano. Quali bubbole si raccontassero nelle conventicole per «svegliare» i contadini e accapparrarsene la fiducia, si può vedere da due fatterelli che scegliamo fra tanti. In un convegno si fece colpa ai deputati popolari di avere caldeggiati e promossi permessi ai soldati nel tempo del maggior lavoro di campagna. Che cosa fanno i soldati in permesso? Diceva l’oratore. Invece che lavorare nei campi ed essere di aiuto alla famiglia, vanno in giro, mangiano, bevono, fanno baldoria, spendono e spandono, meglio sarebbe per le famiglie che fossero restati in caserma. E di chi la colpa? Dei popolari! Un altro casetto tipico. Sapete, diceva l’oratore, che cosa hanno tentato i popolari? Niente meno che di votare cento milioni a fine d’introdurre l’assicurazione generale per la vecchiaia e l’invalidità. Ma non è altro che una trappola. Quei cento milioni con i quali si finge di aiutarvi, sono tutti soldi cavati dalle vostre tasche. E volete fidarvi dei popolari? Bastano questi pochi cenni per conoscere e manifestare che razza di propaganda fosse quella che si faceva fra i soci della «Lega dei contadini» dai mestatori e dagli arruffoni. Che cosa sono quattro milioni per la nuova sede stradale? Esclamava uno di questi. Una bazzeccola! E intanto, mentre pendeva a Vienna il pericolo della nuova imposta sui vini, sembrava che la Lega di Vallagarina non se ne accorgesse e chi dava il tono pensava solo a combattere con quegli argomenti, non si sa se più menzogneri o ridicoli, l’opera dei deputati. Questi invece in comizi, con proteste e coll’opposizione efficace presso il Governo e nella Camera, scongiuravano il pericolo dell’imposta disastrosa. C’è un proverbio che dice: «Contadino, contadino, scarpa grossa e cervel fino». Parecchi galantuomini che si trovavano nella Lega, cominciarono a chiedersi: «Se la Lega vuole la buona armonia fra Chiesa e società, come avviene ch’essa tiene da sé lontani i sacerdoti? Com’è che membri della Lega ne sparlano, li avversano, li combattono, cercano di alienarne anche gli animi dei compagni? Com’è che nella Lega vanno raccogliendosi liberali e socialisti, che, a furia di gridare e maneggiarsi, minacciano di pigliare il sopravvento? Se la Lega è dei contadini, come va che vi entra tutto questo? Qui gatta ci cova. Ci si vuole ingannare e sfruttare: ecco tutto. Gli elogi del Popolo sono sospetti. Non è esso il giornale socialista che, se fedele al suo programma, vuole cacciata la religione dallo Stato e dalla scuola e abolita la proprietà privata? Forse che “L’Alto Adige” è stato mai tenero nei nostri interessi morali o materiali? Non è esso il giornale prediletto di coloro che, finché poterono, ci derisero, ci pelarono, violarono la nostra libertà religiosa e politica? Che cosa vuole dire ora questo correrci dietro? Ah, è troppo chiaro! Si vuole prendersi gioco di noi un’altra volta! È la storia della volpe che invita la gallina a uscire dal pollaio. Esci, cara gallina! Conquistati anche tu la libertà! Ma appena la gallina è uscita, la volpe se ne fa un boccone!». Così ragionarono costoro col buon senso e col buon fiuto di madre natura; e mentre «L’Alto Adige» gonfiava il comizio di Rovereto e annunziava i trionfi della Lega di Vallagarina, il vicepresidente della stessa preparava quella lettera così chiara ed eloquente che pubblicammo venerdì. In essa il vicepresidente che ben può conoscere le cose come stanno, dichiarava che la Lega sorse per astio e rancore contro il clero e i deputati popolari, ch’essa non era Lega di contadini, ma un minestrone di tutto e di tutti; che serviva di strumento a persone avverse alle convinzioni religiose del popolo; che suo unico scopo era la conquista di un mandato politico; e conchiudeva che essendo rimaste vane tutte le sue rimostranze e i suoi sforzi per rimediare a tale stato di cose e volgere la Lega a vantaggio morale e materiale degli agricoltori egli si dimetteva da presidente e da socio. Fu un bell’atto di franchezza e di coraggio, che giunse però molto sgradito ai novelli tutori dei contadini di via Dordi, e tosto se ne videro gli effetti. Ancor venerdì sera l’Alto Adige, in apposito articoletto, se la pigliava colla lettera del sig. Francesco Giordani e con noi. Ma non gli bastò. Sabato tornò alla carica. Conoscendo con quali metodi lavorano di solito i liberali; conoscendo in particolare come si erano abbindolati dei buoni contadini di Vallagarina, attirandoli nella Lega per vender loro favole e carpirne il voto, «L’Alto Adige» pensò che tali metodi fossero in uso anche presso altri partiti e non gli parve vero di poter pigliare due piccioni e una fava: colpire il partito popolare e tirare in ballo la Curia. La Curia, vista l’opera della Lega e visto il pericolo che ne veniva, mandò don Chelodi, ex redattore del Trentino, a fare da cappellano a Isera, e don Chelodi, in esecuzione del suo mandato, si è messo al lavoro e presenta i primi frutti delle sue fatiche nella lettera del sig. Giordani. Come avrà riso anche don Chelodi, o meglio come riderà, quando gli arriveranno sì peregrine notizie nel Trentino di oggi! Egli si fregherà gli occhi, si chiederà se è proprio lui, se ha sognato, se è desto, se non ha patite delle illusioni. Giacché a Isera non andò né lui né altri; anzi don Chelodi già da tempo è lontano un bel po’ dalla politica e dal Trentino, trovandosi all’Istituto di Sant’Agostino a Vienna dove attende agli studi superiori. Com’è giocondo e esilarante l’Alto Adige! «Ci s’informa che il noto don Giovanni Chelodi, ex redattore del Trentino e grande propagandista clericale al cospetto di Dio e degli uomini, è stato temporariamente dislocato in cur d’anime a Isera». Quando si dice essere bene informati! E poter servire un sì bel manicaretto per la domenica ai lettori! Bevi, intelligente e colto pubblico dell’Alto Adige! «Come è risaputo, Isera è la sede di quella Lega dei contadini che pareva avesse delle velleità di minare il seggio politico di don Panizza: e la curia vescovile si è affrettata a correre ai ripari col metterle ai panni, come cappellano, uno dei più esperti agitatori politici del partito clericale» . Sicuro la Lega e l’Alto Adige, suo volontario patrono, parevano avere certe velleità; anzi nutrivano dei desideri e li manifestavano abbastanza chiari; ma la Curia è corsa ai ripari; si oppose ai zelanti apostoli che, per una volta, volevano organizzare i contadini e salvare la religione; a tale scopo, abusando del suo potere, mandò don Chelodi a studiare le decretali, ed ora se ne vedono «i primi frutti». «Dopodiché, se don Chelodi ci farà – direttamente o indirettamente – sapere che egli è affatto estraneo alla cosa e che magari non conosce l’ex vicepresidente della Lega neppure di vista, noi gli crederemo senz’altro sulla parola». Oh, generosi! Non troviamo parola per esprimervi la nostra gratitudine! La quale si estende – naturalmente – anche agli altri elogi che fate della Curia. Certo, essa è la più grande nemica dell’italianità del nostro paese e la più terribile alleata dei nostri avversari. Lo sanno parecchi dei vostri uomini ed è noto a tutto il mondo che il clero rovinò Fassa e Folgaria, tanto contrastate e combattute. È ora, è ora di mettere a posto la Curia che danneggia la religione, mentre l’«Alto Adige» ne è così sollecito e dovunque trova modo di aiutarla, corre senza indugio, sia che si tratti di fare la reclame al Murri, sia che pericoli la rappresentanza cattolica della Città del Concilio, sia che alcuni preti tentino di fuorviare i contadini, sia che il vescono non si diporti a dovere, sia che il Papa scriva encicliche sciagurate o voglia opporsi a quei buoni cristiani di Combes, Clemenceau, Briand e Canalejas. Ma c’è l’«Alto Adige» che veglia, che è informato e che fin d’ora si adopra a tutt’uomo perché le elezioni parlamentari non piglino l’aspetto di lotta pro e contro il «clericalismo». Possiamo dormire tranquilli!
f0b2a3aa-c154-4746-9943-8f0fd51088e6
1,911
3Habsburg years
21911-1915
C’è ancora la breve tregua di Pasqua: poi incomincia la nuova campagna elettorale. I nostri avversari politici gireranno i collegi e ricompariranno nei paesi che non li hanno visti da quattro anni. Si terranno comizi, adunanze, si faranno dimostrazioni. Sarà bene quindi ripetere agli amici un avvertimento che nel 1907 non venne sempre seguito. Ognuno per la sua via! Il miglior lavoro è quello preventivo e positivo. Organizziamo prima e ricostituiamo i comitati locali. I comitati s’affrettino poi a convocare gli elettori del luogo, in specie i più influenti. Nell’adunanza si faccia prima d’ogni altra cosa un’affermazione di principi e di disciplina. Si tratta sovratutto della posizione che deve mantenere o guadagnare il cristianesimo nella vita pubblica, e dei rapporti giuridici e pratici che l’attività costituzionale stabilisce fra la Chiesa e lo Stato. S’armino poi gli elettori contro le più note e prevedibili obiezioni degli avversari e s’istruiscano sopra il programma ed il lavoro del partito popolare. A tal uopo l’Unione politica ha provveduto e provvederà meglio con pubblicazioni convenienti. Chi possiede la raccolta dell’Elettore ha già del resto a disposizione un materiale sufficiente. Badino dunque gli amici a prevenire piuttosto che a contrastare gli avversari, ad educare e rafforzare la coscienza politica dei propri piuttosto che a perdere il tempo cogli altri per la maggior parte mossi da preconcetti e da animosità irreduttibili. Avvertano poi di far possibilmente da sé e di non contare troppo sui propagandisti della centrale. Siamo in pochi, ed il campo è troppo vasto. E questi pochi bisogna che siano a disposizione sui punti più deboli o più importanti, senza venire distratti da vane paure di chi si lascia cogliere all’improvviso o da mosse calcolate degli avversari. Raccomandiamo anche vivamente la diffusione della nostra stampa. L’abbonamento elettorale del Trentino offre un’ottima occasione per la propaganda. Così, amici, augurandovi le buone feste intendiamo aggiungere l’eccitamento ad una nuova riscossa, resa necessaria dallo scioglimento della Camera e dalla lotta che i nostri avversari intendono rinnovare. Al piccone demolitore del radicalismo opponiamo la compagine agguerrita della democrazia cristiana.
adc9e5fe-36e4-4257-abea-d49df40ca12c
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Le questioni religiose... non hanno nulla a che fare colla politica e colle elezioni («Alto Adige», 29-30 aprile 1911). Giorni sono, «L’Alto Adige» era in dulci iubilo . Che era successo? Il cardinale di Salisburgo, il Principe vescovo di Trento e il Principe Vescovo di Bressanone avevano pubblicato in data 22 aprile una lettera al clero tirolese, ammonendolo sul contegno da tenersi nelle prossime elezioni. Come è noto, il clero tirolese è diviso in due campi: il conservatore e il cristiano sociale. L’uno e l’altro professano i principi cattolici e il dissidio è meramente politico. Non per questo esso è meno dannoso, tanto più che i conservatori negano ai cristiani sociali il carattere di cattolici, anzi fanno di ciò l’accusa capitale, che trae con sé appassionati conflitti, scoppiati qualche volta anche in pubblico fra sacerdoti e sacerdoti. Le ultime elezioni della val Venosta offrirono in questo riguardo uno spettacolo miserando, atto a scuotere nelle popolazioni il sentimento religioso e la fiducia nel clero, con grande gioia dei socialisti tedeschi che si pascevano e s’impinguavano di sì tristi discordie. Per evitare nuovi screzi, nuovi scandali e nuovi danni, i tre Principi della Chiesa sopra nominati si raccolsero poco fa a conferenza fra di loro e coi rappresentanti dei due campi avversari, ma ogni tentativo di pacificazione fu inutile. Allora il principe vescovo di Trento, che invano aveva fatte proposte concilianti e invano aveva inculcato ai conservatori che anch’essi potevano ben fare il sacrificio richiesto, prese in ultimo la parola, dichiarando che nella sua diocesi non avrebbe tollerato che una parte dei cattolici sinceri venisse designata dall’altra parte come infetta di modernismo, infida e pericolosa. Con queste dichiarazioni egli esprimeva anche il pensiero degli altri due Presuli e ciò veniva nuovamente confermato dalla lettera al clero, accennata da principio, nella quale, con richiamo alle disposizioni del Concilio provinciale di Salisburgo sui dissidi fra cattolici, si danno al clero delle norme di condotta e precisamente si proibisce: 1. Che nelle adunanze sacerdoti parlino e combattano contro sacerdoti; 2. Che i sacerdoti in pubblico, e specialmente nelle adunanze pongano o discutano certe questioni toccanti il campo religioso, come per es. se i seguaci del partito opposto abbiano il retto sentire cattolico, questione che i vescovi dichiarano di loro competenza. Da questa esposizione balzano chiari i seguenti fatti: 1. che si tratta di una discordia fra cattolici, di cui gli uni e gli altri riconoscono in tutta la sua ampiezza l’autorità della Chiesa, tanto che i Vescovi possono chiamarli dinnanzi a sé per tentare una composizione e, se questa non riesce, dare dei comandi o delle proibizioni per mitigare la lotta; 2. che i Vescovi, riconoscendo negli uni e negli altri dei figli sinceri e devoti, divisi solo da diversi indirizzi politici, proibiscono che sia messo in dubbio il retto sentire cattolico delle parti contendenti. Ed ora vediamo che razza di commenti l’Alto Adige ricama su questo sfondo e quali conseguenze ne trae. L’Alto Adige fa l’applicazione delle condizioni dei tedeschi al Trentino, dove, grazie a Dio, nulla di simile si può neanche lontanamente osservare. Qui da noi non si combatte fra cattolici e cattolici, ma fra cattolici, liberali e socialisti. Da una parte chi, anche nella vita pubblica, professa i principi cristiani e riconosce l’autorità della Chiesa in materia di matrimonio, di scuola e in generale nelle relazioni fra Chiesa e Stato, dall’altra chi plaude a Canalejas, a Valdec, Rousseau, a Combes, a Briand; da una parte chi accoglie riverente la parola e gli atti del Papa, dall’altra chi trova sciagurata l’enciclica su San Carlo Borromeo ed esilarante la scomunica del Murri; da una parte chi non vuol aver da fare cogli scomunicati, dall’altra chi fa loro la reclame; da una parte chi difende l’istruzione e l’educazione religiosa, dall’altra chi non si perita di ospitare nella sua stampa il vieto frasario dei «pallidi dogmi» e del «potente materialismo vivificatore d’ogni cosa». Fra questi due campi i Vescovi non sono mai intervenuti e – può stare tranquillo l’Alto Adige – non interverranno giammai a proibire che si qualifichino come avversari della gerarchia e nemici della religione quelli che, una e l’altra, più o meno apertamente, più o meno assiduamente, più o meno perfidamente o trascurano o mettono in seconda linea o combattono. Tutt’altro! Essi inculcheranno ai cattolici, come fecero in tanti scritti coi quali seguirono l’esempio di Leone e di Pio: Clama, ne cesses; exalta quasi tuba vocem tuam! «L’Alto Adige» che ha voluto entrare in sacrestia ci scuserà il latino; esso significa: «Grida! Non cessare! Fa squillare come tromba la tua voce!» Su quei bei fondamenti – di scambiare i liberali e i socialisti con buoni cattolici scissi unicamente da ragioni estranee all’ambito religioso – l’Alto Adige trae la sospirata conclusione che la religione non ha da fare colla politica, che anche i Vescovi finalmente lo riconoscono, e che forse, chissà?, anche il Trentino vorrà convertirsi o un pochino migliorarsi . Ma bravo! Ma bene! E dire che troppe volte, quando ci occupiamo di questioni religiose, ci siamo tirati per i capelli dall’Alto Adige. Così oggi. Noi non avevamo nessuna intenzione di occuparci né delle discordie dei cattolici tedeschi, né delle gravi parole rivolte dal nostro Vescovo ai conservatori, né della lettera collettiva al clero di un’altra terra e di un’altra nazione; ma, signori no! «L’Alto Adige» continua a stuzzicarci una, due, tre volte e si meraviglia che stiamo zitti e ci costringe ad aprire la bocca. Accontentiamolo dunque! E perché il suo desiderio sia interamente soddisfatto, aggiungiamo al già detto, qualche cosa, a mo’ di zuccherino. L’Alto Adige vuol dipingere i Vescovi come severi fautori della completa separazione fra questioni pubbliche e religiose. Ebbene: proprio in quello stesso punto del Consiglio di Salisburgo , donde prendono le mosse i Vescovi nella lettera al clero tedesco, punto che tratta «de ratione agendi circa res politicas» – Del modo di contenersi negli affari politici – il Concilio dice: «Vi sono certuni che affermano il clero non aver da dir parola nelle cose politiche, e che a tale scopo si richiamano alle parole di San Paolo Nemo utilitans deo, implicat se negotiis saecularibus. Ma siccome assai di frequente le cose politiche si mischiano nelle divine, e nei pubblici corpi si fanno leggi contrarie ai precetti divini e molte leggi esercitano oltre a ciò un forte influsso sulla vita cristiana, il sacerdote non può assolutamente negligere tali questioni politiche che toccano la salute delle anime...». E dopo aver ampiamente svolto e confermato con gravissima autorità tale principio i Vescovi nel detto Concilio sanciscono che «il sacerdote non deve essere indifferente nelle questioni politiche, stante il loro molteplice nesso colle cose spirituali e col benessere del popolo e della patria». E infine stabiliscono che cosa debba farsi quando i dissidi politici scoppiano tra gli stessi cattolici (quelli cioè che non sono tali solo per l’acqua del battesimo e per qualche pratica religiosa nella vita privata, ma per il riconoscimento pieno e completo della Chiesa e della sua autorità nella vita privata e nella pubblica) ed hanno le norme generali, donde discendono i provvedimenti e le proibizioni contenute nella recente lettera donde prendemmo le mosse. Se «L’Alto Adige» vuole che tali provvedimenti valgano o vengano presi anche nel Trentino, non ha da fare che un passo molto semplice. Pigli la sua raccolta sotto il braccio e, con cuore sinceramente contrito, si presenti a un buon confessore (si guardi dunque dall’io frate che non farebbe al caso), giacché il Concilio di Salisburgo nel luogo citato, dice altresì che chi nelle cose pubbliche lede i mandati di Dio e della Chiesa non può conseguire il perdono se non dalla Chiesa nel tribunale della penitenza. Confessatosi, si rechi dal Vescovo, ritratti dinnanzi a lui e dinnanzi ai cattolici tutto ciò che riuscì di scandalo – irriverenze al Papa e ai Vescovi, approvazione e simpatie per la scuola laica e per il divorzio, bugie, calunnie ecc. ecc.; protesti solennemente di voler essere un figlio sincero e obbediente della Chiesa, del Papa, del Vescovo e poi... E poi noi lo tratteremo come fratello e se fra noi vi saranno differenze nuovamente politiche, ce le accomoderemo colle buone e ci rimetteremo a un arbitro, magari, se gli piace, al Vescovo, le cui parole ai tedeschi – naturalmente storpiate e travisate – egli ebbe a salutare sabato scorso «con piacere». È d’accordo? Su, coraggio! La Pasqua veramente è passata; ma è sempre tempo di convertirsi. Noi lo aspettiamo per animarlo; lo assicuriamo che il clero e i cattolici trentini in quello che fanno e non fanno sono in perfetta armonia colle autorità ecclesiastiche loro preposte, né hanno da rimproverarsi alcuna disubbidienza. Tanto per togliersi gli scrupoli e contribuire col buon esempio alla sua conversione!
21b70fa7-dedb-454b-bc02-41b332fe3b4b
1,911
3Habsburg years
21911-1915
«... gli altri partiti politici – i liberali e i socialisti – non devono essere considerati come cattolici; essi valgono oramai come eretici o infedeli, in ogni caso come gente perduta...». Così ci chiede l’Alto Adige, 2-3 maggio 1911 . Ricordo d’aver letto recentemente nel Popolo un articolo di fondo, il quale voleva essere una risposta alle osservazioni fatte dal Trentino allo stesso Popolo che a sua volta annunziava come qualmente in occasione delle imminenti elezioni i socialisti trentini si recheranno nei nostri 900 comuni a portare la parola buona. In quella risposta il Popolo annunziava tra il resto che avrebbe smascherato i clericali se avessero attaccato i socialisti come poco teneri della religione. Mondo proletario! Ho esclamato fra me, che quel tal signor Io frate di burattinesca memoria sia trasmigrato da casa Alto Adige a casa Popolo? Senonché le mie supposizioni erano errate. L’io frate ancora una volta in quel torno di tempo declamò trionfante la sua predica dalla bigoncia della cappella che «L’Alto Adige» tiene in casa sua a disposizione di tutti quei frati che sono più o meno avversari dichiarati della politica ecclesiastica di Merry del Val , delle sciagurate encicliche papali, delle esilaranti scomuniche, dei pallidi dogmi e di non so quante altre diavolerie d’impronta cattolico-romana. Ciò non toglie però che i liberali non sieno dei bravi e buoni cattolici e anatema a chi avrà la tolla di dubitare della loro ortodossia e della loro fedeltà alla Chiesa ed al suo Capo supremo, al Vicario di Cristo in terra. Lo dice «L’Alto Adige» del 2-3 maggio corrente, lo ha detto non so quante altre volte, quando gli tornava conto di dirlo. E chi non è persuaso? Ma c’è un altro partito che, secondo «L’Alto Adige» (numero citato) deve esser tenuto in conto di cattolico, ortodosso e fedele. È il partito socialista. E chi non crederà all’Alto Adige? Di fornire le prove s’incarica il partito socialista stesso. Eccone alcune di recentissime: spigolate a caso: La Direzione del partito socialista italiano ha tenuto nello scorso marzo alcune adunanze a Roma, e precisamente in quella del giorno 21 ha preso fra le altre anche questa determinazione: «La Direzione invita le sezioni, onde provvedano a che gli ascritti al partito socialista, in occasione del prossimo censimento, rispondano alla domanda: A che religione appartenete? Con le parole: A nessuna». I deputati sono naturalmente i rappresentanti genuini delle idee dei partiti. Ebbene 31 deputati socialisti che facevano parte dell’or ora sciolto Parlamento austriaco, si dichiararono alieni da qualunque confessione religiosa, ossia atei. Buoni cattolici fedeli ed ortodossi sono anche un Piscel, che si dichiarò calvinista ed un Frisanco, che apostatò clamorosamente dalla fede cattolica. La vignetta poi che si ammira nel numero del primo maggio dell’Avanti! è tutta ispirata a sentimenti di cattolicità, di fedeltà e di ortodossia. Vi si ammirano un uomo ed una donna del popolo legati con una grossa catena che si trascinano dietro una pesante palla di piombo che dovrebbe significare la Chiesa cattolica su cui è raffigurato seduto sconciamente un pupazzo con in testa la tiara ed in mano il pastorale che vorrebbe rappresentare papa Pio X. Sotto la vignetta, a spiegazione di chi non la comprende è stampato: «Finché trascineremo questa palla di piombo non saremo che bruti». Avete capito? I cattolici sono dei bruti, sono bestie secondo l’organo massimo del socialismo italiano. Siccome è logico credere che i socialisti non vogliono essere bestie, così è pure logica la conclusione che i socialisti non vogliono essere cattolici, dal momento che cattolico e bestia per loro sono sinonimi. Io argomento così, ma voi, buoni lettori, se meglio vi piace, credete pure all’Alto Adige, credete pure che anche i partiti liberali e socialisti sono dei buoni cattolici, fedeli ed ortodossi. «I contadini aprono gli occhi» L’ho letto il titolo nell’«Alto Adige» u.s. e non ho saputo resistere alla tentazione di imparar a conoscere in qual maniera i contadini che improvvisamente, quanto inaspettatamente, formano la pupilla degli occhi dell’«Alto Adige» che per il solito non è tanto tenero degli interessi del popolo basso (leggere gli articoli che vi scrisse a suo tempo il d.r Bertolini per persuadersene) hanno aperto, o meglio aprono gli occhi. Apro dunque anch’io gli occhi, dò una scorsa all’articoletto, ma ve lo garantisco, giunto alla fine non sapevo credere ai miei occhi. I contadini, dunque, secondo l’Alto Adige, che aprono gli occhi e che accompagnano questo importante fenomeno sono i seguenti: (notate che li prendo dall’Alto Adige citato). Dopo aver costatato che appena prese la parola il d.r Mattei (l’articoletto, l’avevo dimenticato, si riferisce al contraddittorio che tenne il d.r Mattei a Ponte delle Arche) «si scatenò un temporale, che minacciava per bene il signor Mattei» l’«Alto Adige» prosegue: «i contadini giudicariesi ben capirono dove voleva andare a finire (il d.r Mattei) anzi che non intendeva più finire e ciò a scopo ostruzionista, e incominciarono a urlare, fischiare, e mandare invettive al di lui indirizzo». Ho capito adesso quali fatti strani accompagnano il fenomeno dell’apertura degli occhi. E notate che aprir gli occhi, significa liberaleggiare. Se dunque i contadini quando cominciano a liberaleggiare sanno già far scatenare temporali minacciosi urlare, fischiare e mandar invettive, che cosa sapranno fare questi contadini quando avranno aperto gli occhi del tutto, cioè quando saranno regolarmente immatricolati nel partito liberale? Congratulazioni a «L’Alto Adige» per i progressi che fanno i contadini del suo cuore. L’italianità dei socialisti In questi tripudi cinquantenari dell’Italia unita non è raro udire giornali sovversivi a gridar la croce sui cattolici, come nemici della Patria. Grido stupido, che non ha nemmeno il pregio della novità, perché già ai tempi di Nerone, gli anticlericali di quei tempi gettavano i cristiani in pasto alle belve come nemici dell’Impero. Certi giornali passano, anzi, il segno e inneggiano al re Bissolati dopo aver gridato: abbasso il re, è salito da lui in Quirinale per salameleccarlo e sentirsi salameleccare. Una meraviglia profetata già da Orazio quando vide avvoltoi e colombe nidificare insieme. Senonché la volpe perde la coda e conserva i vizi. E tanti socialisti, appunto non possono dimenticare che il re è perlomeno borghese, Giolitti anche, l’Italia d’ora anche e quindi protestano che loro il cinquantenario borghese lo respingono, si appartano e fanno parte per loro stessi, come Dante di felice memoria. A Firenze, per esempio, ha deciso così. A Napoli ancora e così via. L’Avanti! poi del primo maggio tripudi addirittura coi «festaiuoli» del vicino Regno. Vedere la vignetta che, sotto il titolo «Il primo maggio e il cinquantenario» pubblica l’Avanti precitato. Vi si ammirano due sconce figure d’uomo dalle stigmate di alcolizzati all’ultimo stadio e sotto si leggono queste parole: «belle le feste del Cinquantenario. Ma fra tanta orgia di drappi e di bandiere, noi, siamo sempre laceri». E dire che il Popolo accusa la Voce cattolica di lesa nazionalità, perché un padre di famiglia protestò nel Trentino contro certe sconcezze che vennero affisse sulla cantonate all’ammirazione del pubblico maturo ed immaturo! E i liberali nazionali di Trento corrono a deporre la scheda per simili patriotti! Marx in soffitta Non ve l’ha cacciato il borghese Giolitti, ma furono i socialisti che lo relegarono lassù fra ricchi e abbondanti festoni di ragnatele. E sembra che ai socialisti non passi neppure per mente il pensiero di una doverosa riparazione allo sfregio recato al venerato nonché venerabile maestro, a colui che nel Capitale si rivela nemico acerrimo del capitale. Infatti si ha notizia da Praga che il d.r Leo Winter e compagni non hanno saputo resistere alla tentazione delle borghesi Tantièmes ed hanno già presentato alla Luogotenenza lo statuto di una futura Banca che porterà il nome di «Dernicka Banka». Evidentemente l’ex deputato socialista di Smichow, non ha saputo sottrarsi alle conseguenze ataviche della sua gloriosa stirpe ebraica. Lo statuto della progettata banca socialista non è per nulla dissimile da quello delle solite banche borghesi fatta eccezione di qualche termine, che nell’interesse della democrazia venne democratizzato. Al posto della dicitura: il consiglio amministrativo della Banca avrà le sue Tantièmes, troviamo che la parola tantièmes è sostituita dal vocabolo rimunerazioni, vocabolo che ha il pregio di essere meno aristocratico e meno esposto alle sorprese della finanza. Ma la democrazia nel precitato statuto ha subito un’altra lieve modificazione che la farà progredire a gran passi verso la sospirata eguaglianza universale. Non tutte le costituzioni sono simpatiche ai socialisti. È cosa certa, tanto più che quando si facevano le prime, i socialisti erano ancora di là da venire. La costituzionalità è quindi roba che puzza di borghese quindi l’infrangimento delle sue pretese è opera meritoria per la democrazia genuina. Il consiglio amministrativo della futura Banca socio giudaica non è composto soltanto di persone scelte dall’assemblea generale, ma anche da due membri che sono assunti per coopzione! Storia vecchia! Il principio democratico cessa là dove fa capolino il banchiere rosso, come nel 1871 la furia omicida dei comunardi giunta a palazzo Rotschild si tramutò di punto in bianco in un plotone di polizia a tutela del «sacro diritto di proprietà privata». Intanto Marx lassù in soffitta, di tra i ragnateli guarda e tace. Sentinella
839eb960-fbbc-4ef9-88de-d32576a73b5c
1,911
3Habsburg years
21911-1915
L’ostruzione slava, favorita dal partito socialista internazionale, ha rovinato il Parlamento. Restarono così sospesi molti lavori legislativi riguardanti l’assicurazione sociale, la ferma biennale, la riforma tributaria, la facoltà italiana, le nostre tramvie e tanti altri provvedimenti che i deputati avevano avviato ed il popolo attendeva. La riforma tributaria doveva mettere a disposizione delle diete nuovi denari per costruire strade, regolare acque, promuovere l’agricoltura e l’industria. Sentiamo quindi tutti direttamente o indirettamente le conseguenze del ritardo e dell’arrestarsi della macchina parlamentare. Ma più tristi sono le conseguenze per il nostro paese, lontano dai grandi, che comandano e governano. Per noi in modo particolare l’assolutismo vuol dire abbandono, talvolta oppressione. Noi abbiamo bisogno più che mai di provvedimenti legislativi che aiutino le nostre iniziative locali, abbiamo bisogno d’una tribuna libera per difendere gli interessi del nostro popolo, l’esistenza e la dignità della nostra nazione. Ne abbiamo il bisogno ed il diritto! Elettori! Dimostrate quindi con la scheda in mano, ai 13 giugno, che voi volete un Parlamento il quale viva e lavori, che sciolga finalmente le questioni sociali più urgenti e che faccia giustizia a tutte le nazioni! Non la parola del nostro paese sarà in ciò decisiva, in mezzo al conglomerato dei popoli austriaci, ma è utile, è necessario che la ferma espressione della nostra volontà si associ a quella di tanti altri di ogni nazione. Vogliamo un Parlamento democratico che lavori per il popolo, non l’assolutismo militarista ed accentratore. Le elezioni sono però inoltre un atto di valore morale. Anche nel nostro paese si constatano diverse tendenze dello spirito e cozzano l’uno contro l’altro opposti concetti della vita pubblica. Ora noi non vi chiediamo che un atto di sincerità e di franchezza: giudicate della vita pubblica come giudichereste della vita privata. Pensate dello Stato come pensate della vostra famiglia e, come elettori e cittadini, esprimete la stessa volontà che manifestate come padri di fronte all’avvenire dei vostri figli. Il Trentino è un paese profondamente cattolico. Le sue istituzioni sono cresciute col vigore dei principii cristiani, le sue opere e le sue glorie sono fasti della civiltà cristiana e latina. Come il suo passato, come il suo presente, vogliamo che il suo avvenire rimanga cristiano e romano. Di fronte allo Stato colle sue leggi e la sua scuola, di fronte al governo civile nei rapporti colla Chiesa e con le società religiose, affermiamo il nostro fermo, irremovibile volere che il Trentino sia un paese cattolico. Elettori! Date perciò il vostro voto a coloro che non lasciano dubbi sul proprio indirizzo su tali questioni, memori che anche il solo cullarsi in equivoci, l’abbandonarsi all’indifferenza o a condiscendenze colpevoli ha portato ai cattolici d’altri paesi enormi delusioni, in qualcuno la perdita della libertà di fronte allo Stato ateo e monopolizzatore. Per noi trentini tale manifestazione cristiana è anche un atto di riconoscenza doverosa ed una garanzia dal punto di vista nazionale. L’albero della nostra vita italiana non disseccò nonostante le insidie sotterranee di tanti secoli o gli uragani che vi scatenò sopra la potenza degli stranieri, perché aveva messo radici nel terreno reso fertile e fecondo dalla Chiesa di Roma. E se oggi e domani e nei tempi venturi quest’albero, come fermissimamente vogliamo, dovrà rifiorire e prosperare, trionfando sopra nuove insidie, sarà perché le vecchie radici potranno suggere dal terreno l’antico vigore, rinnovato dalla fede della nostra generazione. Cattolici trentini, date la vostra fiducia a coloro che rappresentano nel programma e nei fatti tale tradizionale e indissolubile fratellanza fra la religione e la patria. Elettori! Domandandovi di nuovo il voto per i candidati del partito popolare, sappiamo di poterlo fare a fronte alta e con coscienza sicura! Il nostro partito vi ha avvezzi, fin dal suo nascere a non sperare troppo dal Governo, dal Parlamento, dai poteri politici, ma a confidare sovra tutto su voi stessi, sulla cooperazione delle forze vive del nostro paese. Per tale principio è sorta la fiorente e magnifica organizzazione economico-sociale del Trentino. Tale principio ci serva di guida anche per l’avvenire. Ma la politica deve aiutare il movimento ascensionale del popolo, la legislazione deve favorire i nostri sforzi di risorgimento. Questo abbiamo detto nel 1907 e questo abbiamo mantenuto. Nessuna deputazione nel passato fece tanto lavoro, s’interessò così dappresso dei bisogni del popolo quanto la deputazione popolare. Sotto il suo impulso vennero inaugurati nuovi lavori idraulici e nuove strade per milioni di spese; si sciolsero i vecchi problemi scolastici e sanitari, si votarono nuovi fondi per l’agricoltura e la pastorizia, si sovvenzionarono le società economiche, si assegnarono nuovi contributi contro i danni elementari e la pellagra, si ottennero alleggerimenti del servizio militare. Se le grandi leggi riguardanti l’assicurazione sociale e la ferma biennale non giunsero ancora in porto, non se ne potrà certo dar colpa ai rappresentanti del piccolo Trentino, i quali non seppero superare difficoltà che furono insormontabili per partiti di gran lunga più potenti! Molto meno si potrà loro rimproverare la mancata esecuzione delle progettate tramvie e la restituzione della facoltà italiana, quando si siano seguiti i loro sforzi incessanti, la loro opera infaticabile per raggiungere la meta voluta. La fatalità che sovrasta sempre al Parlamento austriaco in continua burrasca ha rimandata coi nostri la soddisfazione di postulati caldeggiati da popoli ben più forti. Ma anche in tali opere, la bontà del metodo, l’abilità e la costanza dell’azione dei deputati popolari ci persuadono a rinnovare loro il mandato ed affidare a loro il compito di condurre a termine l’opera bene incominciata. Elettori! Amici! Ci avviciniamo al periodo ultimo e decisivo della campagna elettorale! Avversari antichi ed altri, rivestiti di maschera nuova, tentano di contrastare la vittoria al partito popolare. Noi attendiamo fermissimamente che voi vi raccogliate di nuovo sotto la gloriosa bandiera del 1907 e con votazione compatta e solenne vogliate ripetere innanzi ai nemici esterni ed interni il vostro moto trionfale: cattolici, italiani, democratici! I candidati del partito popolare sono: Collegio anaune-solandro: D.r Rodolfo Grandi Collegio rurale di Vallagarina, Rovereto, Ala: Germano De Carli, Docente al Consiglio dell’Agricoltura Collegio di Valsugana: Sac. dott. Guido de Gentili Collegio di Fiemme, Fassa, Primiero, Civezzano: D.r Alcide Degasperi Collegio Sarca, Trento, Fersina: Albino Tonelli Collegio di Giudicarie, Ledro e distretto di Arco e Riva: Mons. Baldassare Delugan Collegio Mezzolombardo, Lavis, Cembra: D.r Enrico Conci
c396afc8-9865-40b6-adab-b53891763d4a
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Il Popolo di stamane ha la disinvoltura di stampare quanto segue: «Dimmi chi ti guida e ti dirò che sei. La bussola che può senza tema di sbagliare, essere adoperata per giudicare se questo o quel candidato, se questo o quel deputato farà o non farà l’interesse della grande maggioranza della popolazione, appartenente alle classi lavoratrici, anche quando tale interesse viene in contrasto con quello dei dominanti e delle classi signorili, è molto facile a trovarsi. Guardate da chi un deputato vien scelto, da chi viene influenzata la sua condotta e da chi egli attende d’essere approvato ed eventualmente riproposto per la rielezione» . E il trafiletto continua affermando che i liberali vengono proposti da quattro signori nei caffè, e i candidati clericali dai... vescovi, mentre i socialisti vengono designati dalla massa proletaria! Il Popolo specula evidentemente sulla corta memoria dei suoi lettori. Gliela rinfrescheremo noi. Il 30 agosto 1910 il deputato socialista on. Avancini dimette il mandato perché si trova in disaccordo con la classe operaia della quale egli si riteneva fiduciario, e coll’indirizzo politico-economico dell’Avvenire del lavoratore. (Vedi lettera delle dimissioni, pubblicata nel Popolo). Terminava anzi molto pateticamente augurandosi che alla classe lavoratrice di Trento la sua ritirata e l’oblio della sua persona non abbiano a ridondare che di vantaggio. Le dimissioni vennero accolte dalla «classe lavoratrice» colla massima indifferenza. L’organo ufficiale anzi, l’Avvenire, ne prese nota con piacere. Ma così non piaceva ai veri padroni del partito socialista, i capoccia ebrei di Vienna . Istituirono questi una commissione con poteri dittatoriali, che i dissidenti chiamarono subito Sant’Uffizio viennese. Il Sant’Uffizio viene e dai 27 ai 31 ottobre sovverte tutta l’organizzazione socialista. Esclude il Segretario trentino del lavoro e la Camera come anarchici, s’impadronisce dell’Avvenire, e fa ritirare all’Avancini le dimissioni, affidandogli di nuovo il mandato della città di Trento. La seduta decisiva viene inscenata con una celerità napoleonica. La sera dei 31 ottobre si convoca la commissione esecutiva del partito. Votano perché Avancini ritiri le dimissioni Piscel, Battisti, Pittaco, Marchi, Nardelli, cinque in tutto di cui tre non appartengono al collegio elettorale di Trento ed uno vi è capitato di fresco. Votano contro quatttro rappresentanti delle organizzazioni operaie trentine. Vi è dunque solo la maggioranza di uno perché Avancini rimanga deputato, e tale maggioranza è possibile solo perché ci sono parecchie assenze. Tale maggioranza si raggiunge, dopoché i viennesi Ellenbogen e Dworacek, aiutati dal triestino Pittoni, hanno manifestato in modo da non ammetter dubbi, l’attaccamento della centrale all’on. Avancini. Ed ora giudichiamo pure secondo la bussola del Popolo. In quale partito si distribuiscono o si riconfermano mandati con un più sovrano disprezzo degli elettori? Guardate pure la bussola, signori socialisti: essa segna verso Nord, Sant’Uffizio viennese!
9b576931-018f-44de-8d55-d06bdc489969
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Poche settimane ci separano ancora dal 13 giugno. E c’è fra gli amici qualcuno ancora che dorme? Non vi cullate nella speranza che gli avversari tengano le braccia incrociate. I socialisti battono la campagna, diffondendo le loro dottrine e confondendo le coscienze. Il loro spirito rivoluzionario li fa ribelli anzitutto alla verità. Si travisano i fatti e si mentisce allegramente. Conviene controllare i demagoghi e contrapporre alla menzogna la realtà delle cose. Non è solo del voto che si tratta, ma soprattutto dell’educazione politica del popolo. Ognuno nel proprio paese, nella propria cerchia di amici provveda a quest’opera di contromina. Bisogna pensare non semplicemente all’effetto d’oggi, ma a quello che rimane per l’avvenire. Anche i liberali accarezzano speranze di riscossa. È imminente la proclamazione dei loro candidati nei collegi rurali. Non è con la forza del loro programma che si presentano, né vale per loro il richiamo a meriti che non esistono. Ma essi in qualche luogo sperano sulle personali aderenze del candidato, in qualche altro speculano sullo spirito campanilista. Altrove, per mettere confusione, acclamano colui che fino a ieri maledivano. S’aggiunge questa volta un nuovo partito, composto di profughi di vari partiti, ma anzitutto di liberali, che sotto bandiera agraria cercano di allargare le basi ad una nuova organizzazione anticlericale. Lo spirito dei capi è manifesto: non combattono i liberali o i socialisti, combattono i preti ed il partito popolare. Molti illusi li seguono, perché non capiscono. È necessario che ciascuno nella propria cerchia colla propaganda spicciola affronti e dissipi ogni equivoco. Anche qui non si tratta precipuamente del voto di giugno, ma dell’avvenire. Altre tendenze si manifesteranno, o pare si rivelino in qualche collegio. Il partito popolare dovrà combattere anche questa volta su tutte le fronti. Per i liberali siamo cattivi italiani, per altri invece siamo troppo nazionali, tanto che s’invoca il candidato volksbundista. Per i socialisti siamo gli agrari affamatori, per i leghisti siamo invece i nemici dei contadini. La verità è che siamo l’unico partito che abbia un programma chiaro e preciso, l’unico partito che ha lavorato e lavora per il popolo. I fatti vinceranno anche questa volta sulle chiacchiere. Solo è urgente che non ci assopiamo in una sicurezza ingannatrice. L’essere noi dalla parte della verità non ci dispensa dal propugnarla e difenderla. Nonostante la fiacca che ognuno attendevasi per questa elezione precoce, nonostante i lavori agricoli e le assenze degli emigrati, il partito popolare deve uscire dalle urne del 13 giugno compatto e trionfante! I candidati del partito popolare sono: Collegio anaune-solandro: D.r Rodolfo Grandi Collegio rurale di Vallagarina, Rovereto, Ala: Germano De Carli, Docente al Consiglio dell’Agricoltura Collegio di Valsugana: Sac. dott. Guido de Gentili Collegio di Fiemme, Fassa, Primiero, Civezzano: D.r Alcide Degasperi Collegio Sarca, Trento, Fersina: Albino Tonelli Collegio di Giudicarie, Ledro e distretto di Arco e Riva: Mons. Baldassare Delugan Collegio Mezzolombardo, Lavis, Cembra: Dottor Enrico Conci
c6c42b6d-9da8-49fe-9470-5e26974d6cfe
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Di solito i liberali non limano molto i pavimenti delle chiese. La cosa però cambia aspetto in tempo elettorale. Allora aguzzano gli orecchi sotto i pulpiti, per pigliare il prete in flagrante delitto di «agitazione politica». Di solito, non ci tengono nemmeno a passare ed essere riconosciuti come cristiani cattolici apostolici romani senza restrizioni di sorta, senza clausole, tutti di un pezzo; in tempo elettorale però guai a chi non mostra di tenerli magari in concetto di santità. Di solito si divertono un mondo a parlare della «scopa di Francia», a battere le mani ai Waldeck-Rousseau, ai Combes, ai Briand, ai Canalejas e ad ogni eroe in sessantaquattresimo che fa la guerra ai preti, ai frati, alle monache, ai vescovi, al Papa; in tempo elettorale predicano che la Chiesa e la religione non c’entrano, e che ad ogni modo essi sono rispettosi di tutte le credenze religiose, anche della cattolica. Quanta generosità! Ma, di grazia dov’è che si fanno le leggi contro la Chiesa e gli ordini religiosi? Dov’è che si parla di scuola laica e divorzio? Non è forse in seno ai Parlamenti? E poi si dice che le questioni religiose non c’entrano nelle elezioni? E poi si vuole che gli elettori si fidino dei candidati raccomandati da quei giornali che fino a pochi giorni fa plaudirono agli anticlericali francesi e spagnuoli, da quei giornali che chiamarono «sciagurata» l’enciclica del Papa su san Carlo Borromeo, che trovarono «esilarante» la scomunica del Murri, che fecero la réclame alle conferenze di questo misero apostata, che ospitarono la prosa in cui si parlava di «pallidi dogmi» e di «potente materialismo vivificatore d’ogni cosa»? Cari signori! che le questioni religiose e morali non abbiano nulla da fare colle elezioni e col Parlamento, nessuno ve lo crede e non lo crederete nemmeno voi. Tutti sanno che nel Parlamento cessato liberali e socialisti fecero un pandemonio contro il Lueger, perché questi espresse il voto che il popolo cristiano riconquistasse le università, e «L’Alto Adige» e «Il Popolo» facevano eco alla gazzarra contro il Lueger; tutti sanno che al Parlamento si tentò di liberare dalla confisca l’opuscolo del noto Wahrmund colle sue bestemmie ed empietà, e «L’Alto Adige» e «Il Popolo» non erano certo fra gli oppositori del Wahrmund; tutti sanno che i socialisti tentarono di immunizzare anche pubblicazioni confiscate per oscenità, tutti sanno che il ministro della giustizia si dichiarò favorevole al divorzio. Se al Parlamento non vi fosse stato un forte numero di deputati cattolici, che cosa sarebbe avvenuto? Finché vi sono molti cattolici, questi, piaccia o non piaccia, si fanno rispettare; se fossero pochi e deboli, in omaggio alla libertà di pensiero e di stampa e per «rispetto a tutte le credenze religiose», i cattolici verrebbero conculcati, e gli scrittori anticattolici o pornografici troverebbero sempre chi con un’interpellanza ne salva dalla confisca e ne diffonde le bestemmie e i turpiloqui. Perciò i cattolici stanno e devono stare all’erta per mantenere il loro possesso e mettere al sicuro i loro supremi interessi. In questo riguardo i cattolici sono molto esigenti, e non cedono di un punto. Di liberali, di qualsiasi colore e gradazione, non vogliono saperne, e le raccomandazioni dei giornali dai «pallidi dogmi», dal «potente materialismo vivificatore d’ogni cosa», dalla «sciagurata enciclica» ecc. ecc. non sono certo atte a guadagnare la fiducia a chi per loro mezzo chiede il voto del nostro popolo. Questo vuole uomini che professino non il «rispetto a tutte le credenze religiose», ma pieno attaccamento alla Chiesa di Cristo; e non solo nella vita privata, ma anche nella pubblica; così da essere certo in ogni caso, in ogni circostanza che i suoi rappresentanti non saranno né avversari, né conniventi, né tiepidi, né deboli, né disposti a distinzioni sofistiche, a sdoppiamenti di coscienza, a compromessi, ma si troveranno al posto di battaglia contro ogni assalto e non poseranno finché non sia rintuzzato.
74881e7c-30d5-40bc-b5f6-55bd6f6801f3
1,911
3Habsburg years
21911-1915
«L’Alto Adige» trova che la nostra relazione delle conferenze su quel di Brentonico è un «colmo». Le intemperanze di alcuni leghisti lui vuole spacciarle come voce di popolo e aggiunge che se a Brentonico non la andò bene, peggio la andò a Crosano, dove non si potè tenere «conferenza né privata né pubblica». Viceversa subito dopo, «L’Alto Adige» stesso stampa – a modo suo, s’intende – la relazione della conferenza di Crosano, dedicandovi mezza colonna. «È un colmo!». Diremo colle sue parole. È proprio un colmo! Lo stesso Alto Adige, nel numero di giovedì, si occupa della risposta data dal D.r Degasperi in un comizio, circa le obiezioni mosse da quel giornale al compromesso per la tramvia di Fiemme. Esso accusa nuovamente il compromesso di avere «assopita l’azione per la tramvia» e di averne «rimandata l’esecuzione alle calende greche». Tant’è vero, esso afferma, che ora si sta combinando fra il ministro delle ferrovie e delle finanze un programma ferroviario per i prossimi dieci anni, nel quale la ferrovia di Fiemme non è contenuta. Poche domande. Se si fosse continuata la lotta fra Trento e Bolzano, forse la ferrovia veniva subito? O non vi era in tal caso davvero il pericolo che la ferrovia venisse rimandata alle calende greche e buona parte dei fiemmazzi, stanca delle lotte e delle tergiversazioni, si gettasse – e non solo economicamente – dall’altra parte? La politca del «tutto o nulla» anche in questo campo minacciava effetti disastrosi. E poi: chi ha detto all’«Alto Adige» che il nuovo programma ferroviario – che, fra parentesi, è già elaborato e doveva venire presentato alla Camera appena votata la riforma finanziaria – abbraccia un periodo di dieci anni? Per il passato il Governo presentava un programma di ferrovie locali ogni due anni, salvo s’intende che vi fossero i denari e che l’ostruzione, come avvenne dei progetti della ferrovia giudicariese e di tutte le altre nuove ferrovie, non impedisse il lavoro. Noi non sappiamo che cosa farà in avvenire il governo e che cosa avverrà nel nuovo parlamento: se le lotte nazionali impediranno ancora di lavorare o no; se l’opposizione slava e la demagogia socialista permetteranno di mettere in regola le finanze o se si contenteranno di chiedere spese senza concedere i denari. Ma neanche «L’Alto Adige» lo sa; e una cosa è certa: procurando e promuovendo un’intesa, si può sperare di raggiungere un risultato; invece colla lotta e colla politica del «tutto o nulla» ognuno resta col nulla e può vantarsi unicamente di una politica altrettanto rumorosa e facile, quanto sterile e dannosa. Iersera infine, «L’Alto Adige» rifrigge la storia della ferrovia giudicariese in quasi quattro colonne appuntate contro i popolari. Non è nostra intenzione rivedere le bucce a tutta quella prosa. Un’osservazione sola. Era forse cosa buona scindere il tronco Sarche-Tione da tutto il resto? Era questo nell’interesse della popolazione contribuente e dell’impresa? Gli interessati capirono il valore di quest’argomento e unificarono l’impresa. La Dieta votò il suo contributo; il Parlamento, per l’ostruzione slava e socialista, non potè fare altrettanto; ma di ciò nessuno dei trentini porta la responsabilità. E quanto al costruire la Trento-Lago di Garda coi soli danari trentini, abbiamo già avuto l’esempio di ciò che con questi danari si seppe fare per la Lavis-Molina. La ferrovia fu costruita colle liste degli offerenti sulla carta dell’Alto Adige; ma da Lavis a Molina – dopo tanti e tanti anni – si va ancor oggi o coi cavalli a quattro gambe o con quello di Sant’Antonio.
370c899c-ba95-48b5-828d-f6b6e30ee46f
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Ho avuto solo oggi occasione di leggere quanto scrissero corrispondenti e redazione dell’Alto Adige a proposito della mia propaganda e della mia candidatura. Un corrispondente, ripetendo la menzogna stampata nel 1907, afferma che l’on. Paolazzi venne candidato quattr’anni fa per «riscaldare lo stallo al D.r Degasperi non ancora trentenne» e che oggi è avvenuta la sostituzione in seguito all’invadenza del D.r Degasperi, il quael viceversa non vorrebbe assumersi le responsabilità che spettano al suo partito. Tutto questo e altre cose ancora vengono espresse dal sullodato corrispondente in uno stile da becero. Gli risponderò con meno villanie, ma con più chiarezza. Ho accentuato in parecchie adunanze i meriti dell’on. Paolazzi in specie riguardo al problema tramviario, e di fronte all’attività sua ho detto che la mia non potrà essere che opera di collaborazione o di continuità. Quando nel 1907 venne proclamata la candidatura Paolazzi, nessuno pensava a sostituzioni e nessuna ragione riguardante l’attività dell’on. Paolazzi la poteva consigliare oggi. Io personalmente insistetti sulla candidatura Paolazzi fino all’ultimo momento, e ne possono far fede i membri di direzione dell’Unione popolare e parecchi fiduciari di Fiemme ai quali scrissi in questo senso... Solo un formale rifiuto dell’amico Paolazzi, mandato per iscritto alla direzione pose fine alle mie insistenze. Dopo tale rifiuto per lungo tempo rimase incerto chi dovesse candidare in sua vece. Gli amici sanno che la mia candidatura venne decisa appena nell’ultima sessione dell’Unione popolare , dopo che io stesso feci presenti tutte le difficoltà. Tale e siffatta fu la mia invadenza. In quanto alle responsabilità del Partito popolare in Fiemme io le assumo tutte. Non mi pento di aver lasciata libertà di discussione al partito vicinale durante la lotta . Niente affatto; anzi me ne vanto, perché solo la libera discussione può avvicinarci alla realtà. L’attività conciliatrice dell’on. Paolazzi in tale riguardo è lodevolissima. Il deputato non si è mai gettato a corpo perduto in una fazione o nell’altra, ma ha concentrati i suoi sforzi per riuscire ad un compromesso. Se riesco deputato (ciancino quel che vogliono gli eterni maldicenti) farò lo stesso. È chiaro? Chi non è d’accordo con tale indirizzo dia pure il suo voto al fiemmazzo puro sangue. Io non chiedo voti con quattro frasi inconcludenti sulla questione della Comunità, come fa il candidato liberale, il quale, tanto per non mettersi né fra i comunisti né fra i vicini, parla di un problema ch’è molto concreto, come la questione di Oga-Magoga . E veniamo alla tramvia. Concordia e compattezza ci vuole in Fiemme, tutti lo vedono. Ma, oggidì la concordia è possibile solamente sulla base del compromesso. Chi lo combatte o gli mina il terreno, chiamandolo un errore gravissimo, come fece l’Alto Adige, fa in Fiemme opera negativa e deleteria. A tale contegno della stampa liberale non accennai nelle prime adunanze. Ma quando l’Alto Adige mi mosse la ridicola accusa di non conoscere le questioni di Fiemme, colsi l’occasione a Predazzo per dire: Sentiremo la competenza del candidato liberale nella questione tramviaria. Starà coll’Alto Adige o con la Comunità, sarà per il compromesso o contro il grave errore? Il mio dubbio era fondato. Ieri infatti nel programma del signor Vanzetta pubblicato dall’Alto Adige è detto che il deputato di Fiemme deve insistere perché al compromesso sia data piena e sollecita esecuzione. Dunque il signor Vanzetta non condivide il parere dell’Alto Adige che il compromesso sia un grave errore; vi vuole anzi insistere. Tanto meglio; ma non pretenda l’Alto Adige che non si rilevi la contraddizione. La contraddizione c’è, e patente. Un’ultima osservazione. L’Alto Adige si è compiaciuto di accusarmi – me insieme ad altri – di metodi incivili, di attacchi rabbiosi contro i liberali. Avverto i colleghi che la fantasia sovreccitata gioca loro un brutto tiro. Alla maggior parte delle mie conferenze sono assistiti anche liberali. E questi dovranno dir loro che non solo non ho mai mosso un attacco personale contro chicchessia, ma che dei partiti avversari mi sono occupato solo in tanto in quanto pareva consigliabile una difesa o una confutazione. Parola di galantuomo, non m’hanno saputo distrarre da tale tattica nemmeno le corrispondenze fiemmesi dell’Alto Adige. E questo è molto. ad
0a759633-739d-4b1f-8e71-03904c7918ed
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Il D.r Degasperi, rispondendo nel comizio di Ala alle accuse dei socialisti, dopo aver spiegata la situazione particolare dei deputati nostri alla Camera austriaca e il loro contegno di fronte alle spese della marina ed all’aumento del contingente, volle dimostrare non essere vero che il nostro spirito informativo della vita pubblica sia responsabile del militarismo. Non lo spirito del cristianesimo è quello che muove la bufera né la Chiesa la quale invoca la liberazione dalla guerra, come dalla fame e dalla peste. Ma le sorgenti della fiumana fatale sgorgano altrove e precisamente in una regione lontana ed opposta a quella donde viene il Cristianesimo. Il Ferrero stesso dice che l’anima della guerra è la cupidigia la quale proprio nella vita moderna è divenuta ancor più che nel passato la passione dominante. La causa prima della guerra odierna va ricercata nello spirito di espansione e di conquista dell’industria e del commercio. La guerra ispanoamericana si fece perché i capitalisti degli Stati Uniti avevano fatto grosse investizioni nelle industrie di Cuba, la guerra boera si deve alle miniere del Transvaal, quella russo-giapponese alle foreste della Corea. Ed oggidì tutte le gelosie o le minacce di guerra che allarmano l’Europa per i paesi del Mediterraneo trovano la loro ragione nelle piantagioni della Tunisia e del Marocco sulle quali i rappresentanti della più radicale delle democrazie si gettano coll’avidità delle bestie feroci. L’oratore ricorda qui il recente scandalo sollevato in Francia contro Hanotaux, Meugeot, Cocherey, Foucher, Chailley ed altri deputati e senatori, che comperarono in Tunisia per la somma irrisoria di 10 lire l’ettaro immense piantagioni. Sono questi interessi dell’industria e della speculazione che verranno poi detti interessi delle colonie francesi, interessi della patria, alla cui difesa verranno invocate armi e navi, le quali provocheranno poi altre armi e navi da parte della Spagna o della Germania. Quest’esempio vale per tutta la situazione moderna. Ed eccovi in antitesi due figure rappresentanti di due mondi diversi: il missionario che arrischia la vita per aprire fra i barbari ed al Cristianesimo pacifiche vie ed il conquistatore commerciale che trasporta nei paesi ingenui la febbre che divora la sua patria spezzando ogni ostacolo a colpi di cannone e trascinando sulla sua strada cruenta l’appoggio o l’invidia delle nazioni europee. Quest’uomo si trova alle sorgenti del militarismo. Il rappresentante del pensiero cristiano è invece dalla parte opposta. Se risaliamo più addietro nel secolo XIX troviamo invero che le cause di quelle guerre attraverso le quali l’Europa assunse l’aspetto che ha oggidì sono diverse da quelle accennate. Ma si trovano sempre dalla parte opposta a quella donde muove il Cristianesimo. Fu lo spirito della grande rivoluzione che santificò la violenza e celebrò la conquista sanguinaria. Al canto della marsigliese s’inaugura il periodo cruento e militarista che si chiuse col 1870. Nessuna legge superiore, nessun diritto primo dell’individuo viene riconosciuto. Prima di venir applicata sotto il Terrore, la dottrina viene professata e insegnata senza scrupoli. «Noi faremo un cimitero della Francia, diceva il deputato Giacobino Carrier, piuttosto di non rigenerarla a nostro modo». Un altro D’Antonelle, insegnava: «I nemici della libertà, nemici della natura intera, non devono contare fra i suoi figli. Distruggiamoli dunque completamente... Fossero essi un milione, non si sacrificherebbe la ventiquattresima parte di sé per distruggere una cancrena che potrebbe infettare il resto del corpo?». Queste massime dopo la burrasca interna domineranno la bufera napoleonica, ed è su loro che poggia tutto il militarismo napoleonico. Il napoleonismo finisce a Sedan, ma non muore il militarismo il quale vive più che mai nel pensiero della revanche. È qui che la corrente rivoluzionaria confluisce in quella espansionista formando l’immensa fiumana che trascina le nazioni agli armamenti, e qui c’imbattiamo nella questione balcanica, nella questione alsaziana, nella questione di ogni irredentismo. L’oratore conclude a questo punto che questo complesso di cause è superiore all’ambito di un singolo stato e più forte di qualunque partito parlamentare. I socialisti stessi non sanno sottrarsi alla fatalità militare. Quando il generale Duchene ritorna vittorioso dal Madagascar , sarà il maire socialista di Marsiglia che gli declamerà l’epinicio; quando i borghesi vorranno negare ai ferrovieri la libertà dello sciopero generale ricordando che si potrebbe andar incontro ad un disastro in tempo di guerra, il loro capo Clovis Hugues griderà che, quando scoppierà la guerra, i ferrovieri lavoreranno anche sotto il fuoco dei cannoni prussiani. Caratteristico è quanto avvenne al congresso socialista di Conventry nell’aprile di quest’anno. Quelch , uno dei capi socialisti inglesi, dichiarò che i socialisti sono bensì internazionali, ma che gli inglesi devono anche volere gli armamenti necessari perché siano mantenute libere le comunicazioni tra la madre patria e le colonie. Hyndmann, altro deputato socialista, chiese senz’altro una flotta tanto forte da poter tener testa alla Germania. In Germania stessa, terra classica dell’antimilitarismo socialista, si è almeno in teoria dello stesso pensiero. Le Sozialistische Monatshefte (1899) scrivono: «che la Germania sia armata fino ai denti e possa disporre di una flotta forte in caso di una guerra commerciale è di grande importanza anche per la classe lavoratrice». Nella stessa rivista nel 1905 Calver scrive: Non si può pretendere dal proprio paese che assuma una posizione eccezionale che potrebbe diventare fatale. E Bebel stesso ai 15 gennaio 1896 affermava: Date le circostanze attuali, l’esercito è una necessità. Dei socialisti francesi è stato già detto. Il socialismo francese fornì ministri a gabinetti guerrafondai e sotto la sua cooperazione non solo il militarismo non diminuì ma crebbe in proporzioni molto più grandi che nelle altre nazioni. Che dire di Jaurès il quale nell’ultimo dibattito sul bilancio della marina prega la Camera ed il Governo di sospendere la votazione perché il consiglio militare abbia il tempo sufficiente d’approntare il progetto per la costruzione di cannoni migliori, cioè del calibro 34? Più note ancora sono in tal riguardo le ultime vicende del socialismo italiano. Bissolati aveva accettato definitivamente il programma Giolitti compresi gli aumenti militari e cinque giorni fa quando si doveva votare sul progetto governativo per i nuovi cannoni i socialisti più autorevoli Bissolati, Bonomi e Cabrini si assentarono per non votare cogli altri compagni contrari. Lo squagliarsi fu del resto tattica frequente anche dei socialisti austriaci. Dov’è la loro forza d’opposizione, senza dire che sotto il ministero Beck, votando per l’urgenza del bilancio facevano passare anche le spese militari? Il deputato Schuhmeier ha pur dichiarato nelle penultime delegazioni che «egli è contrario alle spese militari nello stato attuale; un altro paio di maniche sarebbe stato si trattasse dello stato socialista». Non è più dunque opposizione di principio ma opposizione politica. Non vengano quindi in tempo elettorale a fare un antimilitarismo a fuoco di bangala e ad accusare i popolari. Questi hanno in tal riguardo un programma molto chiaro: ogni volta che un voto negativo possa raggiungere un risultato od in ogni caso anche in cui l’espressione del volere contrario possa essere utile, i popolari voteranno contro aumenti ed aggravi militari. Può però anche intervenire il caso di un proprietario il quale di fronte alla richiesta, non voglia vendere il suo campo, ma che infine lo venda egualmente, perché sa che là deve passare la costruenda ferrovia. La legge di espropriazione è inesorabile e la ferrovia passerà lo stesso. In tali casi il proprietario vedrà di vendere al più caro prezzo possibile il suo possedimento. Ma si può dire per questo che egli favorisca la costruzione della ferrovia o addirittura spinga il convoglio? Ben altri, come abbiamo visto, sono i motori di questo treno, e non nel campo nostro vanno ricercati i macchinisti.
9660d345-d4f9-4d21-907a-489aec404fbe
1,911
3Habsburg years
21911-1915
La figura più miserabile in questa campagna la fa il partito liberale-nazionale. Hanno un candidato che per attaccar voti va attorno piagnucolando sui bei tempi del compromesso libero-conservativo, quando i preti buoni e i liberali gentiluomini vivevano in pace, con grande vantaggio della patria e della religione. Ma fingono di non ricordare che il compromesso venne rotto a tradimento precisamente dai liberali, e che questi proclamarono l’inizio della rude campagna anticlericale, in intima alleanza coi socialisti. Ne hanno un altro, il quale si spaccia per antigovernativo e antimilitarista ad ogni costo, e lo fa, magari raccomandando la rielezione del barone Malfatti, il quale votò al governo austriaco e bilanci e spese militari. Ma per i propagandisti della candidatura malfattiana vale la massima: paese che vai, raccomandazione che fai. A Riva lo proclamano necessaria affermazione della nostra fierezza nazionale, a Mori ne vantano la provata abilità di sollecitar favori presso i ministeri, la Corte e la gente di governo. La figura più losca la fanno però nelle questioni religiose. Nessun partito in questa campagna ha parlato tanto di «Religione» come il partito liberale. Tutti i suoi uomini, scrivendo o parlando, hanno cominciato con infuocate espressioni di attaccamento alla religione, per metterla poi subito da parte, dichiarando che non c’entra affatto. Oh perché la tirano in ballo allora? Per dimostrare che la religione va in rovina per colpa dei preti e dei vescovi del giorno d’oggi. I preti buoni sono quei vecchi, specialmente quando sono morti. I preti moderni sono bottegai ed intriganti politici. Si tappino in sagrestia e sgombrino il terreno agli avvocati del partito liberale! Non prendano le parti dei deboli contro i soverchiatori, a scanso di meritare il severo rimprovero del prete buono don Abbondio, cioè di «mischiarsi nelle cose profane, a danno della dignità del sacro ministero». Con tutto ciò, malgrado questo zelo improvviso per il Tempio, abbiamo ancora da sapere quale programma abbia il partito liberale-nazionale di fronte ai problemi concreti religiosi o politico-ecclesiastici. Invano abbiamo chiesto: Che cosa pensate della scuola confessionale e della scuola neutra, del matrimonio civile, del divorzio, del riposo festivo ed in genere dei rapporti fra Stato e Chiesa? Non rispondono o sgusciano di mano come le anguille. In compenso cercano di avvicinarsi la gente del contado, lasciando a casa la redingote ed indossando il giubberello dei villani. O Titiro, perché non accompagnerai col flauto le agresti melodie del nostro liberalismo che, abbandonati gli agi dell’urbe, attende ora a rinnovare la terra e le razze bovine? Altrove essi, i rappresentanti più genuini del Trentino innanzi all’Europa, sfruttano il localismo ed il campanilismo più gretto. Fiemme ai fiemmazzi, è il loro grido; e sono gli stessi che, di fronte al localismo di Fiemme, proclamarono altra volta essere la questione tramviaria una questione trentina. Che cosa direbbero quando nelle questioni concrete i fiammazzi li pigliassero in parola? La stessa grettezza nel collegio lagarino dove si accende l’opposizione, perché il candidato è nato una dozzina di chilometri più in su dei suoi elettori. Levate il cappello ed inchinatevi stranieri! Questo è il Trentino uno ed intangibile! Così creano i liberali la compatta individualità del popolo trentino! Eppure sono costoro che anche nella presente campagna salveranno la nazionalità! Nella campagna la salveranno contro i popolari, seguendo con evidente soddisfazione la guerra che a questi muovono i socialisti, nelle città la salveranno anche contro i socialisti. In nome della patria combatteranno quegli stessi che hanno levato sugli scudi nelle elezioni comunali. Per l’idea nazionale liberali e socialisti, trattandosi del Municipio, furono alleati; per l’idea nazionale, trattandosi del Parlamento, liberali e socialisti saranno nemici. Il livore anticlericale spinse il liberalismo a prostituirsi innanzi agli agitatori rossi. Quali argomenti potranno usare ora i supplicanti di fronte ai soccorritori? Che nazionalità? ha già risposto «Il Popolo». Volete andare a difenderla a Vienna voi che, senza il nostro aiuto, non siete capaci di difenderla nemmeno a Trento? Meritato sarcasmo contro a un partito che è ricorso a tutte le imboscate e a tutte le bricconerie elettorali per combattere i popolari. Rimarrà loro forse da dire che devono affermarsi per la libertà e per l’indipendenza personale. Ma della libertà dei liberali gli elettori possono avere un esempio anche nella presente campagna. Nel collegio meridionale si affrettano a denunziare maestri e docenti perché si fanno vedere coi nostri amici o assistono ad una pubblica conferenza dell’on. Gentili. I docenti capiscono il latino e mandano una dichiarazione al giornale che viene scritto nel municipio dei padroni. Alla canonica codesti liberali da strapazzo rimproverano perfino d’aver concesso il teatro del ricreatorio per la conferenza... Questa è la libertà dei liberali, e questa è la condizione dei cattolici, dove non si è fatta ancora una energica riscossa. L’on. Gentili li affronta in pubbliche adunanze, ma essi rimangono muti. Ad altri mezzi che alla discussione ed alla confutazione sapranno ricorrere, per avere il voto. Tale è il partito liberale nostrano. In esso vi potranno essere persone egregie, ma il programma è negativo, il suo contegno senza logica e senza principii, i suoi metodi strumenti di confusione e di corruzione delle coscienze. Elettori, ricordatevene ai 13 giugno!
e9f0c5ec-b38a-4c5a-ad73-9828faaa80dd
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Lo scioglimento della Camera ha colto i partiti all’improvviso. Per il Trentino poi esso doveva recare grandi amarezze, perché troncava speranze che parevano vicine al compimento. Nessuna meraviglia quindi, se il nostro partito entrò nella campagna elettorale di malavoglia e con una certa stanchezza. Vennero prima le difficoltà per le candidature in seguito al ritiro di tre deputati ; poi quando si doveva battere la campagna, ci trovammo ridotti ad un gruppo esiguo, non più fresco nemmeno questo, ma stanco per le lotte elettorali combattute nell’inverno. Tuttavia l’entusiasmo sopperì al numero ed alle forze. Adunanze private, comizi pubblici, contraddittori si susseguirono fino all’ultimo momento, fino ieri sera. Poiché non conveniva nasconderci che l’entusiasmo ed il concorso del 1907 si erano ottenuti con una campagna di 5 mesi, e che questa volta invece il tempo breve e la precocità dello scioglimento erano in tal riguardo circostanze negative. Si aggiungano l’emigrazione ed i lavori per i bachi da seta. In certe vallate, come in Fiemme, Primiero, Folgaria, Vallarsa, Alta Val di Sole, mancano dove un terzo, dove più di un terzo di elettori. Per l’allevamento del bestiame molte famiglie sono già a mezza montagna; per i bachi da seta, nei paesi di collina, in Valsugana ecc. proprio in questi giorni si lavora a furia, cosicché bisogna attendersi che il corso alle urne sia molto minore di quello raggiunto nella prima metà del maggio 1907. Non occorre aggiungere che la grande maggioranza dei nuovi votanti, per le loro convinzioni e per i loro interessi aderiscono al programma popolare e che quindi lo scarso concorso è tutto a nostro danno. Il nostro partito ha avuto questa volta una posizione difficile nel collegio rurale di Rovereto. I candidati oltre il nostro sono quattro: Postingher , liberale; Flor, socialista; Adami della Lega d’Isera. Ma il peggio è che si è tentato con tutti i mezzi di portare la discordia anche nel nostro campo. In tutta la valle sono affissi i manifesti che invitano gli «elettori cattolici» a votare per don Panizza. Ed è ormai certo che parte dei voti andranno così perduti . I leghisti ricorrono poi al terrorismo più aperto. Va notato che in certi paesi fra aderenti della Lega, socialisti ed olimpostingheriani non si sa più distinguere. È tutta una massa eterogenea che si muove all’assalto delle nostre posizioni. I liberali hanno concentrato i loro sforzi nel collegio dell’on. Tonelli ed in quello anaune-solandro. Naturalmente non fanno la propaganda in base al loro programma ma cercano di trarre partito da circostanze locali. In Giudicarie hanno spedito a tutti i comuni un bilioso articolo sulla ferrovia giudicariese, contro la Banca Industriale, cui si accusa perfino di mancato patriottismo perché la Banca Industriale usa anche ingegneri tedeschi: come se i progettanti dell’ex comitato tramviario o i fornitori della centrale sul Sarca fossero stati italiani! L’attacco contro la Banca Industriale era ributtante. Avremmo avuto in mano del buono da rispondere. Ma abbiamo voluto dimostrare che preferiamo piuttosto perdere eventualmente dei voti che sfruttare in una campagna elettorale una questione economicamente complessa. Se «L’Alto Adige» per la sua opera grettamente piccina di difficoltare la finanziazione e per i suoi articoli patriottici, dove si mettono in contrasto gli interessati, guadagnerà dei voti, buon pro gli faccia! Sono le vittorie del patriottismo liberale. Per il collegio anaune-solandro i liberali nutrono grandi speranze. Ieri tutti gli avvocati di Cles ed il dr. Menestrina di Trento si sono gettati sui paesi del collegio. Propaganda liberale? Nemmeno per sogno. Ma propaganda per l’allevamento del bestiame. I voti per il cav. Stanchina saranno voti di aderenze personali e sono in piccola parte voti di programma liberale. In specie nei paesi attorno a Livo si ritiene che avrà una votazione buona. Da notarsi che mentre in campagna fanno gli ultra-agrari, a Trento l’on. Bertolini combatte il candidato popolare perché aderente a un partito il quale propugna sovratutto gli interessi rurali. In Fiemme GR (l’ex commissario Rizzoli?) ha diffuso un appello ai vicini per il candidato liberale. All’ultimo momento è sorta di nuovo la candidatura volksbundista del P. Chiocchetti. I socialisti sperano in un aumento del numero totale dei voti in tutto il Trentino, perché molti liberali, dove non hanno una candidatura propria, voteranno per i socialisti. Nelle città il ballottaggio è probabilissimo. Dubbio è solo chi entrerà in ballottaggio. Nel collegio meridionale influiscono contro di noi le stesse circostanze che ci stanno di contro nei collegi rurali, senza dire della abolita sede elettorale di Ala. Nonostante tutte queste difficoltà il partito popolare può guardare con soddisfazione a questa campagna. Essa venne combattuta a bandiera spiegata in nome del proprio programma e dei propri meriti, senza ricorrere alle losche manovre, agli infingimenti, ai localismi, alle pressioni degli avversari. Questa sera l’edizione straordinaria del Trentino uscirà coi risultati che ci saranno pervenuti.
1972d256-ebe5-46ef-997e-1b524704fa86
1,911
3Habsburg years
21911-1915
L’esito complessivo della giornata di ieri è per il nostro partito consolante . Le speranze degli avversari di superare le nostre posizioni furono non solo deluse, ma la risposta che si ebbero, fu molto eloquente. Abbiamo già scritto che non si potevano attendere le cifre dell’altra volta. Assenze numerosissime per l’emigrazione temporanea e altre molte ancora per i lavori di campagna erano quasi tutte a nostro danno. In altri collegi poi la mancanza di una lotta viva faceva prevedere un concorso minore. Con tutto ciò le maggioranze ottenute sono notevoli, in specie se si confronta la posizione dei partiti nei singoli paesi. Le sedi elettorali in cui i popolari rimasero in minoranza sono molto poche. In tal riguardo, anche dove vi fu lotta, come in Fiemme, il 1911 rappresenta un vero progresso. Sconfortante per noi è solo il caso di Val Lagarina, perché qui fu la dissenzione fra i nostri che ci fece mancare il successo. Questo appare non solo dalle cifre, ma divenne sempre più manifesto durante la campagna. In seguito alle voci di dissenso, sorsero nuove candidature ed in causa delle stesse i leghisti fecero un supremo sforzo di terrorismo. Anche nel collegio delle città meridionali la mancanza di organizzazione di fronte all’attivissima propaganda degli avversari portò le sue conseguenze, cosicché l’affermazione nostra riuscì più debole. Per il contrario a Trento l’organizzazione celebrò un vero trionfo. Da 960 voti siamo saliti a 1345 con un progresso notevolissimo su tutti gli altri partiti, che furono stazionari o ebbero un regresso. La conclusione è dunque anche questa volta: propaganda e disciplina! Viva il partito popolare!
2bc77942-0f1f-4c9d-9ff2-5b6a22344547
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Gran daffare quello dell’«Alto Adige»! Aveva predetto una battaglia brillante e una gloriosa vittoria del liberalismo nelle città meridionali, e improvvisamente s’è trovato con una maggioranza di 70 voti che hanno a malapena salvato l’uomo a cui i liberali profusero tanta copia d’incenso ; aveva prevista la riscossa dei liberali a Trento, e s’è trovato contro le aspettazioni, con file così concentrate e condensate, che il primo colpo di nuovo semidio, creato per galvanizzare il partito, ebbe il piedistallo infranto e giacque a terra. Ora è un gran daffare per scoprire le attenuanti. A onor del vero, «L’Alto Adige» confessa che la sconfitta toccata dai liberali a Trento, è vergognosa. Leggete: «Che una prossima battaglia ci trovi tutti concordi... Se anche non saremo abbastanza progrediti per conseguire la vittoria, per lo meno non subiremo delle sconfitte vergognose» . E le cause della sconfitta? Per la prima elezione accusò «L’Alto Adige» una parte dei liberali di avere defezionato. Data e non concessa la definizione, i liberali non avrebbero che a incolpare se stessi. Non furono essi – compresi tanti capi – che fornicarono coi rossi e fecero del loro meglio per portare in alto il dr. Battisti? Ma noi crediamo e siamo fermamente convinti che nella prima elezione dei 13 giugno defezioni non ce ne furono. Il fatto che i liberali non vogliono confessare, ma che per ciò non è meno vero, è questo: che i liberali a Trento sono la minoranza. E ci vuol poco a dimostrarlo. Per riuscire nelle elezioni del terzo corpo comunale a suffragio ristretto e privilegiato, essi abbisognano dell’aiuto dei socialisti contro i popolari. «Il Popolo», più sincero dell’«Alto Adige», lo confessò e rimproverò ai liberali il contegno da loro usato, nella campagna elettorale testé chiusa, contro i rossi e il loro candidato, dopo che da questo e da quelli avevano avuto il soccorso e il rinforzo necessario per entrare nella rappresentanza comunale. Ora se i liberali di Trento sono così deboli nei corpi rappresentativi in cui godono un voto privilegiato, che sarà dove il suffragio è allargato a tutti? Era ovvio pertanto che essendo mancato ai liberali, nelle elezioni parlamentari, l’appoggio dei socialisti che non furono più loro alleati ma avversari, si dovesse manifestare tutta la debolezza del loro partito, altrettanto meschino di forze reali, quanto è maggiore la prepotenza e la burbanza con cui tuttavia pretende il dominio e tuona dalle colonne del suo organo. E di questa «prepotenza e burbanza» non siamo noi soli a parlare; ma ne parla anche un liberale nel Popolo di questa Mattina. Nella votazione di ballottaggio avvenne poi il fatto vergognoso dei 23 maggio 1907 . Il comitato elettorale liberale col solito frasario sibillino annunziò non l’astensione, ma il disinteressamento, dichiarando finito il suo compito. I soldati furono quindi abbandonati a sé e parte fuggirono, mentre quasi tutto il grosso della truppa passò gloriosamente sotto la bandiera del Battisti, che tre giorni prima li aveva sculacciati senza misericordia, nel pubblico comizio di Rovereto. Anime di stoppa! Così avvenne che mentre noi chiamavamo a raccolta le nostre riserve e pochi liberali più assennati votarono per il dr. Cappelletti; la massa invece correva a puntellare colui che nel Parlamento siederà nelle file della Federazione socialista, dominata dai centralisti tedeschi. «L’Alto Adige» stesso confessa il fatto che vi furono perfino liberali che ierlaltro fecero da «galoppini elettorali per un candidato che ha maltrattato e bistrattato il loro partito durante tutta la campagna». Con quale logica muova loro rimprovero, veramente non lo sappiamo. Infatti trova che forse furono mossi «unicamente da uno spiegabile spirito di reazione» (a che? alle sculacciate?) ed esprime la speranza che aprano una buona volta gli occhi anche «quei liberali fortunatamente pochi, che credono ancora che fra socialisti e clericali questi rappresentino ancora il male minore». Dopo tutto ciò – e ci pare che sia abbastanza – sapete qual’è l’ultima illazione cui giunge «L’Alto Adige» e la sentenza con cui chiude la sua prosa? Eccovela qua testualmente: «E sì che (i clericali) dovrebbero accontentarsi di aver fatto quello che era da loro per assicurare al partito socialista il mandato di Trento! Altra conseguenza non poteva avere la candidatura del dr. Cappelletti». In altre parole la colpa è dei «clericali». È il colmo della burbanza, ma anche dell’insensatezza. Costoro, che, essendo in minoranza, vogliono dominare il Comune, pretenderebbero altresì che noi – molto più forti di loro – non ponessimo un candidato per le elezioni politiche e votassimo per colui che – dopo aver condotte le inique elezioni comunali – anche nel discorso programma per l’elezione politica ci intimò la guerra e parlò di noi in modo – a dir poco – sconveniente. Ma credono i liberali che noi abbiamo perduto come loro il senso della dignità? Credono che siamo tutti così fieri con certi loro campioni che leccano al Battisti la mano con cui stampa loro in viso dei schiaffi sonori? Eh, via! Se fosse così, saremmo anche noi in sfacelo al pari dei liberali e sovra gli incontrastati dominatori sarebbero dappertutto i socialisti. Se i liberali a Trento commisero e passarono tante vergogne, a Rovereto speravano di celebrare trionfi, e per l’occasione «L’Alto Adige» si faceva campanilista, divideva il Trentino in pillole, emetteva grandi oh! e ah! di ammirazione e non si stancava di genuflettere dinnanzi allo stupendo, meraviglioso esempio di vita e combattività liberale nel meriggio della nostra grande, sterminata provincia. Nel meriggio, con tanta forza e con tanto entusiasmo, non si sentiva il bisogno di combattere più che tanto i socialisti; la lotta era puntata contro il candidato trentino . Bugie, bassezze, gretto campanilismo, pressioni, minacce, quattrini, vitello lasagne e vino: tutto fu adoperato nella nobile campagna liberale. E l’esito? Il Trentino fu messo fuori di combattimento già al primo scontro, restano di fronte due meridionali. Vi fu qualcuno che – nonostante tutto ciò – approfittando delle sue relazioni personali – volle adoperarsi per un’entente. Votassero a Trento i liberali per il popolare o almeno si astenessero, – i popolari nel collegio meridionale voterebbero per i liberali. «L’Alto Adige» mise in burla i «clericali» che «mendicavano» i voti liberali! Così fanno costoro. Non li avvicinate? Siete gli intransigenti. Li avvicinate? Vi rispondono collo scherno. Non restava che l’astensione e questa fu proclamata dai nostri e annunziata con pubblici avvisi. «L’Alto Adige» non aveva bisogno dei nostri voti nelle città meridionali – così esso vaneggiava – e, sempre secondo lo stesso giornale, a Trento si illudono quei liberali che vedono nei «clericali» il male minore. Invece la situazione dei liberali nel collegio meridionale era tutt’altro che florida e i socialisti tutt’altro che disprezzabili. Essi avevano l’appoggio della Lega – rinforzata e aizzata dai liberali contro di noi – avevano delle riserve; avevano un alleato nelle arti nauseanti usate dai liberali e se, anche nel ballottaggio, non ci fossero stati dei nostri che appoggiarono il candidato liberale... chi sa come la andava a finire. Questo fu il frutto raccolto dai liberali. Prima col combattere il candidato trentino, si misero in ballotaggio col candidato «internazionale»; poi respingendo le proposte di persone amiche, costrinsero i popolari all’astensione, e invece di una vittoria sicura ebbero una vittoria di Pirro . Ma così è fatto il liberalismo: impenitente, vano e parolaio fino al suicidio!
709528e6-240d-4345-a637-2c4faf17cf6b
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Nella campagna elettorale hanno predicato e ripetuto a squarciagola: La religione non c’entra. Votare vuol dire dichiararsi per le tasse o contro le tasse, per il militarismo o contro il militarismo, per riforme sociali o contro di esse. Il resto non c’entra. Noi abbiamo risposto: Elettori! ricordatevi che il voto ha soprattutto un significato morale. Si tratta della concezione cristiana della vita, si tratta dell’indirizzo più o meno cristiano della società civile e dei rapporti colla società religiosa, cioè colla Chiesa. Prima di votare pensate alla vostra coscienza, ascoltate la sua voce. Ma i nostri avversari hanno ribattuto che tutto questo era invenzione, uno sfruttare da parte nostra il sentimento religioso. Chi ha avuto ragione? Guardate quello ch’è accaduto nel ballottaggio. Si disputavano un numero considerevole di mandati. L’esito sarebbe stato decisivo per tutta l’attività del Parlamento. Come si formarono le alleanze? Forse sulla base della riforma sociale, della riforma tributaria, di leggi o progetti economici? Guardate a Vienna. Da una parte i cristiano-sociali; rappresentanti del ceto medio e di una minoranza operaia, propugnatori della riforma sociale, nemici della Borsa, dei cartelli, del commercio intermedio, vera causa del rincaro, amanti della democrazia, sì che a loro in gran parte si deve il suffragio universale, fautori primi delle leggi di protezione operaia e dell’assicurazione sociale. Dall’altra i candidati dell’alta finanza e degli speculatori, i cartellisti del ferro, dello zucchero, del petrolio, i monopolizzatori della grande industria e del grande commercio, i rappresentanti insomma più genuini della borghesia grassa e parassita, i candidati degli accumulatori della ricchezza che Bebel disse con frase felice: «Die oberen Zehntausend». Costoro tremano al pensiero della prossima riforma tributaria perché in essa per volere dei cristiano-sociali dovevano essere colpite le grosse rendite, tremano al pensiero delle pensioni sociali, poiché il peso maggiore si riverserà sulle spalle dei ricchi. Ebbene? Come votarono i socialisti, i presunti rappresentanti dei poveri, i nemici più dichiarati del capitale e della borghesia? Tutti l’hanno visto. In massa accorsero i battaglioni sociali, sia a prestar soccorso ai capitalisti, e agli oppositori di ogni riforma democratica. Perché? Perché si sono dimenticate tutte le differenze, tutte le diversità d’interessi economici e di programmi sociali e si è guardato invece alla questione sostanziale, alla questione prima: la concezione della vita civile. Gli uni erano cristiani, gli altri anticristiani. Gli uni credono che i principii del cristianesimo salveranno gli stati e la società civile, gli altri vogliono liberarsene. Il Socialista Schuhmeier ha così messo sotto i piedi tutto il suo marxismo, per ricordarsi solo di essere un propagandista «Los von Rom», un fratello massone che doveva portare il soccorso dei suoi battaglioni proletari al candidato dell’alta finanza Vittorio Zenker, perché costui fu gran maestro della loggia «Pionier» e nel 1905 malgrado la legislazione austriaca ricorse fino all’ultima istanza per la fondazione di una loggia centrale «Austria». Alla vigilia del ballottaggio narra la Reichspost che certi quartieri vennero inondati da foglietti sui quali era scritto: «Cari fr***! Date domani i vostri voti a uomini della luce e per nessun conto a uomini delle tenebre». Chi non sa che cosa siano luce e tenebre per la massoneria universale, e com’essa in tutta l’Europa sia sempre, in odio al cristianesimo, la suprema fattrice dei più mostruosi blocchi anticlericali? Che importa se con tale alleanza tutto il programma del socialismo è vilmente tradito? Dopo le elezioni del primo scrutinio gli effetti sul listino della borsa viennese segnano un rialzo. Leggete la Sonn- und Montagszeitung di lunedì nella sua rubrica settimanale dal Schottenring (sede della borsa) e troverete la spiegazione del rialzo, data da un giornale competente. «Anche la Borsa, scrive il foglio dell’ebreo Aaron Scorf, quale punto centrale degli interessi economici e capitalisti, ci ha tutte le ragioni di essere soddisfatta del corso della campagna elettorale, ed essa per suo conto deve di nuovo fare ogni sforzo per dare nei ballottaggi all’intonazione già presa una risonanza ancora più forte». La Borsa dunque, il grande mercato del danaro e del capitale doveva fare e ripetere ogni sforzo per far riuscire liberali e socialisti ad abbattere i riformatori ed i democratici cristiani. Che cosa congiunge dunque la Borsa e la Camera del Lavoro, il banchiere ed il proletario? L’odio comune al cristianesimo e la paura che i suoi principii applicati all’economia pubblica attraversino i piani tanto della plutocrazia che della rivoluzione. La domenica prima del ballottaggio l’Arbeiterzeitung dava ai connubiardi la parola d’ordine: essere necessario scacciare il cristianesimo dalla vita pubblica delle città e ridurlo a paganesimo, cioè ad una confessione dei pagi, dei paesi di montagna. Questa la parola d’ordine colla quale l’ibrido connubio soverchiò i cristiano-sociali. Non c’entrava dunque la religione? Non era dunque vero quello che affermavamo noi che il voto ha sopratutto significato e valore morale di fronte alla concezione della vita? Chi non vuol crederlo ancora, legga la Neue Freie Presse di questi giorni. Vi troverà le congratulazioni di tutto il mondo anticristiano e massonico, il satanico giubilo dell’anticlericalismo nazionale. Il rincaro dei viveri è ora passato in seconda linea, il pretesto ha fatto il suo servizio e si rivelano spudoratamente le cause di tutta la campagna. Quello che è accaduto a Vienna, si è ripetuto dovunque. Nel Vorarlberg gli operai socialisti vennero condotti a votare per il deputato dei fabbricanti dr. Kinz pur di abbattere il dr. Drexel, il relatore dell’assicurazione sociale, ecc. uno degli uomini socialmente e democraticamente più colti, uno degli scolari più intelligenti della scuola cattolica socialista della Germania. In Boemia vennero fatti cadere tutti i deputati czechi cattolici, e lo stesso si dica della Galizia. I rappresentanti del pensiero cristiano in Parlamento sono ora una minoranza notevole, per quanto anche prima non fossero maggioranza. Per il contrario gli aderenti della «scuola libera», del divorzio, del Kulturkampf sono in aumento. La lezione quindi per noi cattolici è eloquentissima. Guai se ci assopiamo in una comoda illusione. Anche nel nostro paese il fenomeno ha avuto le sue comparse. È necessario che clero e laicato si riscuotano e che vengano richiamati ad un lavoro più continuato e più cosciente. È necessario che il nostro popolo venga illuminato, affinché nel periodo elettorale non si faccia pecora dei suoi nemici. Cattolici trentini, all’erta! Amici, al lavoro!
96a6d1f7-ec49-4a0c-af06-212106d3f130
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Oratore eloquente e popolare, animo aperto ed impulsivo, volontà forte ma non tenace, l’avv. Silli possedette più le attitudini di fondare un partito che la forza di conservarlo e dirigerlo. Onesto, disinteressato, trasferì queste sue virtù nell’amministrazione cittadina, ma non ebbe né genialità di riforme, né criteri costanti di economia. Proclamò la democrazia, ma non vi dette il contenuto. Mano mano che i problemi finanziari si aggravano, sentì venir meno in sé e negli amici la fede nel programma, cosicché in fine rimase isolato dalle sue esperienze negative. La realtà quotidiana trasforma il suo concetto della vita pubblica. Sorge rovesciando i vecchi per ringiovanire il partito liberale, ma venuto al potere sente la nostalgia dell’unione e della pace. Oscilla così contraddicendo ora al suo programma, ora al suo sentimento. Tenta prima il blocco radicale in esso, ma avverte tosto la deficienza di valore positivo, e deve riconoscere la precocità della sua fine, accelerata e forse causata dalla sua attività pubblica. Contiene un esempio la sua parabola, un monito, che in mezzo al chiasso del nostro radicalismo facilone, vorremmo non andasse perduto: conoscere il merito reale del programma e del lavoro nostro. Gli sarebbe stato più facile lavorare con una coalizione di destra che di sinistra, ma non ebbe la forza di dominare gli spiriti da lui stesso evocati. Nell’ultima crisi comunale colla salute perdette il governo dei suoi, che provocarono lo scioglimento contro il suo volere. L’opposizione lo ebbe quindi alleato in un espressivo silenzio, che all’ultimo ruppe con un singhiozzo. Accompagnamo quest’uomo alla tomba con l’augurio dei credenti.
efce22fd-3470-4966-ab78-c91de3620314
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Il Contadino dei 7 c.m. pubblica una lettera della Direzione della Lega d’Isera nella quale si dichiara che «salvo casi importanti», non si risponderà più agli attacchi del Trentino e della Squilla. Un’esortazione anche più radicale in questo senso la fa il noto scrittore anticlericale latinista; la redazione però soggiunge in una nota di non essere del tutto d’accordo con lui. Dunque la Lega d’Isera e i suoi amici si avvolgono nel silenzio. Se vi fu silenzio che copre il più vivo imbarazzo egli è questo. O si trattava forse di bazzeccole? Il Sig. Adami dichiarò a Romagnano in pubblico comizio di aver ricevuto un bel gruzzolo di denari dalla Lega nazionale per diffondere il Contadino in Folgaria, Brentonico ecc. La Direzione centrale della Lega nazionale pubblica tosto una smentita e lo stesso d.r Sartorelli di Rovereto, il quale dichiarava che furono lui e alcuni suoi amici a versare denaro a quello scopo e ciò a patto che il Contadino pubblicasse qualche articolo di indole nazionale e mandasse un certo numero di copie nei paesi dove s’è piantato il Volksbund. La cosa è tutt’altro che di secondaria importanza, tanto più che il d.r Sartorelli e i suoi amici, come fu pubblicato, si sentirono mossi a tal passo, perché pareva che nel Contadino spirasse una tendenza poco favorevole ai sentimenti nazionali. Che fa di fronte a tali dichiarazioni e a tali affermazioni la Direzione della Lega d’Isera? Risponde di non rispondere. Non basta. Il Contadino pubblicò un articolo che poteva stare in qualunque giornale anticlericale. In esso si pretendeva che il clero si richiudesse nella sacristia; si accusavano le «sfere superiori» di attendere solo a trust, banche, commerci, industrie e accumulamento di capitali, e si rendeva responsabile la gerarchia delle persecuzioni religiose in Francia, nel Portogallo e nella Spagna. Tutto ciò nel giornale di una società che presentò ai suoi membri uno statuto cattolico, dove si dichiara solennemente la formula che importa adesione all’Episcopato, piena armonia colla Chiesa. Il Trentino, in un articolo e in una corrispondenza, rivelò tutte queste contraddizioni e gli sfoghi anticlericali del Contadino, che rispecchiano così bene il programma e le calunnie radico-socialiste. Si tratta di principi, di questioni somme e fondamentali. Che cosa fanno il Contadino e la Lega d’Isera? Rispondono di non rispondere. Quanta sincerità, quanto coraggio! Il Contadino proclamava che la Lega dei contadini deve essere soprattutto politica e metteva in guardia la gente dall’entrare in una temuta Lega economica. Adesso annunzia la modificazione di alcuni paragrafi della Lega in un ordine del giorno dove si parla perfino di uno «statuto esclusivamente economico». È una bella girata di bandiera che meritava di essere rilevata. Che cosa rispondono il Contadino e la Lega d’Isera? Rispondono di non rispondere. Il Contadino parlava sempre di un nuovo partito agrario, indipendente da tutti i partiti politici esistenti. Invece i leghisti che fanno capo ad Isera ebbero l’appoggio dei liberali e dei socialisti nella Vallelagarina, concentrarono i loro voti su un candidato socialista nel ballottaggio delle città meridionali, ebbero i socialisti a principali fautori dei disordini e delle violenze avvenute in parecchi comizi, trovarono ospitalità e incoraggiamenti nel «Popolo», anzi questo giornale dichiarò espressamente che li aiutava volentieri per il loro anticlericalismo. Che cosa dicono il Contadino e la Lega d’Isera? Rispondono di non rispondere. Fu osservato che alla Lega d’Isera aderirono tutti gli elementi più torbidi e che il suo allargarsi fu accompagnato da un raffreddamento nelle cose religiose. Che cosa dicono il Contadino e la Lega d’Isera? Rispondono di non rispondere. Il Trentino rammentò ultimamente le violenze commesse dai leghisti: filo di rame teso traverso la strada di Calavino, la forcata di Sacco e il coletto di Sant’Ilario, il cui eroe si presentava al d.r Carbonari riconoscendo le sue gesta e vantandosi di non averne sofferto alcuna conseguenza; registrava le bestemmie e le porcherie che si fecero udire a Matarello; il grido che risuonò in piazza d’Isera: «O via il parroco, o via il Trentino!» e avrebbe potuto ricordare la profana imitazione delle esequie sotto le finestre dell’infermo curato di Padergnone, le gesta notturne di Calavino ecc. ecc. Che cosa ne dicono il Contadino e la Lega d’Isera? Rispondono di non rispondere. Tutte queste cose e altre che si potrebbero aggiungere, sembra che non costituiscano dei «casi importanti». Il vero è che di fronte a questi fatti i quali smascherano la vera faccia del Contadino, della Lega d’Isera, dei loro aderenti ed amici, non si sa che rispondere e la migliore scappatoia è il silenzio. Ma col silenzio della Lega d’Isera e del Contadino, non si potrà impedire che la verità si diffonda e un po’ alla volta giunga a notizia di tutti. I leghisti d’Isera vorrebbero adottare colla stampa lo stesso metodo che colle conferenze. Essi più volte frustrarono conferenze nostre coi mezzi più incivili e illegali. Ad Aldeno ostruirono la strada; in altro luogo minacciarono di spezzare le finestre, se la conferenza fosse stata privata, e quando fu dichiarata pubblica, ne impedirono con minacce l’accesso. Essi soffocano con grida l’avversario se sono in maggioranza; se sono in minoranza fanno la commedia di fingere che uno dei loro sia già nominato presidente dell’autorità politica che diede il permesso della conferenza, e se il gioco non riesce allora il convocatore lascia cadere l’adunanza. Ma se le commedie e le stesse violenze – per una inesplicabile tolleranza di coloro che sarebbero chiamati a sorvegliare l’ordine pubblico e il rispetto alla legge; tolleranza contro la quale si deve una buona volta elevare pubblica protesta – possono impedire qua e là la parola, vano sarà ogni tentativo di soffocare la voce della stampa; e il silenzio di chi pure dovrebbe parlare, non sarà che una nuova conferma e una maggiora condanna delle menzogne e delle violenze con cui un’agitazione anticlericale e ispirata all’odio di classe, cerca di fuorviare gli agricoltori coll’aiuto dei socialisti ed anche dei liberali, per odio contro di noi; hanno perduta l’ultima briciola di cervello.
459cf90f-b119-40a6-b2ab-b546048a06f4
1,911
3Habsburg years
21911-1915
«L’Alto Adige» di giovedì se la prende col vescovo per il telegramma mandato domenica scorsa alla riuscitissima adunanza costitutiva della Alleanza dei contadini della Vallagarina . L’Alto Adige non vuole «fare dei fervorini» per la Lega d’Isera. «Ci siamo sempre ritenuti molto riserbati nei suoi riguardi» . Così egli assicura, e quando lo dice lui, dev’essere così e sarebbe un’improntitudine ricordargli le corrispondenze laudatorie o autolaudatorie del Valle, in cui si dicevano piaghe dei popolari, annunziando in pari tempo la riscossa dei contadini; sarebbe un’improntitudine ricordargli un articolo di fondo della scorsa primavera in cui cercava di demolire il deputato parlamentare della Vallagarina e parlava con grande compiacenza del movimento leghista. E neanche adesso l’Alto Adige respinge la Lega d’Isera. Sta a vedere se potrà trarne frutto, ciò che oggi non gli sembra sicuro: ecco tutto. Uditelo: «... non ci facciamo un riguardo al mondo a dire, che noi non ci sentiremmo di consigliare il nostro partito appoggiarsi ad un elemento che potrebber bensì dargli, in certi luoghi e in certe circostanze, una prevalenza, ma che non può per ora offrire alcun affidamento di stabilità. E non c’è nulla di più pericoloso per un partito politico che il perseguire dei successi effimeri». Dunque se lo tengano a mente coloro che vi hanno interesse: benché la lega e il Contadino facciano lotta di classe, benché parlino di «grassi borghesi», benché se la prendano sopratutto colle questioni dell’università, dell’autonomia e degli impiegati, l’Alto Adige quando potesse sperare dalla Lega aiuto sicuro e stabile contro i clericali sarebbe pronto a stringere l’accordo e muovere di conserva all’assalto. Dopo tutto ciò l’Alto Adige tratta da «insinuazione» l’appoggio dei liberali alla Lega; come lui stesso non le avesse prestate le sue colonne, come non fosse noto che la Lega – prima di affermarsi sull’Adami – cercò due candidati liberali, tutt’altro che contadini; come se non fosse noto che specialmente i liberali di Rovereto e i loro amici agitarono per la Lega e che, già in parte nella prima votazione e tutti poi nel ballottaggio i liberali della Vallagarina appoggiarono il candidato della Lega. E anche l’Alto Adige è disposto a entrare nella partita quando avrà maggiore affidamento di riuscita e stabile riuscita. Non gli importa che i leghisti, nel collegio urbano meridionale, abbiano dato il voto al candidato socialista, mettendo in gravissimo pericolo quello liberale; e sembra oramai che sia rassegnato a lasciare le città in mano dei rossi, per conquistare, con tutte le arti e a costo d’ogni connubio, i collegi rurali, strappandoli ai popolari. Una bella politica: non c’è che dire! Ma torniamo a noi. «L’Alto Adige» se la prende col Vescovo e col suo telegramma. Il Vescovo, secondo lui, ha designato il movimento leghista come «riprovevole ed anticristiano, per il fatto ch’esso vuole l’indipendenza dei contadini dai partiti politici». Ci vuole un bel coraggio a vendere tali panzane, dopo che tutti sanno che cosa ha fatto e cosa fa la Lega d’Isera. Questa Lega ha nel suo statuto un paragrafo tolto di peso dallo statuto dell’Unione politica popolare, nel quale si afferma espressamente il principio cattolico della concordia fra l’autorità religiosa e civile nei reciproci rapporti e ciò nell’interesse del pubblico bene. Anche in uno dei manifesti elettorali dei candidati della Lega si parlava d’accordo coll’Episcopato. Ora la Lega d’Isera e i suoi fautori, ben lungi dall’attenersi a tali norme, sembra che le abbiano proclamate solo per buttar polvere negli occhi e per smentirle coi fatti. È noto ormai a tutti il trattamento che i leghisti usano contro il clero: gli schiamazzi notturni contro la canonica di Calavino, il canto delle esequie sotto la finestra del curato di Padergnone che fra il resto nulla aveva a che fare colla lega, i leghisti e il loro movimento, per la semplice ragione che già da tempo era inchiodato in letto e cominciava appena a migliorare, gli sghignazzamenti contro il vecchio parroco di Volano, e tutta una filza di discorsi ed atti ostili coll’effetto che in parecchi paesi il popolo fu allontanato dalla chiesa e dai sui doveri religiosi. È noto che di recente il Contadino, gettando la maschera più che mai non facesse, attaccava l’autorità diocesana, accusandola di non occuparsi «altro che nell’inventare nuovi trust, nell’erigere banche, nell’accumulare capitali, nell’incamerare commerci, industrie ed omnis omnia». Né solo si lanciavano sì vergognose calunnie contro chi presiede nella nostra diocesi ma ben anche contro «l’alta gerarchia» della Francia, del Portogallo e della Spagna, alla quale si rinfacciava di essere «l’origine di tanti guai in quelli stati». Dicemmo altre volte – e non vogliamo ripeterci – della lotta di classe attizzata dalla Lega d’Isera e dal Contadino sull’esempio e coi metodi socialisti, non esclusa la violenza. E l’autorità ecclesiastica, di cui gli statuti e i proclami elettorali si professano devoti; l’autorità ecclesiastica cui spetta giudicare se un movimento sedicente cristiano, sia tale davvero o solo per finta, deve tacere? La sua parola – benché non potrebbe esservi dubbio sul giudizio che l’autorità era costretta a formarsi di tale movimento – era attesa con desiderio da migliaia di onesti contadini: essa venne e le accoglienze che le furono fatte, ben dimostrarono quanta eco trovasse nei loro cuori. Preme ciò all’Alto Adige? Gli rincresce che la Lega d’Isera non possa più con arti subdole consolidarsi, per trarne poi il profitto a vantaggio dei liberali nelle vallate? Abbia pazienza! Non gli manca da fare in città; in ogni modo non tenti neppure di far apparire la Lega come un’istituzione incolore, indipendente dai partiti e che non si occupa affatto di questioni toccanti il principio religioso. Se ne occupa anche troppo, sia direttamente che indirettamente; e se ne occupa in modo da confondere le menti e ingannare i semplici, cosicché era diritto e dovere di chi vigila, di intervenire e chiarire le cose per il bene dei singoli e della collettività. Ma l’Alto Adige trova strano che l’autorità diocesana non faccia contro il Volksbund ciò che fece contro il nuovo movimento anticlericale nelle vallate e che anzi lo appoggi, ponendo a Vadena e a Luserna preti tedeschi nonostante le proteste e le recriminazioni dei curaziani. Ora dovrebbe essere noto anche in casa dell’Alto Adige che nella nomina dei curati c’entrano il Comune e i capifamiglia, cosicché è vano ed ingiusto riversare le responsabilità sull’autorità diocesana; e quanto al favorire in genere il Volksbund, non si comprende davvero come sia possibile tale accusa, dopoché da parte del clero trentino che vive nella massima armonia col suo Vescovo, in Fassa, in Folgaria e nei luoghi minacciati fu spiegata un’attività che riscosse anche in altri campi ripetute approvazioni e senza la quale sarebbe stata impossibile la difesa contro gli invasori. In compenso, ora l’Alto Adige attacca il capo di questo clero e vuol metterlo in contradizione con se stesso. A buoni conti, il e i suoi capi non pretesero mai di essere una società cattolica e di sfruttare ai loro scopi l’Episcopato; e del resto è ben noto quanta sia la disapprovazione di chi ha la cura del popolo cristiano contro le mene germanizzatrici, che portano tante discordie, compromettono l’istruzione religiosa e possono aprire la strada a infiltrazioni tutt’altro che ortodosse. In proposito, tanto fu detto e scritto e fatto, che non v’è davvero bisogno d’aggiungere parola. In caso, vi è solo da raccomandare ai liberali che in qualche luogo, non facciano alleanza col Volksbund, come già aiutarono la Lega d’Isera, per avversione contro i «clericali». Il Popolo – che da qualche tempo forse in compenso dell’indulgenza e in parte dell’amicizia dei liberali col deputato socialista di Trento – fa la parte di moretto dell’Alto Adige, reca anche lui stamane nientemeno che una lettera aperta al Vescovo per il telegramma spedito a Mori . Il punto culminante della lettera è in ciò che il Popolo confessa un’altra volta con tutta franchezza che il movimento leghista è «anticlericale». Per essere convinti di ciò, basta rammentare, oltre tutto il resto, le recenti calunnie lanciate nel Popolo dai leghisti contro il clero trentino, accusato di curarsi dei contadini solo per sfruttarli e scialarsela, possibilmente, alle loro spalle. Però, dice il Popolo, anticlericale non vuol dire anticristiano. Eh, via! Sono le vecchie bubbole. Che razza di cristianesimo è quello che predica la lotta di classe e attacca il clero dell’Episcopato? Se i leghisti seguissero un indirizzo cristiano, il Popolo non aprirebbe loro le sue colonne e non li appoggerebbe. Invece sembra ch’esso sia diventato addirittura l’organo della Lega d’Isera, tanto che la relazione del comizio di Rovereto, non comparve finora sul Contadino, ma soltanto sul Popolo. Da essa risulta che la lega fu estesa a tutto il Trentino, e che oltre l’Adami parlarono Saiani di Avio e P. Bosetti di San Lorenzo, due segretari comunali le cui mani conoscono ben poco la zappa ed i calli. Ma ormai si sa che la Lega d’Isera, quando può valersi di liberali o socialisti che l’aiutino non bada più alle «mani callose». Dapprincipio essa si rivolse a signori liberali, offrendo loro l’uva acerba della candidatura; accettò l’aiuto del socialista Saiani, quello del Valle, del Bosetti; è solo dal clero che si tiene lontana, perché «i preti non sono contadini». Saiani, Valle, Bosetti sono contadini... onorari. È proprio lo stesso fenomeno che si manifesta fra gli operai socialisti che respingono ogni relazione coi cattolici colti e col clero perché questi non sono operai; ma accettano tosto l’aiuto di accademici gettatisi nell’internazionale, punto badando se non conoscono nemmeno di vista gli attrezzi di un mestiere. A questo mondo la logica non c’è per nulla!
9f6983d2-a024-4a4c-ac6b-70f0f7203487
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Nel nostro lavoro di organizzazione nessuna legge deve imporsi con più rigore che quella della simplicità. Un lavoro contraddittorio o sovrapposto, una complessità superflua e pesante ci porteranno a risultati negativi. Ma un organismo per riuscire semplice, agile e vivo dev’essere anzitutto calcolato e studiato sul luogo ed adattato all’ambiente. Nella costituzione di organizzazioni nuove non ripetiamo quindi l’errore compiuto altra volta di applicare indistintamente ed in tutti i luoghi lo stesso statuto, le stesse forme. Il propagandista, l’organizzatore deve anzitutto essere un osservatore. Teniamo fermo che lo scopo del nostro lavoro dev’essere triplice: educazione morale, progresso economico, elevazione politica del popolo trentino. Fissato questo, vediamo, luogo per luogo, in quale forma e con quale mezzo sociale raggiungeremo lo scopo. È sempre dunque sugli amici della sede sociale che ricade e ricadrà il lavoro principale, la responsabilità prima ed è ad essi che va attribuito il merito sopra gli altri. La centrale può offrire consigli e impulsi, ma il lavoro permanente verrà supportato dalle forze locali. Frattanto per sopperire alle urgenze della propaganda e mantenere una linea di condotta unitaria, per accordi intervenuti fra la direzione dell’Unione politica e del comitato diocesano si è costituito provvisoriamente un unico ufficio di propaganda che ha la sua sede nella casa del Trentino. Invitiamo quindi gli amici e le società che volessero consigli ed aiuti per tutto quanto riguarda l’organizzazione di coltura, politica o professionale di rivolgersi a quest’ufficio. L’ufficio stesso potrà poi eventualmente dirigersi a persone determinate, delle quali sia opportuno o desiderato l’intervento. Contemporaneamente ci sia lecito esprimere l’augurio e il desiderio che si provveda in modo analogo anche per le iniziative economiche in una forma più intensiva e più comprensiva di quello che si sia potuto finora. Bisogna che le nuove società le quali stanno sorgendo possano approfittare delle passate esperienze e, pur avendo la massima autonomia, riescano a reintegrare e rinvigorare tutto quello che di buono e duraturo ha creato il movimento economico.
65b52941-4192-43aa-911f-f7257243c1c4
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Il partito socialista trentino aveva convocato per sabato sera un comizio «per impedire che la carestia aumenti e sia nel prossimo inverno apportatrice di mali peggiori». La sala della palestra conteneva quasi tutta partigiani dei convocatori, fuori invece una lunga coda di gente assisteva e ascoltava senza partecipare né con approvazioni né con votazioni nel comizio. L’on. Battisti fece la relazione e presentò l’ordine del giorno, nel quale «i cittadini di Trento fanno atto di solidarietà con il popolo di Vienna» , protestando altamente contro la politica affamatrice fatta dal governo in favore dei magnati ungheresi e dei grandi industriali cartellisti, biasimando il contegno dei partiti, compreso, naturalmente, i popolari trentini che reclamano la carne dall’Argentina e dalla Serbia. Un operaio della Camera del Lavoro dice che il sangue proletario di Vienna va vendicato e che bisogna rispondere occhio per occhio, dente per dente. Il segretario dei socialisti ufficiali coglie invece l’occasione per far propaganda per le Sedi Riunite e le Centrali viennesi, invocando le organizzazioni di mestiere. Infine il d.r Piscel, che presiedeva, aggiunge un’untuosa raccomandazione di star buonini e di non far gazzare, non essendo l’occasione, ma di star pronti, quando venisse la nuova chiamata dei corifei viennesi. Fuori grande apparato di forza, guardie e gendarmi. Ma le persone fatte si astennero da qualunque moto. Solo un centinaio o poco più di giovinotti, circondati dalle guardie volteggiarono attorno al sass, andando a passo di carica e cantando a squarciagola la Carmagnola. Dinamite ai palazzi, alle chiese ... Pugnaliamo l’odiato borghese. È l’inno dei giovanissimi, il vecchio del Turati tira meno. E così sotto una pioggerella insistente finirono di «dimostrare». Della relazione del deputato di Trento c’è poco da dire. Notevole che se la prese anche coi cartelli e colla grande industria. I socialisti, sotto le pressioni dei cristiano sociali, vennero costretti negli anni ad assumere un atteggiamento più energico anche contro il capitale organizzato. Non va dimenticato però che codeste sono frasi da comizio. I fatti hanno un linguaggio ben diverso. Quasi tutto il capitale organizzato nei trusts, nei cartelli, nei Pools quasi tutti i fornitori e gli sfruttatori della grande industria risiedono a Vienna. Essi formano nella capitale una fortissima lega d’interessi, ben più potente di qualunque governo e di qualunque parlamento. Questa plutocrazia che è in stretta relazione coi suoi compari di Francoforte, Parigi, Londra e Nuova York detta legge sul mercato del danaro, perciò del commercio, sull’industria e sulle manifatture. È quindi essa che anche là dove la sua mano non arriva direttamente, contribuisce in gran parte a stabilire il rapporto fra il prodotto ed il danaro, cioè il prezzo. Di più, spinta dallo stesso istinto di sfruttamento, essa ha figliato la grande organizzazione del commercio intermedio che rincarisce del doppio e perfino del triplo non solo il prodotto industriale, ma anche quello agricolo. Manifestamente tale organismo esercita un’enorme pressione sui poteri politici. Manifestamente la sua mano s’allunga dentro i ministeri e muove nel suo senso il torchio tributario o dirige la penna di chi prepara i trattati commerciali. Orbene: politicamente tutto questo collegamento d’interessi risponde al nome di partito ebreo-liberale viennese e parla al pubblico mediante i suoi organi strapotenti Presse, Zeit, Tagblatt e tutta la giornaglia semitica minore, ispirando anche altri giornali d’altre nazioni, che non rappresentano gli stessi interessi, ma sono indotti a propugnarli da una quasi inconsapevole solidarietà libero-radicale. Se dunque le frasi socialiste da comizio fossero qualche cosa di più, se esse corrispondessero ad una storia materiata o almeno ad un logico indirizzo politico per l’avvenire, dovremmo trovare nel passato una lotta accanita del partito socialista contro questo partito della plutocrazia o almeno un fermo atteggiamento in questo senso di fronte all’avvenire. Ma non è così. Il partito socialista, sotto influsso semitico, fornì a Vienna i gianizzeri per i finanzieri nella lotta contro la riforma cristiano-sociale, che in tutte le leggi, in tutti i provvedimenti si trovò sempre di fronte a codesti strani alleati. Quando si pensa che tutte le imprese municipali di Lueger – che ora, morto lui, anche gli avversari continuano a lodare – trovarono la concorde opposizione della Presse e dell’Arbeiterzeitung; quando si ricorda che già nel 1901 confessarono di dover parte del loro fondo elettorale alla plutocrazia borghese, quando si ricorda che nelle ultime elezioni, i loschi speculatori di borsa, i cartellisti, i grandi finanzieri strinsero apertamente alleanza coi capoccia rossi e vinsero combattendo l’uno accanto all’altro contro il partito del ceto medio, conviene conchiudere che da questa parte i rincaratori non hanno nulla a temere. L’ha del resto detto chiaro e tondo non più tardi della scorsa settimana un organo della borsa. Le frasi non sono quindi, per quanto riguarda gli sfruttatori della situazione economica, che delle cartucce vuote. Forse gioveranno contro le spese militari? Noi dubitiamo assai che gli atteggiamenti e le teorie socialiste possano contribuire a entusiasmare i governanti per il disarmo. Quando in ogni occasione si predica la violenza e, come accadde a Vienna, si aizza il popolo a distruggere la proprietà pubblica o privata, e tuttavia si vuole d’altro canto raggiungere la libertà e la pace, vuol dire che s’è sbagliato strada o che, in realtà, si tende all’organizzazione della violenza di una classe contro le altre. Orbene, l’invocazione di una dittatura del proletariato è il mezzo peggiore per raggiungere il disarmo di una società che, nella maggioranza non la vuole a nessuno costo. Così, illogici ed incapaci a qualunque azione positiva, i socialisti finiscono con lo scagliarsi contro i partiti che arrestano i trionfi della loro demagogia. Anche il deputato di Trento ha dovuto naturalmente scagliarsi contro i popolari, descrivendo a suo modo l’ultima votazione intorno alla carne argentina. La verità è che fino alle ultime elezioni la carne argentina, malgrado tutti i trattati, venne introdotta; dopo invece la strepitosa vittoria degli alleati radicali e socialisti, carne argentina non se ne vide più. Eppure nella nuova camera gli alleati del giugno costituiscono la maggioranza, ed il «clericalismo» nelle ultime elezioni venne sconfitto, disfatto! Prima, evitando lo scoglio del trattato conchiuso segretamente nel gabinetto Beck, se ne potè introdurre una certa quantità, ora sollevando la questione del trattato, si provocò la resistenza ungherese, che probabilmente non potrà venir rotta se non con controconcessioni. Ma ai socialisti basta «dimostrare», ed in modo speciale «dimostrare» contro tutti i loro avversari politici. La loro massa è avvezza così. Nessuno si leva a chiedere: Ma voi, capi del partito colle vostre società che cosa avete tentato contro il rincaro? Non c’è proprio mezzo d’intervenire anche con forza nostra, con provvedimenti propri? Non avreste forse potuto incominciar voi? I popolari hanno facilitato con numerosi consorzi il piccolo credito, hanno facilitato la compera ed il prestito del denaro, hanno organizzato in numerose Cooperative il piccolo commercio, abbassando o tenendo relativamente bassi i prezzi, migliorando i generi. Chi sa dire come si sentirebbe ora nel nostro paese l’attuale situazione economica, se i consumatori fossero ancora tutti alla mercè del commercio intermedio? E un’infinità d’altri consorzi non hanno tutti lo scopo di irrobustire economicamente il nostro paese e renderlo meno dipendente sul mercato del mondo? Sta bene protestare contro i popolari, ma cosa avete fatto voi per averne il diritto? O vorreste rompere le lastre ai «preti», perché la loro società operaia nella costruzione di un bel gruppo di case operaie ha tentato di combattere il rincaro delle pigioni. Per questo noi dovremmo attaccare «il vaticano» e lasciare invece indisturbate – supponiamo – le vostre ville, o i palazzi dei vostri sostenitori? Siffatte domande, in una adunanza calma, potrebbero un giorno uscire dalla platea e dirigersi ai demagoghi del palcoscenico. Perciò e per paura di ciò – essi griderannno più forte contro gli altri ed insegneranno che per conto loro, basta «dimostrare». È agli altri ora cui tocca provvedere a tutto, anche alle lastre infrante. Loro hanno... «dimostrato».
ad44d488-a9f0-4e34-a9f3-a065bf74e2dd
1,911
3Habsburg years
21911-1915
La direzione del Comitato diocesano per l’azione cattolica tenne venerdì un’importante seduta, la quale oltre che degli affari amministrativi in corso si occupò dello stato presente dell’azione cattolica ed in genere della nostra organizzazione non politica. Fu data anzitutto notizia della costituzione dell’Ufficio di propaganda presso il segretariato del Comitato diocesano . La direzione decise di invitare tutti gli amici e gli interessati che hanno bisogno di consigli o di conferenzieri per lo sviluppo delle società esistenti o per la costituzione di nuove società di carattere sociale o professionale di rivolgersi – nell’interesse di un’azione coordinata e regolare – esclusivamente al segretariato del Comitato Diocesano. Si rilevò l’urgenza di una ripresa generale del lavoro di organizzazione e di propaganda. Il Comitato fa appello al buon volere ed allo spirito di sacrifizio delle forze locali. Per suo conto non manca alla sua funzione, sia provvedendo al segretariato, sia alla propaganda scritta coll’appoggiare la stampa e colla biblioteca circolante, la quale inizierà fra breve la sua opera benefica. Si ebbe una discussione interessante anche sui rapporti fra le nostre società centrali, per concludere che la Direzione del Comitato nella quale hanno voto tutti i capi delle centrali, è naturalmente chiamata ad eliminare le differenze che si manifestassero fra i singoli consigli direttivi. L’accentuare invece tali differenze che sorgessero in pubbliche manifestazioni recherebbe danno al nostro movimento. C’è infatti al di sopra delle singole responsabilità sociali o amministrative una responsabilità morale più vasta, la quale deriva dal fine ultimo di tutta la nostra azione, che è il progresso sociale cristiano del Trentino. A questo scopo dobbiamo tenere concordi, sapendo infondere anche alle migliaia di nostri aderenti quella fede e quell’energia di lavoro che dà la coscienza di essere parte viva d’un organismo unico, in cui tutte le forze sono subordinate allo scopo comune, sinceramente, coerentemente e disinteressatamente voluto. La Direzione deliberò inoltre di convocare entro il 1911 possibilmente in novembre l’adunanza generale del Comitato Diocesano. In autunno il Comitato inizierà anche le trattative per convocare nell’estate del 1912 il secondo congresso generale dei cattolici trentini.
1703a2cf-eb91-43c6-b1ac-25a99dc021b5
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Domani si raccoglie ad Innsbruck il congresso socialista tedesco. Il convegno richiamerà di nuovo la nostra attenzione sul trattamento del problema nazionale da parte degli internazionalisti. Quando Marx e Engels fissarono i capisaldi della nuova dottrina, s’erano sbrigati dei problemi nazionali e linguistici con una curiosa mutilazione della storia. Secondo Engels, nazionalmente parlando quel ch’era stato era stato. Le nazioni che si erano evolute politicamente avevano raggiunto il culmine del loro sviluppo sociale, e tanto meglio! Le altre, rimaste addietro, erano le nazioni senza storia, «die geschichtlosen Nationen», come le definisce Engels, e per loro il ciclo nazionale era definitivamente chiuso. Ora incominciava l’avvento del quarto stato colla forza distruttrice ed assimilatrice della solidarietà internazionale. Rispetto a questo fatale andare della storia, non appariva ogni moto per l’indipendenza nazionale come un ritardo del progresso internazionale, una deviazione piccina dai grandi scopi dell’umanità? In questo senso la dottrina marxista fu fino dalle sue prime formule antinazionale e da questo punto di vista giudicò Engels, come è noto, le imprese di Mazzini e la rivoluzione italiana, oggi con lo stesso criterio scrive il Kautsky intorno ai problemi nazionali austriaci. Ma la storia non si è arrestata ai limiti segnati dai dottrinari socialisti. Il nazionalismo è divenuto un elemento della vita pubblica. Le nazioni «senza storia» tentano di crearsene una e specialmente dove il nesso politico di uno stato fa loro provare l’egemonia di una nazione storica esse sentono codesta storia come un passato di oppressione dal quale faranno ogni sforzo per liberarsi. Siamo al problema nazionale austriaco. Come lo scioglierà l’internazionalismo marxista? Quando l’Adler radunò i suoi fidi al congresso di Bruna e propose il noto programma autonomista, egli credeva di sbarazzare il campo da tutte le questioni nazionali, confinandole nella descrizione programmatica di uno stato di cose molto lontano. Autonomia, politica per tutte le nazioni federate per i comuni interessi economici nello stato austriaco, distruzione quindi di tutte le provincie storiche, ecco la teoria per lo stato avvenire austriaco. Ci sarebbe naturalmente un parlamento comune, il quale secondo le dichiarazioni di Bruna, dovrebbe provvedere alla pratica applicazione della teoria. Si capisce subito che un siffatto specchietto di storia patria era riquadrato per le obiezioni o per i gusti della gente di fuori. Adler dava in mano ai propagandisti un prontuario per rispondere ai borghesi che tentassero richiamarsi all’originaria teoria marxista. Che la questione sorgesse dentro le sue proprie fila e che la soluzione potesse avere un pratico risultato entro l’organizzazione del partito stesso non volle né potè pensare. Il partito non veniva rinsaldato a colpi d’odio di classe? E quando fra i lavoratori comparisse la zizzania nazionalista, non sarebbe bastato richiamarsi alla lotta comune contro l’internazionale sfruttamento della borghesia? È l’illusione di cui vollero pascersi per tanti anni i socialisti viennesi ed è la tattica, alla quale ricorrono tutt’oggi i compagni triestini. Ci sono paesi però in cui la tattica di Valentino Pittoni è completamente fallita ed è qui che il problema si riaffaccia ai socialisti nella sua pratica difficoltà. È noto che gli czechi si sono ribellati alla direzione centrale ed hanno costituito un partito proprio indipendente . La ragione, per quanto si cerchi di addurne delle altre, va cercata nei conflitti nazionali. Gli operai slavi accusano l’organizzazione del partito marxista di trattare il problema nazionale entro le proprie file coi criteri dei borghesi tedeschi e parlano di oppressione centralista. Ad Innsbruck ora il D.r Adler affronterà il problema non in un dibattito cogli czechi, i quali sono assenti, ma di fronte alla pretesa di quei tedeschi, i quali reclamano da tempo la formale radiazione dei ribelli dal partito internazionale austriaco. Ma questa sarà davvero puramente una questione formale. L’essenziale è considerare il metodo socialista di sciogliere il problema dentro la propria organizzazione. Hic Rhodus. Non si tratta dello stato avvenire a spalle del passato dei borghesi, ma dello stato d’oggi a costo del presente socialista. Il D.r Adler si troverà in un grave imbarazzo. Ma, infine, non sarà in ogni caso l’unica contraddizione. Non abbiamo letto recentemente che i capi socialisti, dopo aver lamentata l’attuale depressione industriale ed aver infuriato per tanto tempo contro il caro viveri, si sono risolti ad aumentare le tasse per i sindacati e le imposte di partito?
1fc89fa0-dae3-499c-b729-ff52b3fa5c4e
1,911
3Habsburg years
21911-1915
[...] DEGASPERI [...] La questione viene studiata a lungo ed è in parte anche risolta , solo che è piuttosto necessario che mediante questo congresso e la nostra stampa gli amici conoscano bene il pensiero della Direzione. Dell’organizzazione professionale dei contadini i cattolici si occuparono già ai primordi della loro azione e il D.r Cappelletti nel congresso di Pergine presentò a suo tempo uno statuto per le Unioni professionali agricole. Di poi sporadicamente e per iniziative locali sorsero società che ebbero nome e scopo agricolo, come la lega della Valsugana, la lega degli agricoltori in Vallagarina, ecc. Altre società ebbero lo scopo di classe se non il nome. Quattro anni fa nel convegno di Bolognano convocato dal Comitato Diocesano si discusse la fondazione d’una società di classe per i contadini, mezzadri. Più tardi il D.r Carbonari nella maggior parte dei casi senza previo accordo colle nostre centrali, ma per iniziativa sua, cominciò la sua propaganda che si andò svolgendo poi anche in unione con altri propagandisti durante la lotta colla Lega d’Isera. Venne frattanto la campagna elettorale e in questo periodo non si ebbe naturalmente tempo di determinare i criteri più opportuni della propaganda; ma subito dopo in tre adunanze frequentatissime di fiduciari a Sacco, a Vezzano e a Ponte delle Arche, il Comitato Diocesano sottopose ai convenuti in gran parte contadini, la questione dell’opportunità e delle forma della nuova organizzazione. In tali occasioni l’oratore richiamò l’attenzione sui seguenti punti: È un errore il credere che la forza vitale del nostro movimento possa trovarsi nel modificare organizzazioni economiche esistenti o nel crearne di nuove. La vitalità dipende piuttosto dall’istruzione e dalla formazione delle coscienze e questa va fatta nelle società di coltura e d’istruzione esistenti o che si dovrebbero fondare. Bisogna distinguere tra le condizioni nostre particolari e quelle di altri paesi ove son sorte organizzazioni di classe pei contadini. In Tirolo p.es., nell’Austria superiore ed inferiore, il Bauernbund è essenzialmente politico e sostituisce quell’organizzazione che noi abbiamo nell’Unione politica popolare. In questo campo noi abbiamo quindi il compito non di fondare nuove società ma di organizzare più democraticamente e dare più larga base all’Unione politica popolare. In Baviera invece, p. es., e nelle altre provincie della Germania il Bauernbund è economico, cioè si occupa dello smercio e della compera dei generi di economia rurale. In tali paesi però non esiste una cooperazione del nostro indirizzo, cosicché le associazioni di contadini vengono colà ad esercitare solo una piccola parte delle funzioni che esercita la nostra cooperazione. In queste adunanze abbiamo conchiuso quindi che, in quanto ai loro scopi economici, le leghe non si presentano come necessarie. Se però per altre ragioni d’opportunità si ritenesse utile il promuoverle, si avvertisse bene, che non venissero a collidere con le funzioni e con l’ambito delle società economiche esistenti. Per soddisfare poi ad un eventuale bisogno di organizzazione di classe, che dopo accurato esame delle condizioni locali si ritenesse esistere in una data regione, venne consigliata l’organizzazione professionale ossia il sindacato agricolo di mestiere analogo a quello già esistente per gli operai industriali. Nacque così e con questo carattere, l’Alleanza dei contadini di Valle Lagarina della quale a suo tempo fu pubblicato nella Squilla il manifesto proclama. Lo stesso si fece per il bacino di Vezzano. Parallelamente il d.r Carbonari, in qualche caso per espresso incarico nostro, molte altre volte per iniziativa sua personale continuava la sua propaganda per le leghe dei contadini. Senza dubbio in tutto questo movimento non venne seguito sempre un criterio direttivo eguale, ma ritengo che l’adunanza generale non debba oramai decidere come principio se tali società si debbano fare o non fare; prima perché parte del problema è praticamente già risolto, secondo perché non è possibile applicare un principio generale a tutte le condizioni locali. Noi dobbiamo affermare alcuni criteri direttivi e poi imporre nella pratica a tutti i propagandisti che vogliono farsi iniziatori di tali società, di sottoporre all’esame di un organo a ciò stabilito, le condizioni particolari di ogni singolo caso. Per le società di carattere professionale è senz’altro chiamato a decidere il Comitato Diocesano mediante la sua Direzione o il suo Segretariato. Per le organizzazioni di carattere consorziale dovremmo pregare la Federazione dei consorzi che si assuma l’incarico di disciplinare tale movimento. Ma frattanto poiché si tratta anche dell’opportunità o meno di fondare l’uno o l’altro tipo, sarà meglio invitare i propagandisti e i fattori locali a rivolgersi senz’altro al Segretariato del Comitato Diocesano, il quale a seconda dei casi si rivolgerà per parere anche ad altre persone. L’oratore termina presentando un analogo ordine del giorno. [...] L’ordine del giorno L’adunanza generale del Comitato Diocesano, udita la relazione del d.r Mattei e dopo esauriente e animata discussione: 1. Raccomanda alle società operaie e ai circoli di lettura di intensificare nella imminente stagione invernale la loro opera di propaganda d’istruzione e di educazione popolare. 2. Richiama l’attenzione del Rev. Clero e dei direttori dell’azione cattolica locale sulla necessità che le società economiche mantengano lo spirito cristiano per il quale sono sorte e diano sostegno alle società di coltura. 3. Nell’istituzione di nuove società professionali od economiche raccomanda di tener presenti i seguenti punti: a) se la nuova società, date le condizioni locali sia opportuna; b) che in ogni caso la funzione della nuova società si coordini alle funzioni delle società già esistenti; c) che trattandosi di consorzi economici si ponga mente alle responsabilità che essi si assumono, avvertendo che sarebbe grave errore il non far tesoro delle esperienze già avute nel movimento cooperativo. 4. Viene ritenuto e richiesto in tale azione come doveroso il previo accordo col Comitato Diocesano rispettivamente col suo segretario.
14bcf620-420a-4e84-89cc-c2c48c4000c8
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Le presidenze delle associazioni centrali raccolte in apposita seduta sotto la presidenza del comitato diocesano per l’azione cattolica, di fronte all’incivile e settaria dimostrazione inscenata a Bolzano contro S.A. il P. Vescovo, hanno votato ieri ad unanimità il seguente ordine del giorno. La dimostrazione venne promossa e favorita da quella parte di tedeschi della provincia, i quali ripetutamente facendo opera d’invasione e d’aggressione, hanno rotta la pace nazionale dei nostri paesi e causato turbamenti nel campo religioso. Costoro si sono sentiti colpiti in pieno petto dall’opera di S.A. il P. Vescovo e dalle pubbliche dichiarazioni ch’egli fece in favore dell’equità e della pace nazionale, indotto a ciò soprattutto dagli effetti reali che nel nostro paese e nei singoli casi portò l’azione svolta in nome e per conto del «Tiroler Volksbund». Il fatto della dimostrazione stessa promossa contro il Vescovo, recatosi a Bolzano per l’esercizio della sua missione apostolica e pastorale e le circostanze in cui si svolse, confermano pienamente la convinzione di tutti i cattolici trentini attorno al carattere e alle finalità dell’azione volksbundista, come si esplica nella nostra terra. Mentre quindi protestano energicamente, con sentimento di cattolici e di italiani, contro l’oltraggio recato alla dignità e alla persona del P. Vescovo, esprimono a Lui somma riconoscenza per l’opera assidua e per la parola franca ed autorevole in favore della pace religiosa e della giustizia nazionale, e lo assicurano della devozione e dell’affetto imperituro di tutti i buoni trentini. Richiamano di nuovo l’attenzione del nostro popolo sulle tendenze degli invasori, rivelatesi fra invettive contro il successore di S. Vigilio e gli inneggiamenti a Bismarck, rinnovando l’invito ad un’unanime, cosciente, invincibile resistenza contro i germanizzatori. Colgono l’occasione per ripetere l’augurio che quella parte di cattolici tirolesi che pubblicamente condividono la responsabilità dell’azione del Volksbund, senza inspirarla, trovino finalmente il coraggio di rompere una solidarietà la quale compromette i loro principii e mette continuamente in pericolo qualunque possibilità di collaborare per il bene morale e sociale dei due popoli. Avv. D.r Cappelletti, Edoardo De Carli, D.r A. Degasperi, D.r G. de Gentili, Don G.B. Panizza, B. Paolazzi, Don S. Weber.
a74c8d8e-fed1-4edb-a8da-79ea6022e51c
1,911
3Habsburg years
21911-1915
La nostra adunanza generale, come s’è visto, s’è occupata anzitutto della organizzazione popolare, con speciale riguardo alla classe dei contadini. Le opinioni dei nostri amici non si coprivano perfettamente. Senza voler tentare una classificazione perfetta, si può dire che le tendenze più forti erano due. Premessa la pregiudiziale, sulla quale tutti erano d’accordo, che il nostro indirizzo morale e la vitalità del nostro movimento prima di ogni altra associazione va curata anche a costo di grandi sacrifizii, la società di istruzione, di propaganda e d’idee, si avvertiva una divergenza quando si trattava di una società con carattere o con scopo prevalentemente economico. La divergenza non era di sostanza, ma piuttosto di forma e di tattica. Tutti erano d’accordo nel volere l’unione del popolo, in modo speciale dei contadini per la loro elevazione morale ed economica. Fu rilevato anzi che per lo meno il novanta per cento di lavoro di organizzazione e dei benefici risultati ottenuti fino ad oggi riguardano appunto la classe dei contadini. La nostra adunanza generale quindi non ha fatto che rimanere fedele alla storia del nostro movimento, dichiarandosi in via di massima favorevole all’organizzazione dei contadini, anzi caldeggiandola. Ma trattandosi della forma più opportuna e della tattica da seguirsi, alcuni ritenevano essere meglio intensificare l’attività dei consorzii cooperativi esistenti, affermando ch’essi, per il loro statuto e per la loro costituzione, sono di per sé chiamati ad esercitare quelle funzioni di smercio e di compera cumulativa, che dovrebbero essere il compito precipuo dei nuovi consorzi (leghe di contadini), altri invece sostenne l’opportunità di diffondere e di allargare sistematicamente le «leghe dei contadini», pur sempre avvertendo che si esercitassero le loro funzioni d’accordo ed in buona armonia colle cooperative esistenti. Altri ancora accentuarono piuttosto l’opportunità di soddisfare al senso di classe dei contadini, fondando leghe professionali dei contadini, chiamate sull’esempio di quella di Villa Lagarina «alleanze». Questa alleanze sono sindacati di mestiere per i contadini, che si occupano in genere di elevazione morale e materiale della classe: provvedono cioè all’istruzione, alla consulenza giuridica, alla rappresentanza degli interessi di fronte a terzi (contadini del tabacco, condizioni dei mezzadri, contratti di lavoro dei giornalieri, allevamento del bestiame, discussioni di provvedimenti o leggi che nei loro effetti economici riguardano la classe dei contadini, emigrazione, ecc. ecc.) e oltre a ciò si occupano anche di affari economici, di volta in volta (p. e. compera delle scorte agrarie) in quanto lo permettano il loro carattere non consorziale e le relative disposizioni del codice del commercio. Quali decisioni prese il congresso di fronte a tali divergenze? Siccome queste non erano di principio, ma di opportunità e le ragioni di opportunità variano a seconda dei luoghi, dello stato psicologico dei contadini, dell’esistenza o meno di altre associazioni ecc., così anche le decisioni non potevano avere carattere categorico d’applicarsi a tutti i casi. Nell’ordine del giorno, votato ad unanimità venne quindi riassunto anzitutto quello che nel dibattito era stato unanimemente rilevato: a) necessità che prima di fondare una nuova società, si ponderino bene tutti i rapporti in cui possa venire colle istituzioni esistenti, riguardando come conditio sine qua non l’accordo e la collaborazione; b) necessità che si fondino simili associazioni tanto per fondarle, magari per semplice spirito d’imitazione, ma che si osservino tutte le precauzioni indispensabili perché riesca bene un’impresa non priva di rischi finanziari. Nel campo delle scorte agrarie p.e. oppure dello smercio di certi prodotti l’attuale movimento cooperativo ha già fatte notevoli esperienze. Bisogna ch’esse ritornino a frutto anche per i nuovi consorzii; c) infine di un accordo nella propaganda stessa. In questo riguardo venne stabilito che, frattanto, il Comitato Diocesano, per mezzo del suo segretariato, si assuma l’incarico di coordinare e disciplinare il movimento. Queste decisioni vennero prese ad unanimità e col pieno accordo di tutti i fattori competenti. Nel segretariato lavorano il D.r Mattei ed il M.R. Bruno Ferrazza, il primo coll’incarico di dirigere in generale l’opera dell’ufficio, il quale com’è noto, provvede interinalmente anche all’organizzazione dell’Unione popolare. La presidenza del Comitato Dioc. e dell’Unione popolare ha delegato il D.r Degasperi, di fronte al quale il segretariato è direttamente responsabile. Il segretariato, quando si tratti di decidere sull’opportunità di organizzazioni economiche convocherà un comitato consuntivo, del quale faranno parte il D.r Carbonari, G. Margoni e l’on. Paolazzi. Questo procedimento stabilisce frattanto in modo definitivo la via da seguirsi in caso di divergenze. Il congresso ha raggiunto quindi anche per la pratica quotidiana un accordo ch’indica agli amici una via chiara da seguirsi. Essi sono pregati di rivolgersi in simili questioni al segretariato, sia per consiglio sia per le disposizioni tattiche. Del pari tutti coloro che s’interessano della propaganda su questo campo o che per l’avvenire vogliano interessarsene, sono pregati di far capo al segretariato il quale ne sarà certo loro grato. Questi furono i risultati del congresso. L’animata discussione ha potuto mettere alla luce diversi pareri, ma anche l’unanime intento di voler costruire sulla base antica, allargandola dove si ritenga necessario, e di cercare sempre il mutuo accordo per il bene del nostro popolo. Noi ci auguriamo vivamente che nessuno venga meno a tali propositi. Ci resta ancora un rilievo d’aggiungere. L’adunanza, accentuando il lavoro passato, non ha certo diminuito il merito dei lavoratori dell’oggi. Sentiamo, fra altro il dovere di affermare i meriti del lavoro disinteressato ed infaticabile di un propagandista, col quale sull’opportunità sulle forme di qualche iniziativa si potè essere in qualche caso di parere diverso, ma al quale va riconosciuta la sua forza di convinzione e di propaganda e l’opera coraggiosa di affrontare i pregiudizi e le ire avversarie. Accenniamo al nostro giovane amico, il D.r Carbonari. Il congresso che l’ha visto pronto a mettere a disposizione la sua opera, perché il movimento riesca disciplinato e mosso da unità d’intenti, può certo confidare che in tal modo il suo lavoro riesca maggiormente proficuo.
4a7e657c-51f0-4db8-98bf-20a427a7eb11
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Ha fatto bene la direzione del Giovane Trentino a promuovere anche una conferenza che ci permettesse di assistere alla discussione di un problema di grande attualità e di somma importanza dal lato economico e sociale com’è la questione del rincaro. Né si sarebbe potuto trovare uno studioso più competente di questioni economiche, come ha saputo l’on. Degasperi trattare il difficile e complicato argomento con tanta chiarezza, con dati statistici veramente interessanti e con deduzioni logiche così evidenti. Le molte persone – ed erano tutte persone colte – che gremivano in sale il Circolo Sociale si sono rallegrate per questo nuovo genere di serate settimanali, istruttive e sommamente interessanti, nelle quali studiosi competenti intendono sviscerare questioni di attualità. Il Dott. Degasperi parlò ampiamente di questo doloroso fenomeno mostrandocelo sotto vari aspetti e cercando d’indagarne le cause. E la conferenza più che d’un rapido cenno sarebbe degna d’una larga ed esauriente relazione. Cercheremo di riassumere schematicamente. Il rincaro non è un fenomeno particolare d’uno Stato, ma universale, comune a tutta l’Europa come ai paesi transoceanici: le statistiche di 10 anni sono un quadro eloquente della sua generalità: il fenomeno si estende ai viveri ed ai prodotti industriali. E qui il conferenziere porta cifre eloquenti. Ci accontenteremo di dire che nella stessa America i prezzi della carne sono cresciuti del 32%; e l’aumento è parallelo negli stessi paesi ove non esistono dazi d’importazione, come in Inghilterra. Le cause del rincaro – La scuola classica le riferisce all’aumento della produzione aurifera e al conseguente rinvilimento del prezzo del denaro. Questa teoria si basa su due fatti storici. Nel periodo dal 1520 al 1600 si ebbe pure un grande rincaro, e fu quella un’epoca di grande produzione aurea. Il secondo fatto: l’epoca di Cavour. Essa fu celebre per il rialzo spaventoso dei prezzi dei viveri e dei prodotti. Ebbene, quell’epoca coincideva appunto con il maggiore sfruttamento delle miniere dell’Australia e della California, come il rincaro odierno coincide colla stragrande produzione delle miniere aurifere dell’Alasca. Ma sta invece il fatto che il denaro non dev’essere di tanto rinvilito: tutte le banche rialzano in fatti il tasso. La scuola rivoluzionaria vorrebbe vedere il rincaro nel protezionismo, nell’esistenza dei dazi di protezione per i prodotti del suolo o dell’industria, e si ragiona così: il venditore è indotto ad aumentare il prezzo del prodotto di quel tanto che equivale al dazio. Si deve però osservare che anche nei paesi liberisti, ove manca questo ipotetico coefficiente del rincaro, il rincaro si verifica egualmente. Altro argomento: l’aumento dei salari. Esso fa crescere il prezzo dei prodotti industriali. L’argomento è molto popolare, ma si nota però un fatto singolare: che parallelamente all’aumento dei salari si ha un forte aumento di rendibilità del capitale industriale; sicché invece d’una depressione industriale ed economica, si ha un aumento della ricchezza mobile che si vede nell’aumento delle emissioni. E questo aumento di rendibilità si verifica in tutte le industrie i cui prodotti sono rincariti: si è spesso triplicata la produzione e dividendi. La questione dei salari costituisce un circolo vizioso. Una causa ammessa da molti, una causa generale è il cambiamento della coltura del suolo da estensiva a intensiva. Fino a pochi anni fa, cioè, la produzione agraria era basata sulla coltivazione di grandi estensioni di suolo: ora invece si basa sulla coltivazione intensiva. Questo richiede maggiori spese, che si riflettono poi sul prezzo dei prodotti. Accenna in questo nesso al socialismo agrario: ed alla tassazione del plusvalore del suolo. Altra causa: il rincaro delle abitazioni e l’aumento del valore delle aree di costruzione. C’è dell’ingiustizia in questo rincaro in quanto che le case nuove, fornite di tutti i comodi, d’aria e di luce, fanno base per il prezzo dei quartieri vecchi. Ma una delle cause che dobbiamo accettare tutti è quella che si riferisce agli aumentati bisogni. Il conferenziere la rende evidente con un esempio praticissimo: «Entrate in un’osteria di montagna buttata lì alla vecchia: con poco vi sazierete. Entrate invece in un hotel, e qui dovrete spendere il doppio per sfamarvi: ma qui però avrete tutto quel comfort che corrisponde all’igiene, al progresso. Il progresso dunque è per se stesso una causa del rincaro. Altra causa è nell’essenza del sistema capitalista liberale. Esso s’ispira alla teoria della libera concorrenza. La base è errata. Non meno errato è il sistema socialista. Questo combatte, è vero, il sistema liberale; ma in nome di principii materiali. Invece la base di tutto dovrebbe essere il principio morale. E qui si riaffaccia più imponente che mai la questione sociale. Nel sistema economico si dibattono le grandi questioni morali». L’oratore fa qui un appello ai giovani per lo studio della questione sociale e per la rinascita dei nostri studi. Il conferenziere passa quindi a parlare della questione del rincaro nei rapporti del parlamento, riassumendo il dibattito e spiegando l’ultima votazione.
116e6e35-ed1d-4d9a-8da9-83957418b842
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Le Tiroler Stimmen hanno pubblicato una serie di articoli intorno «alla guerra italiana e l’opinione pubblica europea». In essi tenta una giustificazione del contegno della stampa austriaca in generale, e della tirolese in ispecie. Il giornale enipontano si è assunta la non facile impresa, con particolare riguardo alla mia protesta pubblicata a suo tempo dalla Reichspost , che esso considera espressione dei «conprovinciali» trentini. Le Stimmen riferiscono testualmente la mia dichiarazione, ma ne tentano confutare con larghezza di argomenti solo quella parte, dove affermavo che nessuna stampa europea si addimostrò così unanimamente turcofila e italofoba. L’affermazione non è esatta, obiettano le Stimmen, perché la stampa austriaca non fece che riprodurre, nominandone la fonte, le relazioni del Berliner Lokalanzeiger, rispettivamente del suo corrispondente tripolino v. Gotberg, le impressioni dell’inglese MacCullag o le descrizioni della Kölnische Volkszeitung, la quale aveva mandato sul teatro della guerra un suo redattore. Che più? Continuano le Stimmen, nella loro trionfale argomentazione, perfino la Stampa di Torino recò in descrizioni prolisse di parecchie colonne orribili particolari sui massacri di Tripoli. Veda quindi il direttore del Trentino di rivolgersi con una eventuale rettifica a quei giornali che portarono per i primi le notizie incriminate. La replica non mi riesce difficile. Anzitutto io ho affermato che nessun giornalismo europeo fu così unanimemente italofobo come l’austriaco. Con ciò non ho negato che parecchi giornali germanici, inglesi e francesi abbiano partecipato nell’una o nell’altra occasione alla campagna anti-italiana. Ci è ben noto per esempio, il contegno del Berliner Tagblatt, del Daily News, del Petit Parisien ecc. Ma accanto a questi organi di una data corrente dell’opinione pubblica abbiamo anche sentito la voce di altri, come il Matin, il Temps, il New York Herald, che suonava ben diversamente. Solo a Vienna e in certe capitali delle province austriache, i giornali semiti ed antisemiti andarono a gara nel portare ai mussulmani il soccorso della loro parola. Mantengo quindi la mia asserzione per la quale potrei addurre una serie notevole di prove. In secondo luogo non si tratta né solamente né principalmente degli articoli che vennero scritti attorno alla repressione di Tripoli. Su questo speciale argomento ci imbattiamo in affermazioni categoriche ed in altrettante categoriche smentite. Contro le testimonianze di alcuni giornalisti tedeschi ed inglesi stanno non solo solenni smentite ufficiali, ma anche dichiarazioni formali di altri giornalisti e francesi. Ricordo a mo’ d’esempio Barzini e Jean Carrère. Non c’è ragione di dubitare della buona fede degli uni e degli altri. Si tratta di episodi che momentaneamente sfuggono ad un controllo più vigoroso. Il tempo è galantuomo, e la verità verrà più tardi storicamente precisata. Comunque però essa debba risultare riguardo ai suaccennati episodi non si riuscirà mai a giustificare la montatura che ne ha fatto certa stampa, né a fornire le prove dell’accusa generalizzata contro tutto l’esercito italiano e contro il suo comando. E qui mi si permetta di chiedere: toccava proprio alla stampa austriaca il prendere con tanto calore la parte dei ribelli in tempo di guerra, essa che mette fra le pagine gloriose della Monarchia le repressioni del Guylay a Milano e dell’Haynau a Brescia, o le fucilazioni di Mantova ed Arad? E mancano forse ai tirolesi elementi storici per stabilire la relatività delle opinioni su tali conflitti, quando possono leggere nelle storie il loro grande eroe nazionale non solo condannato come traditore, ma giudicato anche comunemente dall’opinione pubblica «europea» dell’epoca napoleonica come un brigante? Ma, avverta bene il giornale enipontano, quando io dichiarai inqualificabile il contegno della stampa viennese e tirolese, non avevo proprio di mira i commenti intorno alla repressione di Tripoli. Pensavo invece all’evidentissima parzialità che tale stampa dimostrava nell’accogliere e rivelare le notizie di fonte turca e nel sopprimere o nel mutilare le informazioni italiane. Preghiamo i colleghi delle Stimmen di rileggere la collezione della Zeit o della Presse soprattutto e di elencare le notizie sensazionali, lanciate da Salonicco, credute e ricantate in trionfo dalla stampa austriaca. Ne otterranno un catalogo più lungo di quello delle navi omeriche. Secondo le notizie della Presse l’esercito italiano dovrebbe contare ormai ventimila morti! Il tempo ha già fatto giustizia della maggior parte di queste frottole. Ma è stato purtroppo doloroso che notizie false comparse a Vienna sulla Mittagszeitung due ore prima della chiusura della Borsa, fossero poi accolte e propalate dai fogli minori di provincia come verità sacrosante e con una sicurezza e con una intonazione le quali possono derivare solo da quel basso istinto che voi con parola intraducibili chiamate «Schadenfreude». Eppur in sull’inizio della campagna il Vaterland aveva dato giustamente l’allarme, avvertendo che si tentava d’ingannare il pubblico per scopi di Borsa. La Presse e con lei tutti gli dii minorum gentium finsero fino all’ultimo momento che alla guerra non ci si potesse credere. L’illusione doveva mantenere il rialzo. Poi, quando il cannone tuona davvero e non lo si poteva proprio non udire, allora si imprecò all’Italia la quale lanciava shrapnels su una città pacifica, dispostissima ad arrendersi. Anche il leggendario pacifismo degli arabi doveva servire al rialzo. Finalmente venne distrutta anche la finzione ironica. E allora, sempre per quel benedetto rialzo, dovettero venire le vittorie turche. Perché in quest’ultimo periodo i fogli indipendenti dalla Borsa, lasciarono cadere ogni sospetto e dimenticarono l’allarme del Vaterland? La spiegazione sarebbe facile, ma bisognerebbe entrare più addentro nella psicologia di certi circoli. Non è qui il luogo di farlo. Forse lo si indovina, quando si ricordi che certi giornali tirolesi amarono rinfrescare in quest’occasione il ricordo della varia fortuna che ebbe la nazione durante il suo risorgimento, sui campi di battaglia. È l’Italia di Custoza, di Novara e di Lissa che si è voluto evocare, un’Italia debole ed ancora bambina. E commentando una «Vittoria» turca s’è dato sfogo alla speranza profondamente nutrita ed all’illusione lungamente mantenuta che l’Italia sia rimasta ancora una povera creatura scarsamente nutrita e rivestita di quei miseri cenci che le avevano lasciato attorno gli stranieri prima di darle definitivamente l’addio. Viceversa si annunziarono i trionfi della Mezzaluna con il giubilo con cui si sarebbe festeggiata una vittoria di papà Radetzki . Ora noi che non siamo guerrafondai, noi che non conosciamo ancora le ragioni che consigliarono all’Italia la guerra invece che una soluzione pacifica, noi che non amiamo le rievocazioni storiche se non servono alla causa del progresso e della pace, da codesto scoppio di italofobia ci siamo sentiti colpiti, perché mai forse come in questi momenti la stampa tedesca ci ha fatto sentire la differenza fra la solidarietà nazionale e la comunanza politica. Chi ha pronunciato il verbo austriaco? Solo il Gautsch nella fredda correttezza di una formula artificiosa. La stampa austriaca invece non parlò austriacamente, ma tedescamente. Fu allora che abbiamo reclamato il diritto di rispondere italianamente. Il mio atto, come mi assicura un collega adriatico di parte avversaria, servì laggiù ad allargare la manifestazione di solidarietà nazionale oltre i confini di un partito: ciò sarebbe potuto avvenire anche dai noi in una misura più completa di quanto successe di fatto, se il Trentino non fosse un paese piccolo, dove certe piccinerie, a chi le fa, possano apparire cose grandi. Detto questo di passaggio per una replica doverosa, permettano le Stimmen di rallegrarmi che la mia protesta abbia loro dato occasione di fissare nell’introduzione dei loro articoli alcuni criteri generali su cui da principio la stampa tedesca di tutti i partiti sembrava tutt’altro che d’accordo. Il foglio enipontano infatti constata che l’Italia si trova sul terreno del diritto comune, quel diritto cioè che si arrogano l’Inghilterra, la Francia e (...sarebbe patriottico dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità?). Benissimo. Ma era appunto questo che i moralisti viennesi non volevano concedere. Aggiungono le Stimmen che la Turchia è proprio l’ultima che abbia il diritto di richiamarsi ad un criterio diverso, ricordando che la Turchia possiede le sue province solo in forza di conquista sanguinaria, che anzi l’islamismo contiene proprio nella sua essenza il principio della guerra offensiva. L’Italia, continua il giornale, ha dovuto soffrire in più epoche della storia le conseguenze di tale principio. Benissimo anche questo. Ma non pare alle Stimmen che una delle cose le quali ci offesero soprattutto fu appunto il vedere che certi giornali cristiani, pur di dare addosso alla nazione italiana, dipingevano i mussulmani come agnelli innocenti? Non credono le Stimmen che in qualche redazione sarebbe stata a proposito la domanda del cappuccino nel campo Wallenstein: Siamo cristiani o...? Sono ben lieto di riconoscere che all’articolista delle Stimmen tale domanda non sarebbe da rivolgere. Siffatto contegno e niente più chiedevamo quando abbiamo scritto di «ruhigere, getechtere Stellung». Che cosa ci sarebbe stato da perdere? Domani la guerra sarà finita; ed allora potrà cominciare la discussione con dati di fatto, con informazioni precise. E se qualcuno ne deriverà che è necessario, di fronte all’opinione pubblica ed ai governi, di intensificare la propaganda contro il militarismo o l’imperialismo ravvivando il culto di un unico principio morale applicato alla vita dei popoli, come a quella degli individui, non saremo noi, seguaci della democrazia cristiana, quelli che rifiuteremo la nostra collaborazione. Ma intendiamoci: sinceramente e di contro a tutti.
7685283c-9d8f-40fe-a304-396b90a0d291
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Dopo aver seguito con attenzione i fatti di Bolzano , in occasione della visita pastorale del principe Vescovo di Trento in quella città, e dopo aver assunto le informazioni necessarie, crederemmo di venir meno al nostro dovere di giornalisti cattolici, se tralasciassimo di riassumere e lumeggiare il Volksbund alla luce dei fatti, per trarne le dovute conseguenze pratiche, che hanno, per quanto crediamo, importanza non solo per noi cattolici italiani, ma anche per i cattolici tedeschi, nell’interesse della pace nazionale e religiosa di ambedue le parti della provincia. La Südmark e lo Schulverein sorsero molti anni or sono col titolo di società per la protezione del germanismo. Esse furono promosse da elementi radicali ed anticlericali. I cattolici tedeschi ed il clero di quell’epoca sorsero come un sol uomo a combattere quelle società di tendenze nazionali aggressive ed anticlericali. Perciò ebbero poca fortuna presso il popolo e la loro azione nel Tirolo fu arrestata. Sorse allora l’idea di fondare il Tiroler Volksbund e si cercò di dare allo stesso una tinta semi-clericale, accogliendo preti e religiosi, oltre che persone del laicato cattolico, e per questa via si tentò di aprire una breccia in mezzo al popolo cattolico e credente sventolando la bandiera su cui sta scritto: conservazione delle tradizioni e degli usi del Tirolo, fedeltà alla patria, unità della provincia. Ed eccovi una direzione composta degli elementi più eterogenei, dal parroco cattolico sino all’agitatore protestante che siedono insieme e discutono sul modo di raggiungere il fine. Chi però praticamente si occupò della società e la seppe sfruttare, furono gli elementi anticlericali. Frutti dell’azione del «Volksbund» nel Trentino L’obiettivo principale della lotta fu ed è il nostro popolo delle campagne. Fino a quell’epoca esso non conosceva lotte nazionali e meno che meno insubordinazioni contro i propri curatori di anime, discordie intestine nei paesi e nelle famiglie per ragioni nazionali e politiche non se ne verificavano. Il Volksbund, con la parola viva, con gli scritti, col denaro, approfittando della povertà del nostro popolo, col miraggio di promesse abbondanti, portò dapprima il pomo della discordia nella valle di Fassa, indi in quella di Cembra, segnatamente a Valfloriana, Piscine, Sover e Montesover; passò poi all’Altopiano di Piné, discese sul Perginese, nella Valsugana e Tesino, sull’Altopiano di Lavarone e di Folgaria, nella Valle di Terragnolo sino a Vallarsa. Come si vede percorse una linea di confine meridionale. Dolorose e dannose sotto ogni riguardo furono le fasi passate in questi disgraziati paesi, travagliati da una lotta nuova per loro, lotta che li portò a discordie, ad odi, ad insubordinazioni contro il proprio curatore d’anime, a liti ed a processi. Quello che più irritò fu la presenza e l’agitazione sorda ma continua di due forestieri e protestanti, il prof. dr. Rohmeder ed il prof. Edgardo Meyer, sudditi germanici, personificanti presso il popolo il Tiroler Volksbund. Specialmente la Valle dei Mocheni è il campo prediletto del dr. Rohmeder, ove si presenta quale supremo pastore e benefattore, accolto dal popolo e dal clero; e là entro fonda la sua azione non sempre sugli elementi migliori ma il più delle volte sugli elementi più demoralizzati. A Frassilongo il dr. Rohmeder apre un asilo infantile tedesco dietro le spalle del curato del luogo, che viene descritto presso il popolo con i colori più oscuri, pur di fargli perdere la fiducia. Nell’ottobre scorso il protestante dr. Rohmeder prende le disposizioni per la solenne cerimonia religiosa, alla quale invita clero e maestri. Il curato locale si rifiuta di fare la cerimonia religiosa sotto gli auspici di un protestante; il parroco decano di Pergine, a cui il dr. Rohmeder si presenta quale fiduciario del Comune, protesta solennemente contro questa ingerenza negli affari interni della parrocchia. Nulla giova: la cerimonia si fa civile. Si inneggia ai fratelli di Germania e si iscrive l’asilo nel libro fondiario quale proprietà della «Società per la diffusione del tedeschismo all’estero» con sede a Monaco e di indirizzo protestante. In tutto questo affaccendarsi il dr. Rohmeder si spaccia quale rappresentante del Volksbund. Il medesimo dr. Rohmeder a Fierozzo San Felice dà corone 1600 a quel Comune per il restauro della canonica, ma il Comune deve obbligarsi contrattualmente a vendere parte del diritto di nomina del curato, nel senso cioè che i capi famiglia non possono nominare un prete italiano: un contratto perfettamente simoniaco. Il dr. Rohmeder, spalleggiato dalla società Burg Persen , non manca di dare un’occhiata al terreno adatto per la fabbrica di una chiesa protestante a San Cristoforo . Il pastore protestante fa capolino. Un sacerdote, avuto sentore delle trattative di compera del suolo per la chiesa protestante, con grande suo sacrificio, previene e compera lui stesso lo stabile e così arresta per il momento il pericolo. In Folgaria l’agitatore del Volksbund entra negli affari interni del Comune, presenta un ricorso al tribunale amministrativo per far annullare le elezioni comunali, promuove una scuola tedesca. Ove i sacerdoti si offrono gratis ad insegnare ai giovani fuori di scuola il tedesco necessario per i loro bisogni, si reagisce, chiamando invece qualche gendarme o maestro tedesco e salariato. Perché il welscher Priester «non corrisponde agli scopi della società»! Tutta questa agitazione si fa con la sicurezza di chi si ritiene padrone in casa altrui, con la coscienza che ogni autorità debba proteggere questi passi e guai se viene torto un capello! La Wacht am Rhein vigila per l’incolumità delle sue sentinelle. Se gli italiani si lagnano di questo procedere inqualificabile, nessuno li ascolta, e gli invasori, per mezzo della numerosa stampa che è al loro servizio, gridano in coro: «Dalli agli irredentisti!». Il telegramma del P. Vescovo di Trento Il principe Vescovo, di Trento, preoccupato delle gravi conseguenze pastorali nel campo della cura d’anime, causate dall’azione del Volksbund nella sua diocesi, e sfiduciato ormai dell’intervento dei fattori chiamati a tutelare la pace e l’ordine nei comuni, ruppe quel silenzio e riserbo che poteva suonare noncuranza o connivenza con l’indirizzare il noto telegramma agli studenti cattolici radunati a Levico . Egli, quale pastore responsabile della salute delle anime, superiore alla nazionalità ed ai partiti, fa sentire la sua voce autorevole, libera ed indipendente da tutti che suona condanna dell’azione del Volksbund, quale si estrinsecò in via di fatto nella parte italiana della Diocesi. Egli rileva che questa azione turba la pace nazionale e religiosa, danneggia l’educazione della gioventù, ed è esplicata in buona parte dagli elementi più demoralizzati. Oltre le discordie delle famiglie, dei paesi, gli odii vicendevoli, le insubordinazioni al sacerdote, a cui è reso pressoché impossibile la cura d’anime, non è fuor di luogo osservare ancora, che il rubare ad un individuo, ad un Comune, la propria lingua materna, anche dal punto di vista religioso-morale, costituisce un vero crimine, perché ciò equivale a privarlo dell’unico mezzo per l’istruzione religiosa e quindi ad avviarlo alla più pericolosa ignoranza delle verità religiose e dei principii morali e ad arrestare ogni sviluppo intellettuale. La triste esperienza di quei paesi misti ove i fanciulli hanno la disgrazia di essere educati ed istruiti in una lingua che non conoscono, ci mostra le desolanti condizioni religioso-morali nelle quali essi versano e quella esperienza è un monito severo di prevenire il moltiplicarsi di tali casi. Il «Volksbund» incomincia gli insulti contro il P. Vescovo Per conoscere chi sia lo spiritus motor del Volksbund è sintomatico che i primi attacchi ed insulti contro il principe Vescovo partirono da Monaco di Baviera, dalla stampa cioè asservita al dr. Rohmeder, al professor Edgardo Meyer ed alla società Burg Persen. L’eco si ripercuote subito nelle Innsbrucker Nachrichten e poi giù e giù sino alla Meraner Zeitung dei 2 ottobre u.s. Ai 6 di ottobre, come risulta dalle nostre informazioni, si fa viva la direzione del Volksbund, con una lettera farisaica diretta al principe Vescovo di Trento. In essa si invita il Vescovo a dichiarare che nel telegramma, indirizzato agli studenti cattolici, non c’era la parola Volksbund! Triste ed offensivo invito alla menzogna! La lettera si chiude con la minaccia del Volksbund di procedere senza nessun rispetto e riguardo alla persona del principe Vescovo. Si preludiava già alla imminente persecuzione. La lettera superba ed impudente fu messa ad acta. Ai 26 di ottobre la direzione del Volksbund tentò di intimidire il principe Vescovo col mandargli una seconda lettera libello, piena di maligne insinuazioni e falsità, con evidenti scopi polizieschi e con la minaccia che sarà pubblicata. Indignato di questo contegno monellesco, il principe Vescovo rimandò tutto il plico a chi lo aveva spedito. La minaccia fu anche mantenuta da parte della direzione del Volksbund, poiché pochi giorni dopo, la lettera comparve nei giornali liberali tedeschi. Il popolo apprenderà ora quale sia il rispetto degli agitatori volksbundisti verso la nostra religione, verso la Chiesa cattolica e verso i vescovi, e capirà che tutte le belle parole di rispetto che costoro dicono di serbare, non sono che finzioni e menzogne per ingannare gli ingenui. Qui vogliamo notare una circostanza gravissima. Qualche giornale liberale tedesco, come la Tagespost di Graz, rileva che fu decisa la pubblicazione del libello contro il principe Vescovo nella seduta di direzione del 20 Ottobre 1911, ed aggiunge che fu votata ad unanimità e quindi con i voti dei preti che sono membri della direzione centrale. È noto che il parroco di Magrè, don Giovanni Steck, ed il curato di Leifers, don Beniamino Vescoli, sono membri di direzione. Ci ripugna l’animo a credere che quei due pastori d’anime abbiano aderito col voto loro ad un atto così iniquo contro il Vescovo diocesano. Questo eventuale voto getterebbe una luce cupa e sinistra sui due sacerdoti, che pure hanno giurato alla sacra Ordinazione «riverenza ed obbedienza al proprio Vescovo». Non è supponibile che il fanatismo nazionale abbia accecato l’uomo sino a quell’eccesso. Il «Volksbund» mantiene la parola. I fatti di Bolzano Il 18 novembre 1911 il principe Vescovo va a Bolzano a compiere la visita pastorale. Il popolo lo accoglie con rispetto e riverenza, ma dietro al popolo c’è la teppa prezzolata per l’occasione dai volksbundisti. Il terreno di Bolzano nelle presenti circostanze per sviluppare un’azione teppistica contro il Vescovo ed un italiano è assai favorevole. Il padrone assoluto e quasi tirannico di Bolzano è il podestà tedesco-nazionale dr. Perathoner , un volksbundista della più bell’acqua. Egli sa terrorizzare e tenere a bada tutte le classi sociali della città: col suo fare imperioso incute timore a tutti. Molti fremono sotto il giogo, ma non trovano la via di liberarsi per le discordie intestine. Un gruppo di circa venti teppisti, guidati da un certo Masera e dall’apostata Port, redattore della Bozner Zeitung, giornale condannato già dal principe vescovo Valussi, confezionano in fretta e furia un libello infamante e poliziesco contro il principe Vescovo per eccitare il popolo a dimostrare. Ma il popolo si ribella a simili inviti. In sulla sera, sotto le finestre della canonica, ove abitava il Vescovo, si raccoglie la truppa composta di venti teppisti. Essi cantano l’inno irredentista germanico, la «Wacht am Rhein», alcune strofe della canzone di Bismarck e di quella di Andrea Hofer – Per tutti i gusti! – Nei frammezzi volavano gli insulti e gli abbasso contro il Vescovo, si urla «abbasso» a tutto quanto sa di sacro o di italiano. Non risparmiarono né sassi né sputi. La polizia, alle dipendenze del podestà dr. Perathoner, assiste, quasi unica tra gli spettatori, impassibile, con l’ordine di non far niente. Il «Volksbund» dopo la dimostrazione Appena la popolazione di Bolzano ebbe sentore di quanto era successo, si sollevò un fremito d’indignazione contro i circoli responsabili ed una condanna unanime. I volksbundisti di Bolzano, certo poco scrupolosi, per contestare avanti al popolo l’atto selvaggio, inventano una bugia, la telegrafano ai giornali ebrei. «Il Vescovo di Trento ha offerto corone 5000 per le famiglie dei feriti e caduti di Tripoli». – Una notizia sensazionale e che per il grande pubblico tedesco ha sapore irredentista, quindi destinata a fare effetto. La menzogna ha gambe corte, la notizia fu smentita autorevolmente e persino la Neue Freie Presse dovette ritirare la bugia. Il colpo non è riuscito. A coadiuvare gli sforzi dei volksbundisti bolzanini si presta un maestro della Valle dei Mocheni, noto come arrabbiato volksbundista. Precisamente quando il Vescovo si trova a Bolzano in visita, egli, lasciata la sua scuola, si porta lassù e gira per le famiglie di Bolzano a raccogliere regali per l’albero di Natale del paese ove è maestro. Non si contenta però di questo. Si approfitta, come riferiscono persone serie e ben informate, per spargere nuove bugie contro il principe Vescovo: egli disse che il Vescovo ha proibito la lingua tedesca nei Mocheni, che dà denari alla Lega nazionale, ecc. Con ciò si confondeva vieppiù l’ambiente, si tentava di persuaderlo della necessità della dimostrazione. Sappiamo che fu elevata energica protesta contro questo educatore di nuovo genere, il quale non poteva parlare in buona fede perché fu testimonio oculare ed auricolare di quanto il Vescovo ha detto e fatto nella Valle dei Mocheni in occasione della visita pastorale. La direzione del «Volksbund» e la stampa Intanto ad Innsbruck lavora l’ufficio d’informazione del Volksbund. A base di menzogne e di tendenziosità poliziesche, esso lancia nel mondo le informazioni più contraddittorie sull’entità e sulle finalità delle dimostrazioni di Bolzano, a seconda dei gusti e dell’indirizzo dei lettori del relativo giornale. Ai giornali ebrei, tedesco-nazionali e protestanti si comunica che a Bolzano vi fu una grande dimostrazione contro il «Welscher Bischof» (è la frase sacramentale del Volksbund per designare il Vescovo di Trento) «il quale offendendo il Volksbund, ha offeso il popolo tedesco. Egli è un irredentista ecc.». Ai giornali cristiano-sociali si comunica invece che la dimostrazione di Bolzano fu una ridicola comparsa di alcuni teppisti, che il Volksbund vi è affatto estraneo e che tutti senza distinzione di partito, condannano l’atto teppistico di Bolzano. Il Tiroler Anzeiger dice poi che il pretesto per la dimostrazione fu «un’opinione erronea» del Vescovo di Trento riguardo al Volksbund. Noi osserviamo al Tiroler Anzeiger quanto segue: Non sappiamo comprendere con quale competenza esso possa sentenziare con tanta sicurezza sulla erroneità dell’opinione del Vescovo circa fatti che si svolgono da anni nella cura d’anime della sua diocesi, fatti che egli giudica a base di documenti e di relazioni officiose ed in buona parte per scienza sua personale attinta sul luogo in occasione della visita pastorale. Ci pare quindi ardita e temeraria tale affermazione di un giornale che pure vuol essere ritenuto cattolico ed oggettivo. In secondo luogo non comprendiamo il voltafaccia dell’Anzeiger nel suo atteggiamento di fronte al Vescovo di Trento. Al tempo elettorale il partito cristiano-sociale seppe sfruttare molto bene alcune espressioni del Vescovo di Trento, dette nel seno della nostra conferenza del 20 aprile 1911. Oggi invece amoreggia con i tedeschi nazionali e pianta in asso Chiesa e Vescovo. I principii cattolici sono forse volubili come la luna e devono accomodarsi all’opportunismo politico? Riproviamo altamente questo contegno equivoco, atto a confondere le coscienze del popolo cattolico e facciamo voti che si faccia luce su tutta la linea. La stampa conservatrice tirolese, lo constatiamo con soddisfazione, fu quella che logicamente batté la via del principio e del tradizionale indirizzo cattolico. La stampa tedesco-nazionale non si accontentò di sfogarsi con la parola, ma ricorse persino ai periodici umoristici e pornografici per confermare la bugia e mettere in ridicolo la persona del Vescovo. Nella vetrina della redazione della Bozner Zeitung di Bolzano è esposto in questi giorni il libello illustrato Simplicissimus (l’Asino della Germania) che si pubblica a Monaco di Baviera, sempre la patria di Rohmeder. Esso presenta al pubblico in modo ridicolo il Vescovo di Trento in atto di dare 5.000 corone ai morti di Tripoli. Onta eterna all’educazione e al senso religioso della direzione del Volksbund! L’atteggiamento del Municipio di Bolzano Il Municipio di Bolzano è composto quasi esclusivamente di liberali tedesco-nazionali. Esso batte all’uninsono col Volksbund, lo protegge, lo aiuta. Il podestà di Bolzano dr. Perathoner, di cui sopra abbiamo fatto la presentazione, mettendo in non cale i sentimenti di devozione e riverenza della grandissima maggioranza della popolazione di Bolzano verso il proprio Pastore diocesano, preferì seguire i suoi sentimenti anticlericali, acuiti nel caso concreto dall’odio a tutto ciò che suona italiano ed ignorò completamente la presenza del principe Vescovo a Bolzano. Con ciò, notano i giornali tedeschi, il podestà venne meno alle forme di civile educazione che sono in uso in tutta Europa. Non basta. Abbiamo già veduto l’atteggiamento delle guardie di polizia voluto dal podestà Perathoner che è il padrone delle stesse. All’amministrazione e alla direzione del civico ospedale di Bolzano nel giorno in cui il Vescovo si recava a visitarlo lasciò capire che non doveva sapere e vedere nulla. Quindi completa assenza dei reggitori dell’ospedale in occasione della visita vescovile a quell’istituto. Non basta ancora. Il capo del reparto oculistico, il dr. Wachtler, liberale pure egli, ma educato e civile, si diportò in modo cortese verso il visitatore. Non l’avesse mai fatto! La Bozner Zeitung si scaglia contro il traditore del teutonismo ed insinua nientemeno che la destituzione del distinto professionista! Crediamo che questi fatti lumeggino più che sufficientemente fino a qual punto può arrivare il fanatismo e l’odio nazionale. Bisogna proprio confessare che la direzione del Volksbund ha tenuto la parola ed ha fatto pagar caro al Vescovo il telegramma di Levico. Ma tutto il male non viene per nuocere: quando il Volksbund si presenterà di nuovo in forma di agnellino innocente e rispettoso verso la religione, allora clero e popolo ricordino i fatti di Bolzano. Siamo lieti di constatare che qualche giornale cattolico della provincia comincia a rilevare l’ingiustizia della dimostrazione e l’infondatezza delle accuse lanciate contro il Vescovo nel manifesto pubblicato dai dimostranti. Chi conosce l’ambiente dei circoli dirigenti della città di Bolzano deve certo apprezzare il coraggio dei giornali cattolici nell’affrontare il fanatismo nazionale di quei circoli radicali. La legge suprema della religione cattolica suona: «Non fare ad altri ciò che non vorresti fatto a te stesso». Questa legge deve regolare i rapporti non solo tra gli individui, ma anche tra le varie nazioni. Siamo persuasi pure che i cattolici tirolesi nella difesa della propria nazionalità abbiano le migliori intenzioni di evitare ogni atto che suoni invadenza od aggressione del possesso altrui; ma pure essi hanno commesso e crediamo in buona fede, l’errore di associarsi nella difesa nazionale ad elementi radicali estremi e protestanti, non esclusi gli elementi forestieri della Germania. Questo fatto riesce di per sé poco edificante al popolo cattolico, abituato fin qui a lottare sempre nell’esplicazione della vita pubblica contro quegli elementi protestanti o semiprotestanti. Questo fatto può facilmente confondere i principii, le idee e la coscienza del popolo, il quale non sa spiegarsi questa comunanza del clero e dei cattolici con i più accaniti nemici della Chiesa e del Papa. Questo fatto finalmente impone ai cattolici delle penose restrizioni alla libertà di parola e di azione, e più o meno fa ripiegare la bandiera cattolica anche negli altri campi. Notiamo ancora che gli elementi anticlericali della direzione del Volksbund costituiscono punti di contatto vivo e di mutuo influsso tra il Volksbund da una parte e la Südmark e lo Schulverein dall’altra. Per questa via le due società liberali cacciate dai cattolici dalla porta entrano per la finestra, e nell’opinione del popolo vengono considerate come sorelle e con ciò acquistano il passaporto per entrare in mezzo ai cattolici. E chi può controllare poi l’azione di queste società, e chi porta la responsabilità dei frutti? Inoltre è noto che gli elementi anticlericali della direzione del Volksbund sono gli anelli di congiunzione con la Società per la diffusione del germanismo all’estero che è una società specificatamente protestante. Siamo in grado di dire che i più alti circoli ecclesiastici della Germania considerano il Volksbund come una società equivoca, appunto per i contatti che ha con la predetta società protestante, e sappiamo che essi giudicarono opportuno di richiamare su questo pericolo l’attenzione dell’autorità ecclesiastica diocesana. «E questo sia suggel ch’ogn’uomo sganni» (Inf. ig, 21). Non crediamo di essere pessimisti se noi temiamo che sotto le spoglie del Volksbund gli elementi radicali dello stesso facciano passare di contrabbando idee protestantiche e se abbiamo il timore che un giorno a San Cristoforo sorga una chiesa protestante. Facciamo voti sinceri che i cattolici del Tirolo ed in prima linea il clero, ponderando oggettivamente questi pericoli, senza prevenzione e sospetti, trovino il coraggio di uscire da una posizione equivoca e gravida di responsabilità delicatissime, separandosi nettamente dagli elementi anticlericali e riducendo l’attività del Volksbund entro i confini linguistici come giustizia e carità esigono. Possa questo essere il frutto pratico dei fatti di Bolzano.
ca3b7821-58c9-4b5c-aa63-151c6945fa7c
1,911
3Habsburg years
21911-1915
La Reichspost pubblica una lunga relazione intorno all’ultimo falso dei volksbundisti. Essa constata che non solo il clero italiano ma anche clero e popolo tedeschi, in quanto è cattolico, si dichiarano per il Vescovo. «Un Vescovo – dice la Reichspost – a qualunque nazione appartenga, qualora vegga un pericolo religioso nelle mene di certi agitatori che propugnano gli interessi nazionali in un senso contrario alla morale, non può rimanere a lungo indifferente e ciò comprende ogni buon cattolico tirolese ed ogni membro del clero. La speculazione di certi mestatori di sfruttare la questione nazionale come leva per agitazioni di Kulturkampf, non attacca». Ancora più esplicitamente il Tiroler Anzeiger oppone alle Nachrichten che il principe Vescovo ha non solo il diritto, ma anche il dovere di fare un’inchiesta attorno all’attività degli agitatori che battono in terra italiana la bandiera del Volksbund. La Meraner Zeitung riporta naturalmente a sua volta il famoso articolo pubblicato già dalle Innsbrucker Nachrichten badando però di farselo venire invece che da Bolzano da Trento (!) e aggiungendovi – perché la commedia sia proprio completa – un caldo ringraziamento ai bravi preti italo-fedeli tirolesi per la loro energica protesta contro la mente del Vescovo italiano. Il giornale meranese chiude poi con appello al Governo perché intervenga a salvare gli abitanti del nostro paese «dalle trame intessute (sic!) dall’alto di un seggio episcopale!». Non agitatevi inutilmente anime di forcaioli! Non invocate con tanta forza le pastoie e la museruola, o ghibellini tirolesi. Credete voi che un Vescovo della Chiesa cattolica apostolica romana sia un Hofrat qualunque a cui si possa far mutare opinione con la minaccia del pensionamento? O fingete di credere voi che un Vescovo, perché non strillino i prepotenti, possa nella sua apostolica coscienza tacere, quando è il tempo di parlare o lavarsi le mani come Pilato, quando è il tempo di agire? A quanto pare, scambiate certi governi e governatori, malleabili sotto la pressione della vostra improntitudine col Governo e con gli uomini della Chiesa, i quali combattono non per il momentaneo «equilibrio» della situazione, non per riguardi umani, per la causa della verità e della giustizia. E codesto è il vostro più grande errore.
b00a881e-70f8-4c40-a2ee-8c052f140f6f
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Trento, 9 novembre Riceviamo il seguente dispaccio: Dall’edizione serale di ieri della «Reichspost» apprendo che l’offerta raccolta nel Sudtirolo per i caduti di Tripoli viene presentata come azione di alto tradimento. Ragionevolmente il sentimento dell’appartenenza alla propria nazione non deve essere messo in contrasto con la comunità politica. Colgo l’occasione per constatare che alcune persone che erano estranee all’iniziativa del comitato e che volevano che il denaro venisse risparmiato per necessità più vicine e urgenti, forse vengono spinte dal comportamento inqualificabile della maggior parte della stampa viennese e tirolese a comunicati che respingono chiaramente la solidarietà con la stampa viennese. La stampa viennese e la stampa tedesca di provincia sono piene di sarcasmi e di attacchi velenosi contro tutto ciò che è italiano, cosicché ogni italiano, dovunque egli viva, si sente apertamente disgustato. Seguiamo esattamente la corrispondenza tedesca del Reich, quella francese e inglese; nessuna è così turcofila e unanimemente italofoba come quella viennese . Quale italiano di indirizzo cristiano-sociale deploro che anche una parte della stampa cristiana non si sottragga a questo esempio e non mantenga una posizione più tranquilla, giusta e almeno più riservata, come all’inizio l’aveva assunta la «Reichspost». Mi appello alla Vostra nota lealtà per un’amichevole presa d’atto della nostra dichiarazione.
cb632432-b721-46ae-a5db-5281ca17ff86
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Il giorno due luglio scoppiava a Dora, frazione del comune di Valfloriana, distretto di Cavalese un terribile incendio che metteva sul lastrico ventitre famiglie. Le fiamme, favorite dal vento, distruggevano i casolari in gran parte di legno e vi soffocavano dentro numerosi capi di bestiame. Il danno si calcola ammonti approssimativamente a 150.000 cor., di fronte al quale l’assicurazione è assai esigua. I danneggiati sono poverissimi, ed in buona parte muratori emigrati. Il soccorso è urgente e doveroso. Voglia quindi l’eccelsa Camera deliberare: L’eccelso governo viene invitato a concedere ai danneggiati di Dora frazione di Valfloriana, distretto di Cavalese una sovvenzione dalle casse dello Stato nella misura che, dai rilievi da compirsi con tutta sollecitudine, risulterà dovuta. In linea formale si tratti la proposta secondo il § 42 del Regolamento . [Versione tedesca pubblicata in StPAH, XII legislatura, XXI sessione, 5 seduta, 26 luglio 1911, p. 238] Haus der Abgeordneten – 5. Sitzung der XXI. Session am 26. Juli 1911. Dringlichkeitsantrag des Abgeordneten Dr. Degasperi und Genossen, betreffend Elementarschäden. Am Tage des 2. Juli brach in Dora, Gemeindefraktion von Valfloriana, Bezirk Cavalese, ein schrecklicher Brand aus, der 23 Familien in die äußerste Not versetzte. Die Flammen, vom Winde begünstigt, zerstörten die zum großen Teile hölzernen Gebäude, wobei eine große Anzahl Vieh zugrunde ging. Der Schaden wird auf ungefähr 150.000 K berechnet, dem gegenüber die Versicherung eine sehr geringe ist. Die Geschädigten sind sehr arme Leute und zum großen Teile ausgewanderte Maurer. Die Hilfe ist dringend und gebührend. Es wolle daher das hohe Haus beschließen: .«Die hohe Regierung wird aufgefordert, den Geschädigten von Dora, Gemeindefraktion von Valfloriana, Bezirk Cavalese, eine Subvention aus Staatsmitteln im Ausmaße, das sich nach den schleunigst vorzunehmenden Erhebungen als angemessen erweist, zu gewähren.» In formeller Hinsicht werde der Antrag nach § 42 der Geschäftsordnung behandelt. Wien, 21. Juli 1911
2d7c75b3-7a1a-4577-9404-3c438dcf99b5
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Presso Campitello, Canazei e Gries di Fassa, distretto di Cavalese, il grano e i pascoli, che erano già stati danneggiati dal freddo dell’inverno e dall’imprevista nevicata, vennero colpiti anche dalla grandine. Informazioni approssimative dai relativi comuni rendono noto un danno ragguardevole. Questo diventa però proporzionalmente molto grosso, se si considera che i danneggiati sono molto poveri e oberati da tasse comunali e frazionali, inoltre durante gran parte dell’anno sono costretti all’emigrazione temporanea, cosicché le conseguenze della distruzione del raccolto pesa in modo determinante su tutta la loro agricoltura. La popolazione si attende perciò a buon diritto che lo Stato vada subito in loro soccorso. Presentiamo quindi la seguente proposta d’urgenza: «L’eccelso governo viene invitato a concedere ai danneggiati di Campitello, Canazei, e Gries di Fassa (distretto di Cavalese) una sovvenzione dalle casse dello Stato nella misura che, dai rilievi da compirsi subito, risulterà dovuta». In linea formale viene richiesto di trattare la proposta secondo il § 42 del Regolamento .
22a2bfb7-c857-4e47-8386-0a61d768726f
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Al comune di Fornace, capitanato distrettuale di Trento, una terribile grandinata ha procurato il 12 agosto un danno di circa 50.000 corone. La popolazione del posto è composta soltanto da piccoli contadini ed è molto povera. È perciò necessario un pronto e consistente aiuto. Voglia quindi l’eccelsa Camera deliberare: «1. Alla popolazione danneggiata del comune di Fornace viene concessa una adeguata sovvenzione dai fondi per i casi di emergenza per alleviare la grave difficoltà. 2. Questa proposta deve essere trattata secondo le norme del § 42 del Regolamento ».
e1817576-54c3-490a-905a-5a18e63255d4
1,911
3Habsburg years
21911-1915
Eccelsa Camera! Noi qui rappresentiamo una massa che ancora non ha organizzato alcuna dimostrazione contro il rincaro, poiché è legata ancora alla convinzione politica piuttosto ingenua che il muto linguaggio della miseria venga già sentito prima delle grida dei dimostranti. In questa aspettativa ingenua vi sono elementi di ordine e di legalità che il governo ha certamente il dovere di preservare. Se noi invitiamo il governo a non deludere queste speranze, lo facciamo appellandoci soprattutto all’istinto di autoconservazione dello Stato. Possano il governo e il Parlamento rivolgere la loro attenzione alla miseria della totalità della popolazione sofferente e non solo a quella di determinate classi; possano tenere presente che i gravi disagi derivati dal carovita sono apparsi non solo sulle strade delle città e nei grandi centri, ma anche davanti alle porte dei piccoli contadini, degli artigiani, degli operai e alla periferia dell’Impero. [Vivace approvazione]. Questa grave difficoltà pesa ancor più in quanto colpisce strati della popolazione che già prima avevano ridotto a un minimo le loro necessità. Qui il rincaro generale è reso più acuto anche dalla posizione geografica. L’attuale politica doganale ci impedisce di acquistare la carne e il grano a prezzo migliore dalla vicina Italia, mentre siamo costretti a importare questi generi alimentari per la via più lunga, dall’Ungheria e dai Balcani. La stessa cosa vale per gli articoli dell’industria che dobbiamo fare venire dai centri di produzione più lontani. Se a Vienna si parla di certe «molte mani» della intermediazione commerciale, allora queste «molte mani» al confine sudoccidentale dell’Impero, diciamo per esempio a Primiero, sono diventate mille. Dobbiamo perciò rallegrarci di ogni misura che venga presa per portare più vicino il consumatore ai produttori e che combatta quindi la mediazione commerciale. Mi permetto, egregi signori, di ricordarvi che anche scienziati stranieri già da molto tempo hanno riconosciuto e dimostrato che l’Austria soffre particolarmente sotto il giogo del commercio di commissione. Secondo l’economista torinese Loria il numero delle persone che in Austria vivono della intermediazione commerciale dei generi alimentari è salito nei penultimi dieci anni del 71,62%, mentre la popolazione nello stesso periodo è aumentata soltanto del 9,44%. Nel 1890 su 100.000 abitanti vi erano 1.183 intermediari nel commercio di generi alimentari, nel 1900 erano già 1.726. Negli ultimi dieci anni questo numero è certamente ancora aumentato. Questo fenomeno significa già per sé stesso un aumento automatico dei prezzi, anche se la mediazione commerciale lavorasse soltanto con mezzi legittimi. Soltanto l’organizzazione dei consumatori può ristabilire l’equilibrio dei prezzi. Al riguardo il partito a cui appartengo ha già da tempo riconosciuto e adempiuto il proprio dovere. In vaste zone del paese si è estesa la rete delle nostre associazioni di consumo, di cui la gran parte è concentrata nella cooperativa centrale dei compratori. Se perciò da parte del partito socialdemocratico si chiede l’appoggio dell’organizzazione dei consumatori, noi non possiamo che approvare questa richiesta. La cosa strana però in questo caso è che da noi proprio la stampa socialdemocratica ha aggredito ripetutamente l’organizzazione dei consumatori, partendo dal grande punto di vista sociale che questi consumatori non sono socialdemocratici e non vogliono nemmeno diventarlo. Noi faremo tutti gli sforzi possibili in questa direzione per migliorare la situazione. Tramite le associazioni dei contadini l’acquisto collettivo degli articoli necessari in campo agricolo troverà una base più ampia e sicura; i consorzi vinicoli faranno nuovi sforzi per entrare in diretto contatto con i consumatori di vino. Ma proprio in questo punto decisivo le nostre forze non bastano. Qui noi veniamo in conflitto con quelle «molte mani» che per esempio a Vienna fanno rincarare il nostro vino di un terzo. Qui deve intervenire il potere dello Stato, e non tanto con misure proibitive quanto piuttosto sostenendo i molti deboli nella loro lotta economica contro i pochi forti. Naturalmente siamo dell’opinione che bisogna opporsi con provvedimenti severi sia per via legislativa che per via amministrativa ai cartelli che sostengono il rincaro; resta però fermo che − e l’esempio dell’Inghilterra e dell’America rafforza questa opinione − l’iniziativa personale dell’organizzazione con l’appoggio dello Stato è il mezzo più efficace. In questa organizzazione può avere la sua parte anche l’onesto ceto medio, l’«ultima mano». Debbo però osservare che il nostro concetto di ceto medio non ha ancora raggiunto la modernità di quello della «Neue Freie Presse» [ilarità] e che da noi un uomo con una rendita annuale di 10.000 corone non fa parte del ceto medio, ma appartiene bensì all’alta società. [Ilarità e molto bene!] Il nostro popolo fa ogni sforzo per condeterminare, secondo i principi della riforma cristiano-sociale, i prezzi dei generi alimentari e con ciò le sue stesse condizioni di vita. È dovere dello Stato dare tutto il suo sostegno a questo movimento, specialmente dove, come da noi, la conformazione geograficopolitica contribuisce naturalmente a diminuire la possibilità di partecipazione. A questo riguardo devo accennare brevemente a due circostanze che proprio quest’anno hanno contribuito ad aggravare la desolazione della situazione generale. Noi abbiamo, come alcuni altri paesi, subito la benedizione di una epidemia di afta epizootica e la benedizione ancora più grande di aver dovuto subire gli effetti delle misure adottate contro questa epidemia. La prima conseguenza fu l’aumento dei prezzi del latte, del burro, del formaggio, della carne e dei foraggi. Molte delle nostre Alpi sono rimaste deserte e vuote perché si è proibito l’acquisto di bestiame dall’Italia. Il danno che ne deriva ai comuni è molto grande. Ora si aggiunge anche il blocco del mercato che provoca una depressione artificiale dei prezzi del bestiame. Ciò avviene, miei egregi signori, in zone abitate esclusivamente da contadini che principalmente non sono produttori bensì vittime di quello stesso gravoso rincaro di cui soffre anche la popolazione cittadina. Lo so, mi si obietta che i contadini stessi hanno contribuito alla diffusione dell’epidemia. Ammetto che in qualche località gli allevatori di bestiame a questo riguardo dovrebbero essere ulteriormente informati; ma anche le autorità hanno mancato di coerenza. In Val di Fiemme e in Val di Fassa e a Primiero si è partiti dapprima da disposizioni severissime. Ma in agosto giunse nel distretto l’esercito per le manovre di divisione e ignorò completamente tutte queste misure. Quando mi sono lamentato di ciò presso un’autorità politica superiore, ho ricevuto come risposta che lo dovevo pur sapere che l’esercito fa dappertutto ciò che vuole. [Ilarità] Certo con tali principi sarà molto difficile insegnare ai contadini una più attenta considerazione della legge sulle epidemie del bestiame. La colpa almeno è quindi bipartita, mentre il danno purtroppo è solo dei contadini. La seconda circostanza che quest’anno peggiora la nostra situazione generale, sono i danni ingentissimi causati da eventi naturali. Da parte nostra a questo riguardo sono state presentate le relative mozioni. In un solo distretto il danno ammonta, secondo perizie ufficiali, a oltre due milioni di corone . Di fronte a queste tristi circostanze, che aggravano ulteriormente le nostre condizioni di vita già difficili in seguito all’aumento generale dei prezzi, noi chiediamo al governo un intervento particolare di emergenza per mitigare la miseria più grave, affinché la nostra classe di contadini non sia costretta a ingrossare ulteriormente il flusso di emigranti purtroppo già grande abbastanza. Tornando alle mozioni sul rincaro, siamo naturalmente favorevoli all’importazione della carne d’oltremare, innanzi tutto perché ne abbiamo bisogno e in secondo luogo perché siamo convinti che, come dimostra anche l’esempio dell’Italia, l’importazione della carne argentina non può danneggiare l’allevamento del nostro bestiame. Voteremo anche a favore dell’abolizione dei dazi doganali più gravosi, in particolare del dazio sui cereali, presa in considerazione a suo tempo, e siamo favorevoli anche a eventuali alleggerimenti temporanei dell’importazione. Questo punto di vista è stato ripetutamente sottolineato nelle mozioni e nelle interpellanze della deputazione italiana negli ultimi decenni. Con gioia abbiamo constatato ora, ascoltando il discorso del signor presidente dei ministri , che l’opinione del governo a questo riguardo − anche se piuttosto in ritardo − non è più così distante dalla nostra. Siamo invece scettici nei confronti della costituzione di un tariffario generale dei prezzi per i generi alimentari. Qui viene attribuito troppo potere allo Stato moderno. E ancora meno efficace ci sembra la proposta di permettere il rifornimento dei generi alimentari mediante requisizioni forzate. È noto che un tale metodo fu adottato in Francia dal governo rivoluzionario e che ebbe addirittura conseguenze catastrofiche in senso contrario. Prenderemo le parti del piano di assistenza per le abitazioni nell’interesse dei nostri cittadini, tanto più che anche qui la nostra libera iniziativa ha fatto da pioniere. Esprimiamo assieme anche il desiderio che finalmente si arrivi anche alla riforma delle imposte sui fabbricati [Vivace applauso], per alleggerire gli abitanti della campagna, secondo i principi che sono stati fissati dal mio collega Tonelli nella sua proposta scaturita dalla sua ricca esperienza e dalle sue conoscenze specialistiche. [Assenso]. Come Partito popolare siamo naturalmente favorevoli anche all’aumento degli stipendi dei funzionari dei gradi inferiori e in particolare degli impiegati statali e dei ferrovieri, ovviamente solo a condizione che questo miglioramento non avvenga a spese della classe popolare e in particolare degli ambienti dei produttori agricoli. La necessità di continue regolazioni degli stipendi dovrebbe però al tempo stesso convincerci dell’urgenza della riforma dell’amministrazione nel senso di una semplificazione e di una riduzione dei costi. [Vivace assenso] Per alcune categorie dì funzionari e di impiegati la vita è certamente diventata troppo cara, per noi però anche la burocrazia è in generale ben troppo cara. Eccelsa Camera! In tutte queste domande e nella battaglia contro il rincaro non vogliamo proclamare l’onnipotenza dello Stato per rovesciare ogni responsabilità sul governo di turno. Noi conosciamo i confini del possibile e del raggiungibile. Tutto ciò che abbiamo chiesto sta all’interno di questi confini, anzi nell’ambito delle promesse del governo stesso. Questo vale particolarmente per le misure atte a incrementare e a incoraggiare la produzione agricola. Il minimo però che debbiamo chiedere allo Stato è che non ostacoli il libero spiegamento delle nostre forze economiche. [Vivace assenso] Eppure sperimentiamo il fatto che lo Stato mette al nostro confine un dazio protettivo sul capitale e sul lavoro. Da molto tempo attendiamo inutilmente che il governo ci permetta lo sfruttamento delle nostre forze idrauliche portando l’energia elettrica oltre frontiera, e recentemente avvenne che le autorità militari hanno concesso la costruzione di una grande centrale elettrica soltanto a condizione che non vi fosse investito alcun capitale del regno d’Italia né che vi fossero impiegati lavoratori italiani. [Senti! senti!] Se consideriamo ora queste misure anche solo dal punto di vista sociale significano limitazione, anzi impedimento della produzione. È questo il compito di uno Stato moderno? Non sono abusi ancora peggiori di quelle che S. E. il presidente dei ministri vuole combattere nei cartelli? Per il risanamento delle attuali malattie sociali l’alto governo ha consigliato alcune medicine. Le prendiamo, ma prima ricordiamo il vecchio monito: Medice, cura te ipsum! [Vivace applauso]
bdfc9f46-2e2f-4785-9ec8-d25a819a53bc
1,912
3Habsburg years
21911-1915
L’attore principale dell’agitazione volksbundista e della campagna denigratoria contro il nostro P. Vescovo è il femigerato Edgardo Mayr. La sua figura fisica è nota al pubblico trentino dai fatti di Calliano , forse non si conosce la sua figura morale. Quest’uomo era cittadino tirolese e precisamente della città di Innsbruck. Stanco della prima moglie va in cerca di una seconda e della relativa dote. Ma la legge austriaca, ad onta degli sforzi di un altro galantuomo alla Mayr, dell’on. Malik, non permette di piantare in asso la moglie e prendersene un’altra. Che fa allora il nostro patriotta Edgardo Mayr? Egli rinnega la cittadinanza austriaca e tirolese e si fa suddito prussiano e cittadino di Berlino. Forte della legge prussiana dà il calcio alla moglie, se ne prende un’altra, e glorioso e trionfante rientra in Tirolo, con poca edificazione dei suoi ex patriotti, e si annida in un castello tirolese; là vendendo quadri, piatti e figuri, mette a parte quattrini. Vedremo se finiti quelli, penserà ad un terzo affare pulito. Sarebbe il caso di dire: Tu felix Edgardo, nube! Conscio di queste sue marachelle, Edgardo Mayr, per gettare polvere negli occhi e per soddisfare alla sua insaziabile mania di popolarità vuole entrare in tutte le società, ospite a dir vero poco gradito, e cacciato dalla porta, rientra dalla finestra. Egli vuol far parlare di sé ad ogni costo, sente il bisogno di prendere le pose dei grandi eroi della patria, di una rinnegata per altro amore prevalente. Orbene questo figuro ozioso, fido compagno del libellista Battara e del rinnegato Masera, è quello stesso che scorrazzò le contrade del nostro paese, quale apostolo di educazione e di elevazione morale del nostro popolo, a fondare gruppi di Volksbund, a far propaganda di patriottismo, ad ingannare i nostri ingenui contadini con promesse di denaro, di lavoro e di benessere, a perorare domande di scuole tedesche per il maggiore sviluppo morale della crescente gioventù. Questa bella figura, messa a nudo nelle sue losche tendenze, strilla, si vendica, folleggia, egli si sente chiamato a sentenziare sulle azioni pastorali del Vescovo della Chiesa Tridentina! Fabbrica calunnie e menzogne, le lancia spudoratamente nel mondo per mezzo dei compiacenti giornali tedesco nazionali, i quali si prestano a dare pubblicità alle morbose produzioni di un cervello esaltato e megalomane. In mani peggiori non poteva cadere il patrocinio del Volksbund! Vuol dire che chi si contenta gode. Per chi sente la psicologia dell’ambiente politico creato dalle ultime elezioni parlamentari, non fanno meraviglia queste anormalità impossibili in altri stati. È un’ondata del furor teutonicus contro le altre nazionalità costituenti lo stato austriaco, è l’apoteosi delle prepotenze e della burbanza del forte contro il debole. Sotto l’egida della federazione tedesco nazionale anche gli elementi più degenerati si sentono autorizzati a disprezzare tutti gli altri cittadini in ispecie se di tale nazionalità. Come si potrebbe diversamente spiegare p.e. il fenomeno psichico di un Erler, il quale lanciò insulti inauditi contro la nazione italiana, che fu maestra di civiltà ai suoi connazionali? Come spiegare la burbanza di un Edgardo Mayr, il quale in condizioni normali di buon senso dovrebbe essere cittadino di un correzionario? Questi fenomeni segnano evidentemente una decadenza morale collettiva, e la biscia finirà col mordere il ciarlatano. E l’autorità dello Stato? A furia di opportunismi politici va suicidandosi. Pieni sono i discorsi esprimenti l’idea del governo oggettivo e imparziale. In realtà la suprema lex pratica è la volontà e l’arbitrio della federazione tedesco-nazionale e dei suoi membri che non conoscono riguardi per nessuno. La politica dei governatori, memori del detto «Contra potentes noli stringere dentes» non vede e non sente ciò che è lesivo dei diritti altrui tutto corre, tutto passa, tutto subisce. E così nel santo Tirolo abbiamo il curioso fenomeno, che un degenerato sotto l’usbergo di un’impunità di nuovo genere si erige a giudice dell’attività pastorale di un Vescovo; lo si può insultare, denigrare, perseguitare allegramente a base di menzogne e di calunnie, l’autorità non si muove! Di fronte a questo spettacolo nauseante riesce di vero conforto morale constatare che esiste ancora un’autorità – ed è quella della Chiesa – che s’ispira ai supremi principi di giustizia, che non si piega né ad opportunismi politici né a terrorismi, che sa distinguere la prudenza dalla viltà, che non fa la parte del cane muto quando è tempo di parlare e di dire una parola di verità, di giustizia e di pace tra i popoli. E questo è un grande conforto per tutti i credenti che sentono come propria l’offesa e l’insulto fatto a chi rappresenta sulla terra la più sublime autorità, quella di Cristo ministro di grazia, giustizia e pace. Come conclusione ricordiamo ai nostri nemici che «gli alberi non crescono fino in cielo».
49b66338-5fb7-4063-b2b1-2621dea81e04
1,912
3Habsburg years
21911-1915
[...] A Rovereto A Rovereto, infatti, secondo un collaboratore autorevole dell’Alto Adige (15-16 gennaio) «la rappresentanza proporzionale è stata esclusa perché si ritiene che se essa può essere efficace in assemblee dove si trattano tutti i rami del vivere sociale, come le politiche, non lo sia in quelle di puro carattere amministrativo dove si discutono precipuamente argomenti economici che poco hanno da vedere colla politica». Per queste assemblee è necessaria ua notevole maggioranza che il sistema proporzionale difficilmente concede, «così si passò allo scrutinio di lista». Questo ragionamento ritorna sempre con strana ostinazione nonostante che l’esperienza di tutta Europa abbia dimostrato il contrario. Precisamente nei paesi dove si nutrivano poche simpatie per la proporzionale applicata ai corpi politici come il parlamento, non si oppose alcuna difficoltà alla rappresentanza proporzionale delle amministrazioni. Esempio classicissimo la Svizzera. E ne è anche evidente la ragione. Se in un parlamento si può supporre necessaria per governare la maggioranza di un partito politico (noi non lo ammettiamo e del resto la maggior parte dei governi si poggiano sui blocchi), chi può affermare altrettanto di un Municipio? Non sono forse i liberali stessi che in occasione delle elezioni dicono: qui non bisogna guardare a partiti politici ma alla amministrazione? Invero se si tratta della centrale sul Ponale o della Rovereto-Riva, non potrebbe governare una maggioranza composta di vari partiti politici, o meglio una maggioranza che cerchi la sua forza di coesione non nell’idea politica, ma in un comune programma amministrativo? In Svizzera si è giunti di fatti a distruggere le differenze politiche nelle amministrazioni municipali. I partiti si organizzano e manovrano fuori dell’ambito comunale. Credete con ciò che le nostre amministrazioni cittadine ne scapiterebbero? Il principio della proporzionale è un corollario del principio di collaborazione dei partiti. I popolari sono favorevoli a tale principio. Essi l’hanno di fatti applicato in pratica in grande parte dei comuni rurali e delle borgate non solo, ma anche della Dieta. Sono disposti a praticarlo anche nei municipi maggiori. Certo che collaborare non significa, come pretende taluno, dare semplicemente il proprio assenso ad un partito preso dalla maggioranza che governa. Il rapporto di collaborazione non esiste solo fra la minoranza e la maggioranza, ma anche viceversa. Premesso questo, è chiaro non potervi essere dubbio che i popolari tendono davvero alla collaborazione. Diversamente sta invece la cosa presso i socialisti. Essi, per principio, non vogliono la collaborazione di classe, ma la lotta. E benché in Italia da lungo tempo abbiano abbandonata la tattica intransigente, entrando nei «blocchi popolari», ci sembra che a Trento ed a Rovereto non sentano la gran voglia di rinnovare l’esperimento. Nutrono quindi, fino ad un certo punto, le stesse apprensioni, ma in senso inverso. I liberali vogliono salva la maggioranza di partito, i socialisti temono che la rappresentanza proporzionale li costringa in qualche caso ad assumere la corresponsabilità dell’amministrazione. Entrambi quindi, e fino ad un certo punto, parallelamente, tendono a rendere assicurata la maggioranza di partito. I liberali, come beati possidentes per il partito stesso, i socialisti per il timore che una maggioranza d’amministrazione riduca all’assurdo il loro principio di negazione. Così i socialisti pur non volendo la rappresentanza proporzionale, la vedrebbero volentieri – almeno a sentire il d.r Piscel – attenuata secondo il recente progetto Briand. In complesso l’attenuazione Briand consisterebbe in questo. Supponiamo di avere voti liberali 215, socialisti 135, popolari 64 e che siano da eleggere 8 consiglieri. Complessivamente abbiamo quindi 414 voti. Dividiamo il 414 per 8 ed avremo così il detto quoziente elettorale: 51. Cioè ad ogni 51 voti spetta un consigliere. Ossia 215 : 51 = 4, resto 11, 135 : 51 = 2, resto 33, 64 : 51 = 1, resto 13. I liberali avrebbero 4 mandati, 2 i socialisti ed 1 i popolari. A chi spetta l’ottavo? Secondo la proporzionale pura si mantiene il principio anche colle frazioni e con vari metodi, che altra volta abbiamo spiegato, si arriva a dare l’ultimo seggio alla minoranza più forte, o se ve ne fossero a disposizione di più, ai singoli partiti in proporzione dei resti. Nel nostro caso conquisterebbero un terzo mandato i socialisti. Secondo Briand invece tutti i mandati che non verrebbero assegnati nella prima divisione verrebbero poi aggiunti al partito più forte. Cosicché i liberali, secondo quel sistema, raggiungerebbero con soli 215 voti 5 mandati su 8. In conclusione però anche con tale proporzionale ridotta abbiamo potuto assegnare alle minoranze 3 su 8 mandati e tutte e due le minoranze avrebbero assicurato qualche seggio. Che cosa avviene invece collo scrutinio di lista o come si dovrebbe chiamare più esattamente, col voto limitato, proposto dai liberali roveretani? Anzitutto il partito più forte cioè, nella nostra supposizione, i liberali con 215 voti conquisterebbero i 6 mandati di maggioranza. Gli altri 2 di minoranza andrebbero al secondo partito più forte, il socialista, ed i popolari sarebbero esclusi. Notate bene che ciò può accadere in tutti i corpi, appunto perché essendo il partito liberale composto di tutte le classi potrebbe aver suddiviso nei quattro corpi le sue forze, senza poter aggiungere mai i 2 mandati di minoranza. La differenza quindi anche fra la proporzionale ridotta ed il voto limitato è essenziale e non di forma, come pare ritenere il collaboratore dell’Alto Adige. Ma c’è di più. Supponete quest’altro caso che è tutt’altro che inverosimile. Invece che tre partiti pensate che nel rispettivo corpo siano semplicemente due, che possano raggiungere un certo numero di voti. Supponiamo: liberali 350, popolari 64. Se i liberali hanno tale forza o anche molto di meno, può avvenire ch’essi con voti 208 (su 414) conquistino i 6 seggi della maggioranza e con gli altri conquistino i 2 della minoranza. Questo caso si è veduto molte volte in Italia; quali ragioni abbiamo noi di sperare dai nostri liberali il contrario? Cosicché, mentre colla proporzionale, in qualunque forma venga applicata, i 64 voti popolari avranno una rappresentanza, col voto limitato non si ha nessuna garanzia che ciò avvenga. E, badate, c’è ancora questo: poniamo pure che i liberali non vogliano escludere la minoranza popolare. Ma essi avranno invece sempre la tentazione di determinare quali persone dei popolari debbano entrare in Comune. Con un piccolo numero di voti a disposizione oltre il numero necessario per conquistare i seggi di maggioranza, i liberali possono far riuscire nella lista di minoranza le persone più accette, escludendo le meno pieghevoli che sono in genere i capi partito. E per oggi vogliamo chiudere queste note, che abbiamo messo in carta affrettatamente, senza voler trattare ex professo ed esaurientemente la questione. I liberali dovranno però dedurre anche da queste che le nostre obiezioni hanno valore reale e che, per parte nostra, non si tratta proprio di ostinazione, ma di diritto all’esistenza.
e3cf15d6-23ed-4524-9bb1-5fc83f0a4124
1,912
3Habsburg years
21911-1915
Come sono meschini nei loro giudizi o piuttosto nei loro pregiudizi gli aggregati della Lega d’Isera, lega posticcia, condannata a tirar innanzi a furia di cabale! Tutto fa loro pro per mostrare che son fior di cattolici. Ma bisogna proprio aver la testa piccola di costoro per immaginare e per propalare certe fiabe che fanno ridere i sassi e altri simili... insetti! Costoro non ismettono quella così barocca loro fantasia d’un cattolicismo confezionato con insulti ai cattolici, con a base un anticlericalismo sguaiato. Or ecco nell’ultimo numero del Contadino (11 gennaio) sotto il titolo «La partenza del parroco» un articolo messo in prima colonna, ma degno per la sua incoerenza, per la sua scempiaggine, del cestino. Vi si legge come qualmente essendo stata la salute scossa la vera causa della sua partenza, più sotto, si legge che forse la causa maggiore fu l’essersi tirato contro il paese e vi s’insinua che la vera causa fu questa. Ohe! della lega! Ragionate coi tacchi. Se questa fu la sola causa perché dite prima che fu l’altra. E la ridicolaggine, la goffaggine si fa ancor più puerile nello spiegare e dichiarare come egli si sia tirato contro il paese. Udite: «Egli (il signor parroco) troppo credette a quei tali e a quelle tali che continuamente andavano in canonica a sussurrargli qualcosa, mettendovi in cattiva luce or l’uno or l’altro tutti i leghisti». Che stima che avete del vostro ex parroco! Grazie tante. Lo fate simile a colui che senza alcun discernimento presta fede a tutte le fandonie! – E poi giù articoli e corrispondenze da Isera, piene di lodi per il «vero pastore», per il «vero padre», per il «buon sacerdote». Ma che razza di sicofanti sono codesti signori? Del resto non occorreva mica ascoltare la gente che andava in canonica per conoscere quali persone ci sieno nei carrozzoni trascinati dalla sconnessa macchina leghista! Bastava andare alle omelie e alle dottrine del signor parroco e avresti veduto di quando in quando qualcuno sentirsi male alla schiena e boffonchiando e borbottando tra i denti uscire dalla sacrestia, dal coro o dalla chiesa, seguito da qualche buon figliolo e riunitisi poi sul piazzale sbraitare: È una vergogna, in chiesa non ci vuol politica! – Oppure sarebbe bastato udir le urla incondite rompere di notte il vuoto dell’aria: Abbasso i sacchi de carbon! Via il parroco, via el Trentino! e altri vocaboli detti questi a voce più bassa come «bigotto, pinzocchero» e altro che è meglio lasciare. E è da osservare (giacchè si dirà che non erano dirette a lui queste parole) che dopo la di lui partenza tutte le grida sono cessate come per incanto. Così era pur bello vedere qualche leghista al passaggio d’un reverendo scoprirsi devotamente il capo e poi appena passato lui sbellicarsi dalle risa e gridare: Viva la lega! Al momento poi della partenza del signor parroco, mentre molte persone lo circondavano commosse, i leghisti sogguardavano dalle imposte socchiuse o sbirciavano fuori da qualche uscio mezzo nascosti. Questo è l’amore dei leghisti per il loro pastore, per chi ha lavorato in loro bene a scapito proprio! È inutile che s’affatichino ora a dire che gli volevano tanto bene. Che se realmente l’avessero amato, quei due leghisti che si presentarono a lui la vigilia del giorno della sua partenza, avrebbero chiesto scusa delle sofferenze a lui fatte provare. Ciò che non hanno pur sognato di fare. Nel medesimo numero del Contadino una corrispondenza iseriana si lamenta che molte giovani avendo mandato un attestato del loro sincero amore al signor parroco non si sono unite con alcune altre giovani leghiste, mentre sappiamo benissimo che più d’una di loro dopo le chiare parole del loro pastore se la ridevano di lui e dicevano cose che sarebbero state male in bocca anche del leghista più sfegatato. Ma intanto barcamenandosi, i leghisti tirano innanzi sotto l’egida socialista e liberale, dalla quale poi sfruttati, quando bene si crederanno a cavallo, non si troveranno nemmeno a... asino. E allora trionfanti diranno: Viva Arlecchini e burattini viva le maschere d’ogni paese viva chi sa tener le orecchie tese! Isera, 17 gennaio 1912
c72fb83c-2cda-42c2-a885-4249eeadf64b
1,912
3Habsburg years
21911-1915
Per le elezioni di ballottaggio in Germania i partiti liberali radicali e moderati hanno ordinata la conversione a sinistra: sostenere, ove si presentasse l’occasione, i socialisti, e in ogni caso non dare i voti ai conservatori o al Centro. A dissuadere i capi liberali da una tattica così disastrosa, non sono valsi né gli argomenti di principio, né le pressione del governo. I liberali speravano infatti di ricavare dall’appoggio ai socialisti i mandati che, in ballottaggio, dipendevano dal voto di questi ultimi e di riuscire anche nei ballottaggi contro i socialisti coll’aiuto dei partiti di destra; i quali per il principio del male minore, avrebbero certo dovuto evitare il trionfo del socialismo. I liberali, cioè, mentre per se stessi reclamano il diritto di regolarsi nei ballottaggi secondo il puro criterio dell’opportunità e dell’egoismo, oppure di sfogare a capriccio il loro spirito anticlericale sorpassando tutte le altre differenze, tentando d’altra pare di sfruttare la programmatica avversione che nutrono i partiti conservativi contro il socialismo per ottenere il voto per il male minore, cioè per il proprio partito. Questa situazione si è presentata e potrà ripetersi anche nel nostro paese. Abbiamo quindi un certo interesse ad esaminare quale fu, di fronte alla tattica liberale la parola d’ordine dei conservatori ed in particolare del Centro. Molto semplice e molto pratica: non votare per i socialisti in ogni caso, ma nemmeno per i liberali quando questi non diano, di volta in volta, il compenso dei loro voti in un altro collegio. Ora la semplice astensione significò in parecchi collegi la vittoria dei socialisti. Che importa? C’è anche nella politica elettorale una dignità da salvare e soprattutto una funzione di giustizia da esercitare. Bisogna educare i liberali a smettere le loro egoistiche speculazioni sull’ingenuità e sulle convinzioni dei partiti conservativi. Noi i socialisti siamo avvezzi a prenderli di fronte ed a combatterli su tutta la linea: non abbiamo quindi infine un grande interesse a sostenere dei partiti o degli uomini-cuscinetto i quali nei migliori dei casi attutiranno il cozzo ancora per pochi anni ma non potranno né diminuirlo, né impedirlo. I liberali invece hanno riposte tutte le loro speranze in codesti cuscini; se cadono, il partito è infranto. Eppure avviene non di rado che i liberali si dimostrino più preoccupati della sconfitta clericale che della propria esistenza. E noi dovremmo in tali casi rianimare un corpo che si consacra alla morte? La giustizia distributiva vuole che in questi momenti i cattolici siano inesorabili e disciplinati; levandosi sopra le differenze personali e gli orizzonti locali. Così hanno fatto i cattolici germanici, e per questo ieri parecchi capoccia del liberalismo mordono la polvere di una sconfitta cercata e voluta sul terreno stesso del radicalismo. Già codeste sconfitte, codesti castighi costringeranno un po’ elettori e candidati a riflettere sulla loro tattica disastrosa e li condurranno forse a pentimento. Ma in molti altri casi la resipiscenza venne ancora a tempo. Sotto la minaccia di una sconfitta irreparabile gli elettori liberali di alcuni collegi si ribellarono alla parola d’ordine dei capi e fecero trattative coi conservatori o col centro sulla base del do ut des. La tattica del centro ebbe quindi effetti immediati. Gli elettori ritornarono in sé prima dei corifei. Abbiamo così già nella prima serie di ballottaggi numerosi compromessi fra liberali e destra e quindi non poche sconfitte socialiste. S’è fatto questo cenno alla tattica germanica appunto perché qualcuno dei nostri amici patì scandalo per la parola d’ordine data nei ballottaggi di giugno dalla direzione del partito popolare . La tattica del centro conferma pienamente la giustezza del nostro criterio. Per l’avvenire non attendiamo certo di modificarlo. Nutriamo anzi la fiducia che l’adesione ad esso da parte dei consenzienti divenga più tenace e più generale. Il liberalismo nelle nostre città deve risolversi di marciare a sud-ovest o a sud-est, posto che l’ovest sia il socialismo e l’est la riforma cristiana. Se marcerà verso est, noi avremo un interesse ad incoraggiarlo in questa direzione, ma se, come ha fatto spesso finora, volgerà ad ovest non un passo, non un gesto da parte nostra per impedirgli di camminare verso il suo tramonto.
95739e70-f911-44a6-a99a-4b7b85063aff
1,912
3Habsburg years
21911-1915
Nella fissazione del preventivo comunale e quindi dell’aumento delle sovrimposte i consiglieri di parte popolare fecero la politica del raggiungibile. Impedirono anzitutto a suo tempo che il commissario governativo applicasse il bilancio, com’era stato da lui compilato, dopo aver sentito il parere del podestà e della Giunta. È quasi certo che senza l’efficace intervento della minoranza il bilancio che comprendeva il 145% di sovrimposta casatico, sarebbe passato in giudicato. S’oppose poi, come a suo tempo riferimmo, all’intenzione della Giunta di far approvare il preventivo tale e quale nella prima seduta del Consiglio. Chiese invece uno studio serio e di precauzione in un apposito comitato. Tale proposta venne giudicata demagogica da quanti s’erano oramai creati un facile preconcetto. Ma i fatti s’incaricarono di dimostrare che tale giudizio era troppo affrettato. La commissione venne eletta e trovò subito da proporre emendamenti, fra gli altri quello importantissimo per i cittadini, di ridurre cioè l’aumento del casatico dal 145 al 120 per cento. Con tutto ciò le discussioni consiliari di venerdì e sabato dimostrarono che uno studio ulteriore non sarebbe stato superfluo neppure per la commisisone. La minoranza popolare, pur non entrando nella commissione per una ragione di coerenza e di dignità, le fece pervenire per iscritto le sue proposte, le quali avrebbero reso possibile il pareggio, anche eliminando completamente l’aumento del casatico. Queste proposte furono accolte solo in parte dalla commissione che non ridusse il casatico al di là del 120%. Per venire incontro ad obiezioni venutele dalla Giunta (questione degli appalti) la minoranza presentò allora un altro bilancio a pareggio che prevedeva il casatico al 100%. Tale bilancio venne sostenuto dall’on. Cappelletti punto per punto, ma le sue proposte di economia nell’uscita furono respinte. Risultava quindi oramai inutile proporre emendamenti alle rubriche dell’entrata, ed era logico che la maggioranza fissasse da sola l’ammontare dell’entrate e quindi anche il gradino delle sovrimposte. Alla minoranza, coerentemente, non rimaneva che votar contro o astenersi. Ma qui intervenne la Giunta che pose i consiglieri di parte popolare innanzi ad un’alternativa curiosa: o con voi il 120 o senza voi il 130. I popolari avrebbero potuto ribellarsi a questa alternativa e lasciare alla maggioranza la responsabilità che sarebbe derivata dalla sua posizione, ma che cosa avrebbe giovato? Così perché essi essendo contrari all’aumento del 120% erano ancor più contrari al 130, costretti a scegliere, scelsero il male minore, risparmiando un ulteriore aggravio ai cittadini del 10%. L’aumento del casatico votato, secondo un calcolo minuto, tenuto conto di tutte le imposte erariali, provinciali, fluviali, fersinali che il padrone di casa vi deve aggiungere importò l’aumento del 4,50 per cento sugli affitti. Il padrone cioè per avere lo stesso utile del 1911 dovrà invece di 100 corone di pigione chiederne 104,50. Sempre un aumento notevole ma molto diverso da quello che sarebbe capitato colla sovrimposta del 145. Così finisce il primo periodo di... raccoglimento e ne incomincia un altro che dovrà consolidare il bilancio in via stabile. Le conseguenze delle amministrazioni passate si fanno sentire. I popolari non ne hanno responsabilità alcuna come non hanno alcuna responsabilità del peggioramento della situazione, avvenuto durante il lungo interregno, provocato nonostante i loro moniti e le loro proteste. Essi non hanno nemmeno quella corresponsabilità che si sono assunta anche parecchi degli uomini entrati nella presente amministrazione, uomini nuovi, ma incaricati di mantenere in Municipio la continuità del partito liberale; e nemmanco quelle obbligazioni, che per avventura potrebbero sentire i socialisti entrati nel comune coll’aiuto dei liberali. A buon diritto quindi avrebbero potuto limitarsi all’ufficio di critica e di controllo. Più pratici, più positivi, più transigenti, non vollero fare e non faranno nemmeno nel prossimo periodo, purchè nel sollecito disbrigo di una riforma elettorale secondo le esigenze dei tempi si possa vedere una garanzia che anche la maggioranza riconosce nella cooperazione di tutti i partiti la via migliore per assicurare l’avvenire economico-sociale della città capitale del Trentino.
24c9606f-5c05-4073-a007-25bdd39337df
1,912
3Habsburg years
21911-1915
L’articolo potrebbe essere il testo di un comizio che De Gasperi aveva tenuto a Cavalese il 4 febbraio; il tema della relazione erano stati gli sforzi fatti dalla deputazione italiana a Vienna e in particolare la situazione che si stava verificando alla Dieta di Innsbruck . Fra i tedeschi e gli italiani si è rivelata durante la Dieta questa differenza essenziale: gli italiani fecero ogni sforzo per assicurare almeno parzialmente l’esecuzione della ferrovia fiemmese; i tedeschi invece si occuparono del problema della ferrovia, cercando di forzare una soluzione dietale che infliggesse agli italiani una sconfitta politica. Agli italiani stava a cuore la ferrovia; ai conservatori e ai tedeschi liberali la politica dietale. Ma non solo durante la dieta, anche nel periodo che ne precedette la convocazione le due finalità furono essenzialmente diverse. Gli italiani assieme ai cristiano sociali e ultimamente ad alcuni rappresentanti di Bolzano premono a Vienna sul governo, perché assicuri il suo contributo o una parte almeno di esso. Tutti i loro sforzi sono concentrati nello strappare al governo una dichiarazione, uno scritto che assicuri l’esecuzione della ferrovia fiemmese o almeno di parte di essa. In Tirolo frattanto i conservatori e parte dei liberali rinnovano l’agitazione contro il compromesso di Bolzano non solo, ma nell’adunanza di Egna e nelle proteste che seguirono pretendono che la ferrovia fiemmese, da qualunque parte venga progettata, venga costruita solo dopo che lo stato avrà costruito interamente la ferrovia della Val Venosta coi suoi allacciamenti. Essi mandano le loro proteste al governo centrale, scongiurandolo di non cedere e di non assicurare un soldo per la ferrovia fiemmese. Si riapre poi la dieta. Già agli 8 gennaio il ministero manda una risposta negativa, almeno interinalmente, per il compromesso. Allora gli italiani incominciano a domandare di meno. Se non avete danaro di costruirla tutta, costruitene almeno un pezzo, proposero gli italiani. E quando anche a questa proposta venne un diniego, gli italiani ridussero ancora le loro pretese. Che cosa facevano invece i tedeschi dell’opposizione? Tutto l’opposto. Essi non volevano che gli italiani guadagnassero tempo, ma lanciarono alla dieta la mozione d’urgenza per la ferrovia venostana, col manifesto proposito d’impedire che le trattative fiemmesi conducessero ad un pratico risultato. Le Innsbrucker Nachrichten di ieri lo confessano senza ambagi. Bisognava impedire che il governo accontentasse anche in parte i postulati dei rappresentanti nostri. Questo è il nocciolo della questione. Tutto il resto è polvere negli occhi. La proposta di Forcher-Mayr di incaricare di studiare, di riferire in una commissione sulla linea Egna-Fino non sanno nemmeno loro dove, era pensata come contentino per i fiemmesi, come se questi non sapessero distinguere fra gli studi ed i soldi. I tedeschi impediscono prima che si ricevano i soldi per la costruzione, ed invece vogliono studiare, ed intanto adoperano i soldi per le loro ferrovie! Anche le proposte ulteriori della minoranza non avevano valore pratico e immediato. Erano semplici formule politiche per costringere gli italiani a ribellarsi o a passare sotto le forche caudine della sopraffazione. Essi stessi aggiunsero che non si trattava che di una soluzione del problema in dieta. In quanto all’esecuzione, aspetta caval... Ne volete ancora una prova evidentissima? Giovedì convenne a Bolzano all’Hotel Steigl un’adunanza dei rappresentanti i comuni dell’Alto Adige (distretto politico di Bolzano, Merano e Schlanders). Oratori principi furono l’ex deputato conservativo Schrott e l’ex candidato conservativo Dissertori e il signor Quinz di Egna, convocatore del famoso comizio dei 3 gennaio. Erano presenti anche Perathoner di Bolzano e il segretario e il presidente di quella camera di commercio. A questi ultimi vennero fatti dei rimproveri perché la città e la camera di Bolzano non avevano aderito alle deliberazioni del comizio di Egna, secondo le quali la ferrovia fiemmese si rimandava... alle calende greche. Che cosa rispose il presidente della camera di commercio Kerschbaumer? Leggete la relazione dell’adunanza che reca l’odierno Tiroler Volksblatt, relazione naturalmente monca e piena di sottintesi, ma tuttavia abbastanza chiara perché si possa comprendere: che il Kerschbaumer si dichiarò in sostanza d’accordo colle deliberazioni di Egna, ma che la camera di commercio non vi aderì, perché i fiemmesi non avvertissero il giuoco e, per l’avvernire, non prestassero più fede alle premure dei bolzanini. («wenn sie [die Handelskammer] sich dermalen dem Proteste der meisten deutschtirolischen Gemeinden nicht anschloss, so geschah dies aus Klugheitsrücksichten. In erster Linie müssen auch die Fleimser für unser Projekt sein, denn ohne Zustimmung der Fleimser wird keine Bahn gebaut»). Dopo queste dichiarazioni che si possono ben supporre ancora più esplicite, anche i rappresentanti di Bolzano capitolarono. Gli stessi che in dicembre a Vienna assieme agli italiani dichiararono urgente la ferrovia di Fiemme e ne chiesero l’assunzione nel prossimo programma delle ferrovie locali, a Bolzano nell’adunanza di ier l’altro finirono coll’aderire pienamente alle deliberazioni di Egna dei 3 gennaio. «Es gelang eine vollständige Einigung zu erziehen», constata con gioia il giornale conservativo. Quest’unità è la deliberazione di rimettere la costruzione della ferrovia fiemmese alla... prossima generazione. Ed ora i bolzanini attenderanno che i fiemmesi si fidino ancora delle loro proteste d’amicizia! Ma i fiemmesi non sono così citrulli da non comprendere che la ferrovia di Fiemme, da qualunque parte essa debba venire fatta, verrà solo se avranno dalla loro parte l’unanime appoggio e l’unanime pressione politica della deputazione trentina. Gli ultimi avvenimenti l’hanno dimostrato in modo irrefutabile.
a88a782e-0d5b-4eaa-a829-7a47f9f2f2c2
1,912
3Habsburg years
21911-1915
Moena, 11 Quest’oggi , nonostante il tempaccio e le strade pessime, è venuto qui l’on. D.r Degasperi per riferire agli elettori sull’ultima fase della questione tramviaria. La gente è accorsa numerosissima. Peccato che la sala non ne potesse capire di più. Presentato dal vicecapocomune (il capo è ammalato) l’oratore espose per ben un’ora e mezza la storia e lo stato della questione. Era la prima volta ch’essa veniva affrontata in tutte le sue difficoltà e nei pregiudizi che l’accompagnano. L’uditorio era attentissimo. L’oratore s’introduce determinando anzitutto il carattere della questione. Essa sarebbe solamente economica, qualora i fiemmesi potessero costruire la ferrovia coi propri mezzi. Ma quando si ricorre alla Dieta o al Parlamento per avere i contributi provinciali ed erariali, ovvero si chiede addirittura che la ferrovia venga costruita dallo stato, in questo momento è necessario contare sull’appoggio dei partiti e quindi la questione diventa anche politica. Purtroppo quasi ogni questione economica diventa al Parlamento anche questione politica; anche il contributo alla ferrovia giudicariese venne assicurato ai deputati sotto il ministero Beck non per ragioni economiche ma perché i voti degli italiani erano necessari alla sua maggioranza. Ora la questione di Fiemme è già complessa se la si considera dal semplice punto di vista economico; non v’ha dubbio che commercialmente parlando la linea avisiana, è la più importante, specialmente ora che anche la maggior parte del commercio d’importazione non venne più da Bolzano ma da Trento. D’altro canto è anche certo oramai in base agli ultimi studi di dettaglio che la linea di S. Lugano è più breve e meno costosa. Mentre la prima però passa allo sbocco delle selve della comunità e soddisfa oltre che tutti i comuni fiemmesi (tranne la frazione di S. Lugano) anche l’intiera vallata di Cembra, la seconda, a vista d’occhio, soddisfa agli interessi non di tutti i paesi fiemmesi e tiene conto piuttosto dei passeggeri e dei forestieri che dell’esportazione dei prodotti. Queste difficoltà economiche diventano maggiori quando vengono naturalmente in nesso colla politica. Il deputato di Moena è anche deputato di Moline e Capriana; oltre a ciò per ottenere i contributi deve naturalmente cercare l’appoggio dei deputati delle altre valli o almeno riuscire ad impedire che qualche altro rappresentante di altri interessi metta il suo voto ad una data soluzione della questione tramviaria. Poichè è certo che di fronte al governo basterebbe l’energica opposizione di uno o più deputati dello stesso gruppo per offrirgli il pretesto di non far fuori un soldo. Per Fiemme poi s’aggiunge anche la questione nazionale, la quale, volere o no, sorge da sé, perché da una parte lo sbocco è in terra italiana, dall’altra in terra prevalentemente tedesca. Io non esagero il valore del capolinea. Credo anzi – dice a questo punto l’oratore – che la razza fiemmese s’imporrà al miscuglio italotedesco dei paesi dell’Alto Adige e che del resto un capolinea di confluenza, non troppo vicino ad un grande centro di attrazione non risenta molto dell’ambiente rurale che lo circonda. Quello che va assolutamente evitato nell’interesse stesso di Fiemme e del suo carattere è che la ferrovia diventi uno strumento politico-economico in mano di certi circoli bolzanini. Su questo punto capitale, dice l’oratore, spero che saranno tutti d’accordo. Se la maggioranza della valle per l’impossibile potesse pensare diversamente, egli si dimetterebbe. Il D.r Degasperi si rifà quindi alla conclusione del compromesso, il quale ha avuto lo scopo di eliminare la competizione di Trento e Bolzano, e di fissare il centro di gravità della questione in Fiemme stessa presso la Comunità generale. Le dichiarazioni del governo per il compromesso erano molto serie e, siccome in Austria di simili soluzioni se ne sono attuate parecchie in varie provincie, c’era ragione di sperar bene. Certo queste ragioni erano prevalentemente di carattere politico. Esse vennero meno quando la situazione politica si cambiò, in seguito alle ultime elezioni, in nostro sfavore. Qui l’oratore rifece la storia delle trattative viennesi e di quelle dietali notando che i fiemmesi devono essere grati alla deputazione trentina che per l’interesse della valle mantenne la solidarietà fino all’ostruzione, a costo di gravi sacrifizi per i rispettivi collegi. Il compromesso naufragò per l’agitazione svoltasi nel Tirolo in seguito al comizio di Egna dei 3 gennaio e per la posizione del nuovo governo Stürgkh, il quale rinnegando gli impegni del gabinetto Bienert sotto l’influsso della nuova maggioranza tedesco-nazionale, lasciò in asso la maggioranza italo-cristiano-sociale alla Dieta. L’agitazione della minoranza conservativa tirolese arrivò alla conclusione: prima la Venosta e le sue congiunzioni colla Svizzera, poi la Egna-Moena o Egna-Predazzo. Sulla stazione finale i tedeschi sono ancora in dubbio, ma dalle trattative viennesi e da altre dichiarazioni è risultato che per motivi finanziari vorrebbero che la linea terminasse a Predazzo. Il governo invece si limitò a non rispondere né si né no, ma una tale risposta minatoria equivalse nei suoi effetti ad una negativa. Il governo mantenne il diniego anche di fronte a proposte ridotte. Esso negò il suo contributo per il momento tanto a tutte e due le linee, come a due tronchi di esse, come ad una sola e ad un piccolo tronco per l’altra linea. Gli italiani ammisero già nel compromesso la linea Egna-Moena, e durante le trattative dietali a questa congiunzione avevano concessa la preferenza, i tedeschi dell’opposizione invece non solo non ammisero per ora la linea avisiana, ma addirittura la vollero esclusa per sempre con una prepotenza semplicemente sbalorditiva. La linea migliore è quella che soddisfa due vallate; ma, in ogni caso, nessuna delle due può arrogarsi il diritto di escludere la congiunzione dell’altra. L’oratore illustra qui la posa del borgomastro di Innsbruck che vuole imporre ai fiemmesi non solo il corso della tramvia, non solo la privazione di un’altra congiunzione, ma anche il modo di finanziarla e di amministrarla. Tutte queste trattative del resto diventarono accademiche di fronte al postulato della precedenza della Venosta e delle sue congiunzioni. Dopo quest’esposizione ch’io riassumo molto scarsamente, un giovanotto di qui tentò qualche considerazione, uscendo con certi luoghi comuni, che oramai non hanno proprio ragione di essere. Il D.r Degasperi ribattè felicemente ed invitò i presenti a dichiararsi in forma precisa sulla sua relazione e sull’attività dei deputati trentini alla dieta. Il presidente, dopo alcune parole di ringraziamento all’on. Degasperi, per le sue prestazioni personali, propose di mandare un ringraziamento ed un plauso ai rappresentanti della valle ed a tutti i deputati per l’energia dimostrata in favore di Fiemme, invitandoli a continuare ad insistere perché la tramvia arrivi fino a Moena. Messa ai voti, tutti, meno l’oppositore, alzarono la mano. Il nostro deputato ci parlò poi dell’attività parlamentare e venne infine calorosamente applaudito. Il pubblico l’avrebbe ascoltato volentieri ancora a lungo, se egli non avesse dovuto partire ancora la stessa sera per Tesero.
4f5e1cbb-bab7-454c-b54f-82c5c677ace4
1,912
3Habsburg years
21911-1915
Nel fascicolo di gennaio del bollettino della Südmark (Südmark Mitteilungen) leggiamo un articolo di un certo Sitzenfrey sulla «missione della classe rurale del popolo tedesco». L’articolo è interessante perché tradisce la concezione della storia e della vita a cui si ispirano gli apostoli della società germanizzatrice. L’articolista ha parlato della trasmigrazione dei popoli e degli effetti che ne patì la nazione tedesca. Poi continua: «A questo punto sopravvenne il cristianesimo, che apportò al popolo tedesco altrettanto danno che la trasmigrazione dei popoli (ebensolche Schaden zufügte wie die Völkerwanderung)». E nel periodo che segue i malanni apportati vengono anche specificati «il cristianesimo portò l’amore del prossimo effeminatore (die weichliche Nächstenliebe), la schiavitù volontaria e la bontà che include in sé una debolezza (die Schwäche verbergende Güte). Giammai nella storia mondiale si compì una siffatta evirazione. Un popolo venne corrotto nel suo originario carattere». E il bollettino della Südmark continua di questo tono a parlare del cristianesimo come di una fede straniera imposta al popolo tedesco per soffocarvi con le formule del diritto romano il concetto di libertà. Così pensano, così scrivono del Vangelo di Cristo i germanizzatori. Eppure sono le stesse persone che quaggiù nelle Alpi Trentine pretendono di insegnarla al clero ed al Vescovo della Chiesa cattolica romana, le stesse persone che dirigono ed inspirano in Tirolo l’azione del Volksbund. Ogni momento noi dobbiamo constatare che nel nostro paese Südmark e Volksbund agiscono di conserva e si suppliscono a vicenda. Anzi nel calendario della Südmark di quest’anno (Jahrbüchlein für die Südmärkische Jugend 1911-12) leggiamo una espressa raccomandazione del Tiroler Volksbund. Alla fine di un fervorino, diretto alla gioventù tedesca, dopo aver indicato i mezzi, con i quali si deve sostenere la Südmark, il calendario rivolge un caldo appello ai giovani perché si facciano soci di quella lega che ha per motto: «Warmfühlendes Herz, hilfreiche Hand den Brüdern im bedrohten Land». E codesto è il motto ipocrita sotto il quale i volksbundisti tentano nel nostro paese la conquista.
4d2d04c9-0869-40c6-9be8-fb2113d3f104
1,912
3Habsburg years
21911-1915
Subito dopo la campagna elettorale del giugno abbiamo scritto che quello che ci faceva difetto era la frequenza, l’elasticità della propaganda. Se ai socialisti si è potuto muovere il rimprovero di far troppe chiacchiere e pochi fatti, ai popolari ha invece nuociuto l’essersi sobbarcati troppe responsabilità economiche le quali pur volendo essere un mezzo di elevazione morale, non sempre raggiungono pienamente lo scopo. Talvolta avviene anzi che i promotori stessi delle società si sentano indebolire per via l’energia del proprio spirito e venir meno l’idealità dell’opera propria. In qualche caso gli affari ingombrano troppo e ritardano il cammino dell’idea, in qualche altro l’opera economica non viene più intesa per lo scopo che l’ha ispirata, perché di tale scopo si è parlato pochissimo. I cattolici trentini hanno subordinato il loro movimento economico ad una tendenza dello spirito, qual’era quella di formare nel popolo una coscienza viva ed operativa dell’azione cristiana pubblica. Ora a 15 anni di distanza bisogna ammettere che, complessivamente, lo scopo è anche raggiunto. Le istituzioni economiche furono nella maggior parte dei casi le dighe, fra le quali passò la corrente del pensiero democratico cristiano. Ma bisogna ammettere anche che si sarebbe raggiunto molto di più, se le ultime finalità fossero state più intese e soprattutto più predicate. Qui vale il principio: molti fatti sì, ma anche molta propaganda. Ci si è opposto che in modo particolare le classi rurali non sono accessibili per tali considerazioni che un’azione di contenuto diremo prevalentemente ideale cozza con l’irriducibile positivismo della razza. Abbiamo ribattuto che non è vero. C’è ormai anche nella classe dei contadini l’aspirazione a partecipare più intensamente alla discussione ed alla conformazione delle attività pubbliche; è entrato in loro quello che già alla fine del secolo XVIII s’è battezzato civismo e che oggi si ribattezza in coscienza democratica. Sono aspirazioni nuove che sconfinano dai soliti termini economici locali, piantati o meglio considerati quasi come le colonne d’Ercole dell’azione pubblica rurale. Il fenomeno leghista l’ha rivelato anche a chi non lo avesse voluto constatare antecedentemente. Abbiamo quindi scritto, interpretando il deliberato proposito degli amici e di tutti i capi responsabili dell’azione cattolica, che era giunto il momento di rinvigorire la propaganda delle idee, di ripredicare il nostro programma, di rinsaldare il nesso morale che deve coordinare tutte le nostre associazioni ad uno stesso fine. In modo particolare abbiamo insistito perché si riprenda con maggiore vigore il lavoro di educazione e di istruzione nei singoli paesi. Ed ora, a sei mesi di distanza, possiamo constatare in una rapida rassegna che un risveglio notevole è avvenuto. In modo particolare l’esito della propaganda in Valle Lagarina è una prova eloquentissima della verità dei nostri asserti. Con uno slancio mirabile sono sorti 46 gruppi dell’alleanza la quale fonde in perfetta armonia scopi economici e finalità morali. Si è perfino raggiunto di un colpo quello che nelle associazioni operaie incontrò da principio gravi difficoltà, cioè l’introduzione dell’abbonamento obbligatorio al settimanale, la creazione cioè di un saldo vincolo intellettuale e morale tra i singoli soci. Ah, se nei primi anni della nostra azione si avesse addirittura concentrati gli sforzi a tale intento, se dappertutto accanto e dentro l’azione economica si fosse propugnata e sviluppata quella che in un senso più elevato può dirsi azione sociale! Quello che dappertutto non s’è fatto finora o non s’è voluto tentare, bisogna compiere oggi. Lo ripetiamo: è il lavoro che costa maggior sacrificio, maggiore energia e richiede fede più sicura nei propri ideali. Ma è anche il lavoro più meritorio, più consentaneo al nostro programma ed alle convinzioni di cattolici, il lavoro che infine, superati i primi ostacoli, porterà i frutti migliori.